Domande e risposte

Bürgenstock, punti fermi e prospettive di pace

La conferenza elvetica tra limiti e passi nella giusta direzione – L’integrità territoriale resta il nodo da sciogliere – Paola Gaeta: «Il riferimento al diritto internazionale è centrale» – René Schwok: «Ma l’intesa raggiunta non ha alcuna valenza giuridica»
©URS FLUEELER

Tra i punti fermi del vertice spicca la necessità di una «pace giusta in Ucraina» attraverso il rispetto del diritto internazionale. Che cosa implica questo principio e quali prospettive si aprono ora nel processo di pace? Quale sarà in futuro il ruolo della Svizzera? Ne parliamo con i professori René Schwok e Paola Gaeta.

I colloqui si sono focalizzati su tre aspetti: la sicurezza nucleare, la sicurezza alimentare e la «dimensione umana». Ma quale è la portata giuridica di queste intese?

«Il documento non ha nessuna valenza giuridica», commenta senza mezzi termini René Schwok, professore di Scienze politiche e diritto internazionale a Ginevra. Il testo finale si limita a condannare la minaccia delle armi nucleari, a chiedere il ritorno in Ucraina dei bambini deportati in Russia e ad affermare la necessità di avere una navigazione commerciale libera e sicura, in particolare sul Mar Nero. Un aspetto, quest’ultimo, connesso al tema della sicurezza alimentare, oggetto di trattative precedenti. «È una pura dichiarazione di principio e, verosimilmente, il fatto di limitare la dichiarazione finale ai tre temi, con una particolare attenzione alla sicurezza alimentare, è stato un modo per coinvolgere maggiormente i Paesi del sud globale, direttamente toccati dal tema. Non a caso, sono proprio questi Paesi ad aver ribadito la necessità di una soluzione rapida al conflitto anche indipendentemente dal diritto internazionale.

Il documento finale ha ribadito la centralità del diritto internazionale e il rispetto dei confini nel processo di pace. Quali sono le implicazioni geopolitiche?

La Svizzera, insieme al fronte occidentale e alla stessa Ucraina, ha ribadito a più riprese di volere una pace giusta e duratura, sulla base del diritto internazionale e dello Statuto delle Nazioni Unite. «Il riferimento al diritto internazionale implica che l’annessione della Crimea e dei territori russofoni del Donbass debbano essere annullati», spiega Schwok. «Una premessa di questo tipo esclude ogni forma di compromesso a vantaggio del Cremlino su eventuali cessioni territoriali. Dal punto di vista strettamente logico - prosegue Schwok - l’unica soluzione sarebbe quindi che l’Ucraina rinunci spontaneamente a questi territori (altrimenti si continuerebbe a violare il diritto internazionale), oppure che la Russia venga sconfitta sul terreno». Negli scorsi giorni, l’alto diplomatico svizzero Thomas Greminger, intervistato dal CdT, ha affermato che la dichiarazione finale non avrebbe fatto riferimento esplicito alla questione dell’integrità territoriale dell’Ucraina. «In realtà, il tema è presente con un certa insistenza», aggiunge Schwok. «A queste condizioni, non vedo bene come si possa avanzare nel processo di pace».

La proposta di negoziato formulata venerdì da Vladimir Putin è compatibile con il diritto internazionale?

No. La Russia, dal 24 febbraio 2022, ha violato alcune norme del diritto internazionale, fra cui quella che regola l’uso della forza nella Carta delle Nazioni Unite, spiega dal canto suo Paola Gaeta, docente di diritto internazionale all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. «L’invasione dei territori ucraini è contraria al diritto internazionale. Pertanto Kiev e i suoi alleati, a queste condizioni, non sono disposti a sedersi attorno a un tavolo». Putin, invece, come condizioni per un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati, ha chiesto l’impegno ufficiale di Kiev a non aderire alla NATO e, soprattutto, il ritiro delle truppe ucraine dalle quattro regioni (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson) parzialmente controllate dalle truppe russe. «Le due parti sono ancora troppo distanti».

Quanto saranno fondamentali i rapporti di forza sul terreno?

Saranno decisivi. È molto probabile che l’inizio di un vertice negoziale coincida con la supremazia di una parte sull’altra. «A quel momento il diritto internazionale potrebbe essere superato dagli eventi a favore di una pace de facto, ma non de jure. Esempi di questo tipo, storicamente, esistono», commenta ancora Schwok. Attualmente la sostanziale stabilità nel conflitto non permette di convergere verso un piano di pace condiviso dalle parti. «Nell’interesse delle vittime si vorrebbe la pace», rileva Gaeta. «Ma allo stato attuale, la comunità internazionale è contraria a un piano di pace che preveda concessioni territoriali, in quanto teme che Putin possa fare lo stesso con altri Paesi». Secondo Gaeta, quindi, l’Occidente deve difendere il diritto internazionale.

Perché il rispetto della Carta ONU è così fondamentale per l’ordine mondiale?

«L’aggressione russa è una flagrante violazione dei principi sui quali è stato costruito il nuovo ordine mondiale dopo il 1945». Secondo Gaeta, però, Mosca sta tentando di sovvertire questi principi accettati con la Conferenza di Jalta. «Prima di allora, la conquista di territori con la forza non era vietata nel diritto internazionale. Oggi, ribadire la centralità di questo principio è importante, altrimenti il rischio è di aprire la porta a qualsiasi tentativo di invasione territoriale o di annessione illegale», sottolinea Gaeta.

Si è parlato dell’Arabia Saudita quale possibile Paese organizzatore del prossimo vertice. Lo Stato arabo, però, non ha sostenuto il comunicato. È forse una mossa diplomatica?

Berna, a gennaio, ha accettato di organizzare il vertice su esplicita richiesta dell’Ucraina, compromettendo così la possibile presenza di Mosca. Il Cremlino vorrebbe un mediatore a suo favore o quantomeno imparziale. L’Arabia Saudita, che sarebbe interessata a ospitare la prossima conferenza a Riad, ha probabilmente deciso di non esporsi domenica per mantenere intatte le possibilità di coinvolgere la Russia, ma anche Paesi di peso come Cina e Brasile. Zelensky, dal canto suo, vorrebbe un nuovo vertice già prima delle elezioni statunitensi di novembre. Sembra però complicato: alcuni capi di Stato – tra cui il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente lettone Edgars Rinkevics – hanno spiegato che difficilmente nel 2024 si terrà un secondo summit paragonabile al vertice del Bürgenstock. È più probabile che si ripiegherà su incontri ministeriali su singoli punti dei vari piani di pace.

A livello diplomatico, il ruolo della Svizzera dopo il Bürgenstock è cambiato?

Sul tema i pareri divergono. Secondo Schwok, «con questa conferenza la Svizzera non ha offerto solo uno spazio di dialogo per le grandi potenze, ma anche un preciso quadro politico entro il quale dialogare». Secondo l’esperto di diritto internazionale «con questa mediazione la Confederazione ha superato i limiti dei buoni uffici tradizionali». In maniera chiara, Berna ha riconosciuto l’esistenza di un aggressore e di un aggredito, schierandosi a difesa del diritto internazionale. «In diverse occasioni la Svizzera ha riunito attorno allo stesso tavolo Paesi in conflitto. In questo caso, però, ha invitato solo una delle parti». In un certo senso, stiamo assistendo a un cambio di paradigma nella diplomazia svizzera? «Non dobbiamo esagerare con questa lettura. Non credo che la scelta metta in discussione la neutralità svizzera, che rimane salda. Tuttavia, non ricordo un caso simile». Di parere opposto Greminger, secondo il quale il vertice rientrava perfettamente nella tradizione elvetica dei buoni uffici. Ad ogni modo, la Confederazione ha ribadito la volontà di proseguire con un ruolo attivo nella ricerca della pace.