Chiasso crede ancora nella «crypto valley»

Lugano, con il suo Plan B, è diventata il principale centro di gravità ticinese per tutto ciò che riguarda le criptovalute. Ma la prima città a mettere una fiche su questo ambito, quattro anni fa, è stata Chiasso, in particolare dando la possibilità di pagare le imposte in Bitcoin. L’idea di fondo era diventare una «crypto valley» e attirare sul territorio aziende del settore e contribuenti provvisti di cripto capitali. Era, o è ancora? Lo abbiamo chiesto al sindaco della cittadina.
Sindaco Arrigoni, Lugano è lanciatissima nel mondo delle criptovalute e delle tecnologie ad esse legate, come la blockchain, mentre a Chiasso il tema è finito fuori dai radar della discussione pubblica: per voi è un capitolo chiuso?
«Direi di no. Sicuramente se ne parla meno rispetto a quattro anni fa, ma questo è dovuto in gran parte agli effetti della pandemia. Qui di società attive nel settore del fintech in generale ce ne sono ancora. Il grosso problema, per noi, è capire quante di queste aziende si occupano in modo specifico di criptovalute o di blockchain: a livello federale vengono registrate tutte come imprese finanziarie, ed è una categoria piuttosto vasta. Un altro problema è il fatto che queste società si spostano abbastanza facilmente da un luogo all’altro. Alcune che avevano aperto a Chiasso, ad esempio, una volta cresciute, si sono trasferite in altri Paesi. A questo proposito, prima della pandemia, per fare in modo che il settore potesse mettere delle radici nel nostro territorio, avevamo contattato il Cantone per promuovere un percorso formativo ad hoc, ma alla fine non se n’era fatto nulla. Quel discorso lo ha poi rilanciato Lugano (con un corso estivo tenuto alla Franklin University, ndr) che ha una forza maggiore rispetto a Chiasso. I loro passi, noi, li seguiamo con interesse, perché un progetto come il Plan B può portare benefici anche ad altre realtà in Ticino».
Prima di lanciare il suo progetto, Lugano vi ha chiesto dei consigli o delle indicazioni sul settore, dato che voi lo avevate già studiato?
«No, non abbiamo avuto dei contatti in tal senso, ma credo che abbiamo fatto tutte le valutazioni necessarie»
Allora ve lo chiediamo noi per conto loro: che consigli dareste a Lugano su come muoversi in questo ambito?
«Buona domanda. Una cosa che a Chiasso abbiamo sempre messo in chiaro è il principio di non esporre il nostro Comune a rischi finanziari (come ha fatto finora anche Lugano, ndr). Infatti le imposte pagate in Bitcoin vengono subito convertite in franchi».
E i rischi a livello d’immagine, nel caso in cui le aziende partner o in generale basate sul territorio prendano una brutta piega?
«Quando si esplorano dei mercati nuovi, alcuni rischi bisogna correrli. Fa parte del gioco. Altrimenti non si va da nessuna parte».


A proposito di mercati nuovi e mercati «classici», il settore bancario chiassese come aveva accolto la vostra iniziativa? A Lugano qualche malumore è stato espresso, e al momento fra gli istituti di credito e le società di criptovalute sembra esserci soprattutto concorrenza.
«Le banche in generale sono sempre state molto guardinghe su questo ambito, per svariati motivi. Sarà il mercato a dire se fra le parti potrà esserci un riavvicinamento o meno. È una questione molto delicata. Per quanto riguarda l’iniziativa di Chiasso, di feedback negativi non ne avevamo avuti. Del resto eravamo legati alla monocultura del segreto bancario e dovevamo, dobbiamo ancora cercare nuove vie, pensando al futuro professionale dei nostri giovani».
I contribuenti di Chiasso che pagano le imposte in Bitcoin si possono contare sulle dita di una mano e forse vi aspettavate di attirare un numero maggiore di aziende del settore: cosa non ha funzionato finora nel vostro progetto?
«Non direi che non ha funzionato qualcosa, perché le società del settore che abbiamo accolto ne hanno attirate altre attive in generale nella tecnofinanza, o nel mercato delle applicazioni. Bisogna avere uno sguardo d’insieme, e noi vogliamo far passare il messaggio che la piazza finanziaria di Chiasso è aperta alle nuove tecnologie, che non riguardano solo le criptovalute. Ritengo che il nostro progetto sia un work in progress. Sicuramente è stato rallentato dalla pandemia, ma non dobbiamo smettere di seguire questa via».