«Dazi e confini sono materie molto complesse e difficili da governare per decreto»

Marco Sioli, professore associato di Storia e istituzioni dell’America del Nord all’Università Statale di Milano, da anni studia la politica e la società statunitensi. Il suo ultimo libro è Central Park. Un'isola di libertà (Elèuthera, 2023). Il Corriere del Ticino gli ha chiesto di commentare i decreti firmati da Donald Trump nel primo giorno del mandato presidenziale.
«Siamo di fronte a un numero elevato di ordini esecutivi che difficilmente potranno trasformarsi in realtà, in particolare quelli relativi all’immigrazione, materia veramente complessa - dice Sioli - Molti hanno forse dimenticato come sia stato Barack Obama il primo a portare l’Esercito su quel confine. Altrettanto complicato sarà anche applicare i dazi doganali: chi sarà penalizzato reagirà, com’è sempre accaduto pure in passato. Nel suo discorso di insediamento, Trump ha citato William McKinley, che fu presidente dal 1897 al 1901. McKinley impose i dazi, ma scatenò l’immediata reazione di tutte le nazioni europee, aprendo una crisi e costringendo gli Stati Uniti a cercare nuovi mercati. Cosa che oggi è diventata ancora più difficile».
Ritiene che le politiche protezionistiche, alla fine, possano essere inutili?
«La storia insegna che voler dominare l’economia in questo modo è molto rischioso. Proprio quanto accadde a McKinley lo dimostra, se pensiamo alle concessioni fatte ai banchieri poi definiti Robber Baron, i baroni ladri - mi riferisco a JP Morgan, Andrew Carnegie, John D. Rockefeller - o agli aiuti concessi dai predecessori a industriali come George Pullman. Tutte scelte sulle quali altri dovettero in seguito porre rimedio, a partire da Theodore Roosevelt».
Pensa che i miliardari di allora siano in qualche modo simili ai miliardari di oggi, i giganti del Web che Biden ha chiamato «oligarchi» e che in Campidoglio erano schierati alle spalle di Trump? Almeno in apparenza, anche loro chiedono sostanzialmente mano libera negli affari, e Trump sembra avergliela data.
«Certo, e impressiona soprattutto il fatto che assieme agli altri ci fosse anche Shou Zi Chew, il CEO di Tik Tok, social medium tuttora nelle mani del Governo cinese».
Come giudica la minaccia del presidente americano di utilizzare la forza contro Panama per riprendersi il Canale? E in che modo è possibile valutare l’affermazione sulla «necessaria espansione territoriale», forse riferita alla Groenlandia?
«Le promesse di usare la forza per il Canale di Panama o per la Groenlandia sembrano, dal mio punto di vista, boutade per attirare l’attenzione su di sé, sono quasi una pantomima della grandezza americana. Trump ha parlato di una Golden age per gli Stati Uniti, di una età dell’oro, ma se non fosse stato per la crescita dell’inflazione, sicuramente i 4 anni di amministrazione Biden potrebbero definirsi una Golden age: mai così tanti dollari sono stati riversati nell’economia del Paese. Purtroppo, così come ho potuto constatare di persona nel mio recente viaggio da Chicago fino alla Georgia, i prezzi sono letteralmente insostenibili per molti che vivono del proprio lavoro, e anche per questo si spiega il successo di Trump».
Che America sarà, secondo lei, quella del secondo mandato presidenziale di Donald Trump?
«Difficile dirlo. Nel suo discorso di insediamento Trump ha parlato di Destiny, di destino, e in modo molto significativo ha scelto di legarsi a Dio. In questo senso, siamo di fronte a una sorta di ritorno al passato, a un’America bianca, protestante, non razzista ma suprematista. Un’America dalla quale scompaiono i colori, in cui tutto è molto più semplice e sembrano svanire le differenze, le complessità».