«Dedichiamo il nostro film, Shayda, alle donne coraggiose»
Il Locarno film Festival si chiude con la proiezione di Shayda in Piazza Grande, opera prima della regista Noora Niasari e ispirata alla sua vita: una madre (Shayda appunto, interpretata da Zar Amir Ebrahimi) e una figlia (Selina Zahednia nel ruolo di Mona) cercano rifugio in Australia, in una casa accoglienza per donne, lasciandosi alle spalle le violenze subìte in Iran dall’uomo di famiglia, suo marito (Osamah Sami), che non accetta né il divorzio né di lasciare l’esercizio dei suoi diritti del sistema patriarcale. Una storia ad alta tensione voluta da Cate Blanchett (produttrice esecutiva) e con la partecipazione di Leah Purcell nel ruolo di Joyce, responsabile del rifugio. Il significato del nome Shayda, quello della protagonista, può essere tradotto con il termine «ammirevole». I nomi, in Iran, riflettono l’identità individuale, la discendenza familiare e possono anche avere un significato religioso.
Una vicenda al femminile. Che parla di coraggio. E di amore, anche. Cate Blanchett l’ha scoperta e voluta, tanto da arrivare a produrla, incassando un meritato Premio del pubblico al Sundance film Festival. La grande stella del cinema sarebbe dovuta pure arrivare a presentarla a Locarno, ma lo sciopero del sindacato degli attori statunitensi non le ha permesso di imbarcarsi sull’aereo che avrebbe dovuto portarla alla prima europea. Una pellicola di conflitti, paure e manipolazioni che ricalca quanto vissuto dalla regista, che qui vediamo interpretata dalla piccola Selina Zahednia, 6 anni, Mona nel film.
Noora Niasari, qual è l’aspetto più difficile della realizzazione di Shayda?
«Una delle sfide più grandi è stata proteggere proprio Selina, che interpreta la mia esperienza di vita, insieme a mia madre, in casa rifugio australiana. Era importante tenerla alla larga dai traumi mostrati dal film».
E com’è andata?
«Molto bene, per fortuna. Ho creato, in ogni scena, momenti alternativi adatti ai bambini. Lei non sapeva mai cosa stava succedendo davvero. Ho anche realizzato una versione ridotta del lungometraggio, di soli 15 minuti, proprio per il pubblico più giovane e l’ho mostrata a lei e alla sua famiglia. Lei si è divertita a vedersi sullo schermo, ma non ha capito di cosa parlasse il film. È ancora la stessa bambina felice e spensierata che era prima di iniziare le riprese».
Su voi adulte, invece, che impatto ha avuto?
Zar Amir Ebrahimi: «Le riprese sono state molto intense. Mi hanno fatto riflettere su temi importanti come la violenza, il trauma, la maternità, l’identità, la speranza. Ho perso quattro o cinque chili! Piangevo tutti i giorni, ma ho anche imparato molto. Mi hanno fatto anche scoprire una parte di me che non conoscevo, quella di una madre che vuole salvare sua figlia da un padre violento. Mi hanno fatto crescere come attrice e come persona».
Noora Niasari: «Certo, è stata dura ripercorrere quei ricordi. Ogni giorno era una scoperta, soprattutto per il fatto di poter lavorare con Zar. Lei ha dato molto a questo progetto. E per me è stato come vivere una doppia vita sul set. Ero coinvolta emotivamente ma dovevo essere presente e concentrata con tutto il gruppo. Dovevo anche trovare un certo equilibrio tra le forti emozioni nel film e il fatto di dover raccontare una storia».
Qual è il punto del film?
Zar Amir Ebrahimi: «Pensavo fosse sul superamento dei traumi, ma a bocce ferme posso dire che si tratta, in effetti, di come imparare a conviverci. Bisogna farlo. Perché certe ferite lasciano il segno e non le dimenticherai mai. Saranno con te fino alla fine dei tuoi giorni».
Noora Niasari: «Questo lavoro ti permette di entrare nei suoi panni e capire cosa si prova a essere una donna in quella situazione. Una donna che si aggrappa con disperazione alla sua cultura, ma allo stesso tempo vuole fuggire».
I fatti si svolgono in un momento e in un luogo particolare.
Noora Niasari: «Sì. Durante il Nowruz, la ricorrenza che celebra il nuovo anno con l’arrivo della primavera. Ma siamo nell’altro emisfero ed è inverno. Dovrebbe esserci la gioia e invece troviamo un’atmosfera del tutto differente da quella che siamo abituate a vivere».
Zar Amir Ebrahimi: «In un contesto così alieno, poi, devi pensare a proteggere la tua bambina, innocente, da un padre che potrebbe portartela via in qualsiasi istante caricandola su un aereo. In qualche modo sono tutti vittime, anche se non penso sia la parola giusta, di un sistema educativo. Della tradizione, della religione».
Il che ci porta alla figura del padre/marito, Hossein.
Zar Amir Ebrahimi: «Osamah (Sami, attore australiano, ndr) è stato fantastico. Al contrario di me, che ho avuto la fortuna di incontrare e parlare a lungo con la madre di Noora, ha dovuto colorare il suo personaggio. Noora non voleva che ci fosse un giudizio, su di lui. Voleva evitare che si trasformasse in una sagoma di cartone monocromatica, bianca o nera. Lui si è trovato in una posizione più distante dal suo personaggio e ha colmato in modo eccelso questo spazio lasciato libero».
Per tornare alla gabbia della tradizione, delle religioni...
Noora Niasari: «Questo film raccota una storia universale. L’esplosione delle proteste contro il regime in Iran con il motto ‘Donna, vita libertà’ scandito per le strade è arrivata nelle fasi finali della realizzazione di Shayda. Tuttavia, ci fa piacere notare che qui a Locarno non vediamo nessuno dell’industria cinematografica legata al regime. Cosa che non succede in altri festival».
Dedicate questo lavoro a qualcuno?
Noora Niasari: «Esprimo ammirazione per l’orgoglio, il coraggio e la resistenza delle donne iraniane, che affrontano le sfide e i traumi imposti dal regime oppressivo. Dedichiamo questo film a tutte loro, come a tutte le donne che hanno la forza di continuare a lottare per i loro diritti».
Che ne pensate della Piazza Grande di Locarno, trasformata in una sala cinematografica?
Noora Niasari: «Wow! Quanta emozione! Arrivo dall’Australia e trovarmi di fronte a ottomila persone che guarderanno il mio lungometraggio è qualcosa di incredibile. Sono sempre stata emozionata da questa cornice molto particolare. Voglio proprio capire come il pubblico reagirà al film. Come lo recepirà. Anche perché una gran fetta è composta da persone comuni, non da addetti ai lavori».
Zar Amir Ebrahimi: «Sono d’accordo con Noora. Mi mancano le parole e penso che sia un grande momento di condivisione. E scorreranno tante lacrime!».