Diritto all'oblio: il difficile equilibrio tra informazione e limiti della privacy
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Qual è il limite tra il dovere di informare da parte di chi pubblica una notizia e il diritto alla privacy di chi invece ne è oggetto? È la dicotomia nella quale si muove il diritto all’oblio, il diritto a essere dimenticati, prerogativa invocata per non vedere più il proprio nome reso pubblico dai media e accostato a una determinata vicenda. Ma fino a che punto si può arrivare? Nel nostro ordinamento giuridico entrano in gioco due diritti garantiti dalla Costituzione svizzera: l’articolo 13 sulla protezione della sfera privata e gli articoli 16 e 17, dedicati rispettivamente alla libertà d’opinione e di informazione e alla libertà dei media. Sui piatti della bilancia si trovano dunque l’interesse pubblico di informare contrapposto all’interesse privato di tutelare la propria sfera privata. Il campo dove il diritto all’oblio viene più frequentemente invocato è la cronaca giudiziaria, scrivendo della quale non è sempre facile conciliare queste due necessità contrapposte.
La materia è fatta di molte questioni mai risolte chiaramente, basti pensare che non c’è nemmeno un articolo giuridico espressamente riferito al diritto all’oblio. Questione che abbiamo approfondito insieme all’avvocato Paolo Bernasconi, ex procuratore pubblico. «Non esistendo specifiche norme di legge, bisogna affidarsi a principi generali riguardanti la tutela della personalità, codificati dagli articoli 28 e seguenti del Codice civile», spiega subito Bernasconi. Inoltre, il diritto all’oblio non è un diritto assoluto. Non può quindi essere invocato in qualsiasi situazione. Ogni volta, entrando nello specifico del caso in questione, andrà fatta una ponderazione degli interessi in gioco, valutando se vi sia effettivamente un interesse superiore e preponderante che giustifichi la lesione della personalità descritta all’articolo 28 del Codice civile.
Tempo, fama, recidiva
Ci sono, ad esempio, due elementi che possono indebolire e relativizzare la portata del diritto all’oblio: la recidiva e la fama. Entrambe si basano sull’interesse superiore nell’informare e tutelare l’opinione pubblica. In caso di recidiva di un reato, l’autore che torna alla ribalta per un caso di cronaca giudiziaria può vedersi ricordato anche quanto commesso in precedenza se questa storia ha un legame stretto con il nuovo reato. L’altro elemento è la fama: se la persona o l’azione rivestono una grande importanza storica o hanno profondamente colpito l’opinione pubblica, allora è possibile che la vicenda venga citata come esempio o ricordata anche negli anni successivi senza che il diritto all’oblio possa avere la meglio. Il tempo trascorso, poi, è un altro fattore da considerare quando una persona invoca il diritto all’oblio. «Tuttavia, non esiste una norma legale chiara e specifica nemmeno in questo caso», sottolinea Paolo Bernasconi. Quindi, «i Tribunali, civili e penali, sono costretti a procedere caso per caso, tenendo conto del principio di proporzionalità e, di conseguenza, della gravità dei reati in gioco, del tempo trascorso e specialmente della notorietà delle persone coinvolte».
Un altro tema inerente al diritto all’oblio e sollevato da Bertil Cottier, professore ordinario di Diritto della comunicazione all’USI, nel suo articolo Chronique judiciaire: avec ou sans les noms?, è la questione dell’anonimizzazione su Internet. Cercando in rete con parole chiave, infatti, è piuttosto facile imbattersi in vecchi articoli che riportano nomi e cognomi. Si può domandarne l’anonimizzazione? Visto che, come rileva Cottier, la risposta dei Tribunali si fa ancora attendere, in aiuto arriva la deontologia del Consiglio svizzero della stampa. Questa spiega che «se un’anonimizzazione sistematica dei contenuti online sarebbe sproporzionata, al contrario può essere domandata una depersonalizzazione puntuale». Il soggetto deve naturalmente avere un interesse legittimo da far valere, come ad esempio la perdita dell’impiego.
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Personaggi conosciuti
Temi strettamente legati al diritto all’oblio sono la pubblicazione dei nomi e l’identificazione in cronaca giudiziaria. Le regole attuali in Svizzera sono ferree: di principio, non si può divulgare alcun nome, immagine o dettaglio che possa far risalire all’identità delle persone coinvolte. Sia imputati che vittime. Questo in funzione della presunzione di innocenza (che vige sempre in uno Stato di diritto) e della protezione della personalità (art. 28 e segg. CC). Accanto alla regola troviamo però anche zone grigie ed eccezioni. Una di queste - forse la principale - riguarda le persone pubbliche per le quali il diritto all’oblio appare più sfumato. Anche qui si deve fare capo a dottrina e giurisprudenza. Queste due fonti complementari del diritto, rileva Bernasconi, «riconoscono in generale sia nel procedimento penale sia in quello civile, che il principio della pubblicità e della trasparenza debba essere rispettato in particolare quando sono coinvolte persone conosciute a livello pubblico e specialmente persone che rivestono cariche pubbliche». I personaggi pubblici sono coloro che esercitano una professione a responsabilità accresciuta (avvocati e notai), o sono famosi (celebrità, attori, sportivi) o sono attivi nella vita pubblica (politici, funzionari), tanto da risultare comunemente noti. Ma non è detto che questo possa bastare per rivelare (e ricordarne) l’identità. Se il personaggio pubblico è la vittima il nome non deve essere fatto. Se invece si tratta dell’imputato non sempre questo fattore è sufficiente. Bisogna soppesare anche altri elementi, come valutare se i fatti imputati sono stati commessi nell’esercizio di un’attività o funzione pubblica. E tenere in conto - spiega la giurisprudenza - anche della «notorietà sulla piazza», della gravità del reato ipotizzato e dell’esigenza di proteggere la vittima. In tal senso, una norma importante che sancisce questo tipo di limitazioni è l’articolo 74 del Codice di procedura penale (CPP), spiega Bernasconi: «Nell’ambito di un’inchiesta o di un processo penale, l’autorità giudiziaria e in particolare il Ministero pubblico, può ordinare un divieto per proteggere l’efficacia di un’inchiesta in corso o per proteggere gli interessi della vittima».
Come si cambia
È utile ricordare quanto la legge nel tempo possa essere dinamica e quanto queste regole in passato fossero diverse. Basta fare un salto indietro nel tempo, nemmeno troppo lontano, per imbattersi in articoli di cronaca giudiziaria pieni di nomi, cognomi, professioni e immagini. Negli anni Settanta non c’era praticamente alcun limite: la stampa forniva dettagli di ogni tipo e poteva riprendere le parti durante un processo. I cronisti della giudiziaria godevano di libertà che oggi non esistono più: ottenevano informazioni direttamente da agenti di polizia e procuratori, con le classiche “soffiate”. Libertà che poco per volta si sono affievolite. Per arrivare, nel 2011, al vero cambio di rotta con la revisione del CPP e l’introduzione di articoli molto restrittivi sulla pubblicazione dei nomi. Rispetto alle regole citate poco fa, prima del 2011 si poteva fare il nome se si trattava di un personaggio pubblico, accusato di reati avvenuti nell’esercizio di specifiche professioni o se processato alle Assise criminali. L’unica eccezione era per gli autori di reati sessuali, onde evitare l’identificazione secondaria delle vittime. Quanto alle vittime, prima della revisione, il loro nome (esclusi sempre i reati sessuali) veniva fatto sistematicamente anche in caso di morte. Oggi questa prassi è vietata, come per tutti i dettagli che possono condurre all’identificazione, a meno che non siano i parenti a dare espressamente il consenso alla pubblicazione (art. 74 CPP).
I paradossi dei confini
Un altro tema dibattuto è quello dei paradossi in materia di nomi e di oblio che troviamo in presenza di confini, sia geografici sia virtuali. «In generale, le norme giuridiche svizzere sono più protettive dell’immagine privata rispetto alle norme legali di altri Paesi», commenta Bernasconi. E la pratica ne è la conferma. Due casi su tutti spiegano bene questi paradossi. Nel giallo di Stabio - l’omicidio di una maestra ticinese le cui indagini si sono svolte a cavallo del confine tra Svizzera e Italia - i media italiani si sono occupati del caso con dovizia di nomi, immagini e dettagli privati delle persone coinvolte mentre, a pochi chilometri di distanza, vigeva il massimo riserbo. Sempre di confini, ma questa volta virtuali, si è trattato per il delitto di Muralto - una giovane inglese uccisa in un albergo dal proprio compagno al culmine di una lite - mentre la cronaca locale doveva tacere ogni dettaglio che potesse portare all’identificazione dell’autore e della vittima, sui social media (e anche sulla stampa britannica) la storia aveva un’eco enorme con tanto di nomi e immagini della coppia. Da sottolineare anche che, di principio, la legge svizzera non autorizza la pubblicazione di dettagli personali solo perché altri lo hanno già fatto. Queste discrepanze hanno fatto riflettere anche la politica: a seguito del caso di Muralto, il consigliere agli Stati Fabio Abate ha presentato una mozione che proponeva di allargare le maglie dell’articolo 74 CPP in materia di protezione della personalità. Come dimostrato, tali regole appaiono superate e vengono aggirate generando paradossi che svantaggiano i media svizzeri. Negativa però la risposta del Consiglio federale: «Il diritto in vigore pondera giustamente i diversi interessi in gioco. Inoltre, proprio i social media imporrebbero di aumentare la protezione dei diritti della personalità invece di indebolirla». Insomma, il fatto che l’identità di vittime o imputati sia pubblicata nelle reti sociali o nei media tradizionali non costituisce un motivo sufficiente. Una questione, legata a quella del diritto all’oblio, destinata a muoversi nelle zone grigie e a fare ancora discutere.
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Una sfera da proteggere: come definire il concetto di rispetto della vita privata
Articolo 13 Costituzione federale: «Ognuno ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua abitazione, della sua corrispondenza epistolare nonché delle sue relazioni via posta e telecomunicazioni. Ognuno ha diritto d’essere protetto da un impiego abusivo dei suoi dati personali».
Due garanzie fondamentali: formare la propria opinione e ricevere informazioni
Articolo 16 Costituzione federale: «La libertà d’opinione e d’informazione è garantita. Ognuno ha il diritto di formarsi liberamente la propria opinione, di esprimerla e diffonderla senza impedimenti. Ognuno ha il diritto di ricevere liberamente informazioni, nonché di procurarsele presso fonti accessibili a tutti e di diffonderle».
Una norma che vieta la censura e fonda il rispetto della libertà di stampa e di tutti i media
Articolo 17 Costituzione federale: «La libertà della stampa, della radio e della televisione nonché di altre forme di telediffusione pubblica di produzioni e informazioni è garantita. La censura è vietata. Il segreto redazionale è garantito».
Descrizione della tutela del diritto della personalità contro le lesioni illecite
Articolo 28 Codice civile: «Chi è illecitamente leso nella sua personalità può, a sua tutela, chiedere l’intervento del giudice contro chiunque partecipi all’offesa. La lesione è illecita quando non è giustificata dal consenso della persona lesa, da un interesse preponderante pubblico o privato, oppure dalla legge».
L’articolo che ha introdotto le maggiori restrizioni nella diffusione dei nomi
Articolo 74 Codice di procedura penale: «Il pubblico ministero e il giudice e, con il loro consenso, la polizia possono informare il pubblico su procedimenti pendenti se è necessario affinché la popolazione collabori a far luce su reati o nella ricerca di indiziati; per mettere in guardia o tranquillizzare la popolazione; per rettificare notizie o voci inesatte o data la particolare importanza del caso. La polizia, senza far nomi, può inoltre informare il pubblico di propria iniziativa su incidenti e reati. Il pubblico viene informato rispettando il principio della presunzione di innocenza e i diritti della personalità degli interessati. Qualora sia coinvolta una vittima, le autorità e i privati possono, al di fuori di una procedura giudiziaria pubblica, divulgarne l’identità o informazioni che ne consentano l’identificazione soltanto a due condizioni: se la collaborazione della popolazione è necessaria per far luce su crimini o per la ricerca di indiziati o se la vittima è deceduta e i suoi congiunti vi acconsentono».
Un campo d’applicazione più largo per l’identificazione delle persone in causa
Direttiva 7.2 del Consiglio della stampa: «L’identificazione è lecita se, in rapporto all’oggetto del servizio, la persona appare in pubblico o acconsente in altro modo alla pubblicazione; se la persona è comunemente nota all’opinione pubblica e il servizio si riferisce a tale sua condizione; se riveste una carica politica o una funzione dirigente nello Stato o nella società e il servizio si riferisce a tale condizione; se la menzione del nome è necessaria per evitare un equivoco pregiudizievole a terzi; se la menzione del nome o l’identificazione è in altro modo giustificata da un interesse pubblico prevalente. Se l’interesse alla protezione della sfera privata delle persone prevale sull’interesse del pubblico all’identificazione, il giornalista rinuncia alla pubblicazione dei nomi e di altre indicazioni che la consentano a estranei o a persone non appartenenti alla famiglia o al loro ambiente sociale o professionale, e ne verrebbero pertanto informati solo dai media».