La protesta

«È ora di far sentire la voce delle donne iraniane»

Le testimonianze dal corteo sfilato per le strade di Bellinzona in occasione della giornata della donna: «Avremo pace solo rovesciando il regime»
Marjan Holdener, organizzatrice della manifestazione a Bellinzona, e Tannaz Najafi, studentessa a Ginevra e intervenuta con un discorso sulla condizione delle studentesse iraniane
Jona Mantovan
09.03.2023 13:45

Le donne iraniane alzano la loro voce per protestare contro il regime della repubblica islamica. Anche a Bellinzona. Circa duecento persone, infatti, hanno scandito lo slogan «Donna, vita, libertà» al corteo sfilato in occasione della Giornata internazionale della donna di ieri, mercoledì. Da Viale Stazione a Piazza Governo, rappresentanti dell’associazione Donne iraniane, del Coordinamento Donne della Sinistra, Amnesty International, GISO, POP e UNIA hanno manifestato contro la repressione in Iran. «Siamo qui per farci sentire», ha detto l'organizzatrice, Marjan Holdener, al Corriere del Ticino. «Vogliamo portare il messaggio del popolo iraniano. Sono in troppi a subire violenze, a essere morti per mano delle autorità. Dobbiamo fare qualcosa», afferma con forza la 49.enne, che nella vita ama definirsi mediatrice interculturale. La donna dice di trovarsi qui «per amore, perché ho sposato uno svizzero. All'epoca non c'erano così tanti problemi. Ma poi la situazione è peggiorata. E adesso, con la morte di Mahsa Amini, è ora di dire basta». Tra gli interventi sul palco, anche quello della studentessa universitaria, a Ginevra, Tannaz Najafi, 26 anni e nata a Teheran. «All'età di due anni e mezzo, nel 1999, i miei genitori sono scappati e sono arrivati qui, come tanti altri profughi, dopo tre mesi di viaggio». Un tempo, prima che l'ayatollah fosse al potere, la monarchia aveva un'impostazione moderna. «Ma si parla di tanti anni fa, prima del 1979». Ma cosa deve succedere per tornare indietro fino a quell'epoca? «Deve cadere questo regime, forse sarà possibile con l'aiuto di enti internazionali», dice Naser Pejman, scrittore e traduttore iraniano. Il 67.enne è solo una delle tanti voci maschili presenti alla campagna di azione.

Già, la collaborazione da parte del mondo occidentale. È per questo che gli attivisti chiedono anche le dimissioni dell’ambasciatrice svizzera nella Repubblica islamica dell’Iran, Nadine Olivieri Lozano. Pejman ha con sé svariati moduli per raccogliere firme a sostegno della petizione. «È scandaloso che ci sia ancora un'ambasciata svizzera in Iran – sottolinea Najafi –. Il fatto che la Svizzera sia neutrale non vuol dire che lo si debba restare quando la dignità umana è calpestata. Ci sono certe cose a cui non si può rimanere neutrali in alcun modo. E questa è proprio una di quelle». 

«Deve essere cambiata la mentalità, in particolare delle rappresentanze della Confederazione – le fa eco Pejman –. Loro vedono questo regime islamico solo come una superpotenza. Non possono dire no a loro, fanno tutto quel che loro vogliono», sbotta mentre sfoglia la raccolta di firme. In un paio d'ore, sono almeno una dozzina le pagine, tutte piene.

Sono state prese subito posizioni forti contro la Russia per la guerra in Ucraina. Mentre nei confronti dell'Iran si chiudono gli occhi e le orecchie. È come se nulla fosse accaduto
Tannaz Najafi, 22 anni, studentessa a Ginevra

Togliere di mezzo il regime

«Sono state prese subito posizioni forti contro la Russia per la guerra in Ucraina», evidenzia ancora la giovane studentessa. «Mentre nei confronti dell'Iran, che ricordo essere oppressa da una quarantina d'anni con i ragazzi condannati senza processi, si chiudono gli occhi e le orecchie. È come se non ci fosse niente».

«È arrivato il momento delle rivoluzioni per mano dei giovani», spiega l'organizzatrice, Holdener. «Dobbiamo togliere di mezzo questo governo. «Dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa solo perché non indossava lo scialle sulla testa come volevano loro, le proteste sono aumentate. Ma anche le violenze. Manifestazioni come queste, la presa di coscienza del mondo Occidentale, aiuta a frenare la sete di sangue di questo regime, perché si sentono al centro dell'attenzione».

Non sono solo le donne a decantare lo slogan ‘Donna, vita libertà’, anche gli uomini! E ne sono orgogliosi. Credo sia la prima volta, nel mondo, in cui abbiamo un movimento così forte a favore delle donne
Marjan Holdener, 49 anni, mediatrice interculturale

Scuole sotto attacco

Il regime pensava di aver messo a tacere tutte le proteste con la morte di Amini. Ma non è stato così, dice Najafi. «Da lì, il regime ha deciso di punire tutte le donne. Lo fa tramite gas tossici. Inviando persone che si infiltrano nelle scuole e lanciano questi gas velenosi. Sono migliaia le ragazze, le giovani adulte e anche le bambine, che sono in ospedale a causa di queste intossicazioni. Andare a scuola è diventato un pericolo ancor più grande di quello che era in precedenza».

Ma cosa significano le parole «Donna, vita, libertà»? Risponde ancora Holdener: «Non sono solo le donne a decantare questo slogan, anche gli uomini! E ne sono orgogliosi. Credo sia la prima volta, nel mondo, che abbiamo in corso una rivoluzione, un movimento così forte a favore delle donne. Perché sono soprattutto loro, in Iran, a essere prese di mira. Faccio un esempio: il divorzio non esiste per loro. Quel caso è contemplato solo per l'uomo. Ed è poi sempre lui a cui figli e figlie appartengono, non di certo alla madre. Solo a suo marito». Ma, c'è anche una speranza. Perché, a suo dire, il movimento è davvero tanto forte.

Per prima cosa si deve abbattere questo regime. Non una parola di più, non una di meno
Naser Pejman, 67 anni, scrittore e traduttore iraniano

Le Nazioni Unite

La morte di Amini, secondo Najafi, è stata «devastante. E ha esposto anni di crimini che il regime islamico ha tentato di coprire. Tutte queste condanne a morte emesse con processi veloci, senza possibilità di difesa una situazione disumana. Prima della rivoluzione del 1979 c'era una Costituzione monarchica. Il re aveva cercato in tutti i modi di modernizzare il popolo. Ma la fazione conservatrice l'ha interpretata come una minaccia. Si fanno discorsi di corruzione dei giovani cuori che si stavano occidentalizzando. Questa nuova generazione, tuttavia, anche grazie alla tecnologia e ai media sociali, vede altre realtà e cerca in tutti i modi di andare avanti nella battaglia».

«Sì», sembra ribadire tra sé e sé il poeta Naser Pejman, rimirando le bandiere mosse dai manifestanti seguendo il ritmo della musica tradizionale iraniana diffusa dalle casse collocate nell'area verde dello spiazzo della fontana con la foca, diventata un simbolo del governo cantonale, proprio di fronte a Palazzo delle Orsoline. La vasca in sasso è asciutta e due bambine, subito richiamate da una donna, probabilmente la madre di una di loro, si stanno rincorrendo al suo interno. Ma un bel gioco dura poco e tornano subito sul praticello. «L'unica cosa che può risolvere questo problema è il cambiamento di questo regime. Un grande referendum non sarà sufficiente, ci vorrà l'aiuto di enti come le Nazioni Unite. Una mano dal mondo Occidentale. Questo permetterà di definire il prossimo sistema. Magari un altro regime, ma per un nuovo Iran, meglio ancora se completamente democratico. Però per prima cosa si deve abbattere questo regime. Non una parola di più, non una di meno», conclude.

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