Presidenziali USA

È tutto pronto per la battaglia in Tribunale tra Democratici e Repubblicani

I trumpiani hanno già presentato un’ottantina di cause preventive - Il tycoon sin qui non ha mai detto di voler accettare il risultato, soprattutto in caso di sconfitta - Lo scontro tra gruppi di legali
Anche la Corte Suprema ha deciso di recente su questioni elettorali. © Aashish Kiphayet
Dario Campione
05.11.2024 06:00

Vincere. Vincere a ogni costo. Anche negando la realtà, se fosse necessario. Da settimane, Donald Trump ripete in ogni comizio, in ogni apparizione pubblica, in ogni intervento sui media che «questa volta non può assolutamente perdere, a meno che i democratici non imbroglino». Un ritornello ossessionante che, a detta di moltissimi osservatori, altro non è se non il preludio di una gigantesca contestazione del risultato sul piano legale, da mettere in atto subito se la vicepresidente Kamala Harris fosse dichiarata vincitrice.

Il terreno dello scontro è ormai arato. Da giorni, gli attori della possibile guerra giudiziaria tra democratici e repubblicani intensificano i propri messaggi nella direzione del conflitto. America First Legal, l’organizzazione fondata nel 2021 dall’ex assistente di Trump alla Casa Bianca, Stephen Miller, ha formalizzato nelle ultime 4 settimane almeno un’ottantina di denunce preventive.

A loro volta, i democratici hanno costituito il 65 Project, gruppo che prende il nome dal numero di cause legali infruttuose intentate nel 2020 per contestare la vittoria di Joe Biden. A settembre, 65 Project ha speso 100 mila dollari in annunci pubblicitari su riviste legali pubblicate negli Swing States - i 7 Stati in bilico secondo i sondaggi - con l’obiettivo di «avvisare» gli avvocati repubblicani del rischio di espulsione dall’Ordine in caso di azioni temerarie. Una mossa definita «intimidatoria» da America First Legal, che pochi giorni fa, il 28 ottobre, ha sporto denuncia contro uno dei leader del 65 Project, Michael Teter avvocato e professore associato di Diritto al S. J. Quinney College of Law dell’Università dello Utah.

Intervistato dalla Reuters, Teter ha spiegato che la mossa di America First Legal mostra «la paura di coloro che vorrebbero usare i Tribunali per sovvertire la democrazia», e ha ricordato come alcuni dei legali coinvolti nel tentativo fallito di Trump nel 2020 di rimanere al potere, «un tentativo che si basava su false accuse di frode diffusa», siano stati incriminati o espulsi dall’Ordine.

Vittorie e sconfitte

È facile immaginare che, nei prossimi giorni, i Tribunali statunitensi si trasformeranno quindi in una sorta di arena, dove le due Americhe che oggi si confrontano nelle urne continueranno a combattere una battaglia senza esclusione di colpi. Leciti e proibiti. Una battaglia, peraltro, che in alcune contee è già iniziata. Ad esempio, scrive la Reuters, dove i Repubblicani hanno chiesto al giudice di cambiare le regole e «purgare le liste elettorali in quello che sostengono essere uno sforzo per assicurarsi che le schede siano contate correttamente e che le persone non votino illegalmente».

Nel complesso, stando alle notizie sin qui note, il blitz legale sta vacillando: nelle ultime tre settimane, infatti, i sostenitori di Trump hanno subito almeno 11 sconfitte giudiziarie nei soli Swing States. Vero è che, mercoledì scorso, un Tribunale locale della Pennsylvania ha concesso ad alcuni elettori repubblicani una proroga del termine per il voto per corrispondenza. E sempre mercoledì scorso, la Corte Suprema degli Stati Uniti, con un voto a maggioranza, ha confermato la cancellazione di circa 1.600 persone dalle liste elettorali della Virginia; persone che, secondo i funzionari statali repubblicani, non avrebbero avuto la cittadinanza.

Tra le battute d’arresto più pesanti per i Repubblicani c’è tata, però, la causa intentata davanti al Tribunale federale della Pennsylvania per conto di sei deputati del Congresso dall’avvocato Erick Kaardal, lo stesso che nel 2020 aveva tentato di bloccare la certificazione della vittoria di Biden finendo per essere deferito da un giudice federale a un comitato etico. Nelle settimane scorse, Kaardal ha chiesto che fossero cambiate le procedure dello Stato per la verifica degli elettori all’estero, sostenendo la tesi che le stesse fossero vulnerabili alle frodi.

Il 18 ottobre, davanti al Tribunale di Harrisburg, Kaardal ha sostenuto che gli iraniani potrebbero inviare schede elettorali false dall’estero. Ma il giudice distrettuale Christopher Conner ha archiviato il caso, stabilendo che «i querelanti non possono fare affidamento su timori fantasma di illeciti stranieri per giustificare la loro mancanza di diligenza».

Retorica incendiaria

In ogni caso, contrariamente alla sua avversaria, Donald Trump non si è impegnato ad accettare i risultati delle elezioni, dicendo che lo farà soltanto «se il voto sarà equo», e ripetendo che «l’unico modo in cui i democratici possono vincere è con la frode».

Le affermazioni dell’ex presidente «sono parte di una precisa strategia, costruita soprattutto per alimentare la falsa convinzione tra molti dei suoi sostenitori che i brogli siano dilaganti - ha detto al Washington Post David Becker, fondatore e direttore esecutivo del Center for Election Innovation and Research, un’organizzazione no-profit nata nel 2016 con l’obiettivo creare fiducia nelle elezioni - Anche se i sondaggi mostrano una corsa estremamente serrata, la retorica di Donald Trump ha convinto molti dei suoi sostenitori che la vittoria è ormai inevitabile. È facile immaginare lo shock di fronte alla sconfitta, e come quello stesso shock potrebbe essere trasformato in rabbia e persino, potenzialmente, in violenza», ha concluso Becker.