Ecco la resurrezione politica di Lula
E così alla fine con un testa a testa all’ultimo voto ha vinto Luiz Inacio Lula da Silva e con lui la sinistra del Partito dei Lavoratori (PT). Dopo una campagna elettorale agguerritissima, e anche trash, durata quattro settimane contro il presidente in carica del Partito Liberale, il conservatore Jair Messias Bolsanaro, l’ex sindacalista metallurgico torna per la terza volta a guidare il Brasile, dopo i due mandati consecutivi dal 2003 al 2011. Stavolta porta a casa il 50,90% dei voti contro il 49,10% di Bolsonaro diventando cosi il 39.esimo presidente del paese verde-oro. Nel suo primo discorso agli elettori ha invocato la riconciliazione nazionale. «Non esistono due paesi diversi, governerò per i 215 milioni di brasiliani, non solo per quelli che mi hanno votato» ha detto. Ha poi definito il suo ritorno sulla scena una «resurrezione politica» citando Dio in vari momenti del suo discorso. Quanto a Bolsonaro non ha rilasciato dichiarazioni e non ha telefonato a Lula. Ha parlato, però, al telefono con il presidente del Tribunale Superiore Elettorale (TSE) Alexandre de Morães secondo il quale il risultato non verrà messo in discussione. Anche il suo discusso ex ministro dell’ambiente Ricardo Salles ha riconosciuto su Twitter la vittoria di Lula. «Il risultato dell'elezione più polarizzata del paese ci obbliga a cercare un cammino di pacificazione in un paese letteralmente diviso in due. È ora di serenità» ha scritto.
E se questa campagna elettorale fino alla fine è stato polarizzata il clima da finale di Mondiali è prevalso sulla paura di scontri violenti come quelli del 6 gennaio scorso nel Campidoglio di Washington. Tuttavia hanno fatto il giro del web le immagini della deputata federale Carla Zambelli del partito di Bolsonaro che, alla vigilia del voto, in un quartiere di San Paolo ha inseguito arma alla mano alcuni petisti con cui aveva cominciato a discutere. Una scena che ha sicuramente influenzato il voto degli indecisi.
Venerdì sera Bolsonaro aveva, comunque, cercato di placare gli animi, dichiarando a margine dell’ultimo dibattito televisivo con Lula in onda sulla rete Globo che «chi prenderà più voti sarà il presidente perché questa è la democrazia».
Il Brasile che adesso Lula si trova a dover governare dal 1 gennaio del 2023 è un paese che economicamente è uscito dalla pandemia con previsioni di crescita per il suo PIL intorno al 3% e con una disoccupazione scesa sotto il 9% per la prima volta dopo 7 anni, con una inflazione che a fine 2022 si attesterà al 5,5%, meno di quella dell’Unione Europea. Il paese, però ancora non riesce a garantire una distribuzione equa del reddito con il 10% dei brasiliani che guadagnano il 59% del reddito nazionale totale. Inoltre con la pandemia è esploso il lavoro in nero che ha reso ancora più fragili le frange già povere della popolazione. Da qui il dato allarmante di 33 milioni di persone in situazione di insicurezza alimentare.
Sarà questo dunque lo scoglio più grande che il governo di Lula dovrà affrontare. Benché durante tutta la sua campagna elettorale il leader del PT abbia ripetuto come un mantra che riporterà sulle tavole dei brasiliani «birra e picanha» e i fasti del suo primo mandato le condizioni geopolitiche mondiali sono profondamente cambiate rispetto al 2003 quando si insediò in pieno boom delle commodities. Non solo l’inflazione è ormai un problema che riguarda sia l’ Europa che gli Stati Uniti ma la Cina non sarà più in grado far crescere in modo sostanziale l’economia brasiliana. Benché Pechino continui ad essere il primo partner commerciale del paese verde-oro con cui è membro dell’alleanza Brics insieme a Russia e Africa del Sud, nell’ultimo congresso del Partito Comunista il presidente Xi Jinping ha drasticamente ridimensionato le previsioni di crescita dopo che nel 2022 il PIL è cresciuto appena al 3,9%. Questo non potrà non avere un impatto anche sugli investimenti cinesi in Brasile.
Inoltre rimane l’incognita del tipo di politica economica che Lula intenderà implementare. Durante la campagna elettorale l’ex sindacalista si è rifiutato di presentare un programma dettagliato con i nomi dei possibili candidati al ruolo di ministro dell’economia. Quelli che sono circolati nelle ultime ore spaziano dall’ex direttore della Banca Centrale Henrique Mereilles al medico nonché ex ministro della Sanità Alexandre Padilha, una incertezza che nei prossimi giorni potrebbe spaventare i mercati.
Rimane poi la questione dell’Amazzonia. Lula ha già proposto in campagna elettorale di voler chiamare a raccolta il meglio della ricerca scientifica europea per promuovere uno sviluppo sostenibile del polmone verde del pianeta. Molte aree, però, sono già in mano al crimine organizzato che controlla l’estrazione mineraria di oro, il traffico di droga di cui l’Amazzonia è diventata porta di accesso da paesi come Perù e Colombia, e persino il traffico illegale di legno che è la principale causa di deforestazione. Le sfide sono dunque gigantesche, ma soprattutto Lula dovrà riuscire a proteggere l’economia del paese dalla corruzione e da scelte demagogiche che in altri paesi come la Colombia, il Perù, il Cile, l’Argentina e ancor prima il Venezuela stanno logorando l’economia a discapito dei cittadini.