Acquisizione Credit Suisse, «il prezzo è giusto»
«Il contenuto della presa di posizione di UBS non contiene particolari sorprese. Tuttavia, l'elemento più sorprendente è l'affermazione di UBS secondo cui Credit Suisse Group AG era in realtà sottocapitalizzato da molto tempo. Questo contraddice le dichiarazioni fatte finora dalle autorità». Così scrive LegalPass, la startup di Losanna che l’estate scorsa aveva lanciato, con successo, un’iniziativa per una «class action» di circa tremila piccoli azionisti ex Credit Suisse che ritengono di essere stati pagati troppo poco nell’ambito dell’acquisizione da parte di UBS. La dichiarazione avviene in merito alla presa di posizione di UBS inoltrata al Tribunale commerciale di Zurigo lo scorso 22 dicembre, un corposo documento di 150 pagine che LegalPass e altri rappresentanti degli azionisti (tra cui l’Associazione svizzera di protezione degli investitori, SASV) hanno ottenuto solo negli scorsi giorni.
Ricordiamo che UBS ha acquisito Credit Suisse per circa 3 miliardi di franchi, il che corrisponde a una valutazione di 76 centesimi per azione di Credit Suisse e quindi in un rapporto di cambio di un'azione UBS per 22,48 azioni Credit Suisse. Nei loro rispettivi ricorsi, LegalPass, SASV e altri querelanti argomentano che il prezzo di chiusura del titolo Credit Suisse Group AG alla Borsa di Zurigo nell’ultimo giorno in cui lo si è potuto negoziare, ovvero il 17 marzo 2023, era 1,86 franchi, indicando quindi un valore di mercato di circa 7,4 miliardi di franchi. Per i querelanti, UBS avrebbe dunque tratto un profitto sproporzionato dall'operazione e chiedono quindi un risarcimento.
Alcuni elementi della presa di posizione di UBS erano stati anticipati dalla «Sonntagszeitung», ma LegalPass ha fornito ai suoi assistiti un riassunto dei punti essenziali, una copia del quale abbiamo potuto visionare.
L’argomento principale di UBS verte sul fatto che al 19 marzo 2023 l’operatività di Credit Suisse non fosse più sostenibile, a seguito della serie di scandali, della gestione dei rischi inadeguata, di anni di conduzione instabile e, dall’ottobre 2022 in poi, di massicci deflussi di capitali dei clienti. Per UBS, quindi, il fallimento oppure l'applicazione delle regole svizzere del “too big to fail” erano inevitabili e in entrambi i casi gli azionisti di Credit Suisse sarebbero rimasti a mani vuote. Già solo per questo motivo, UBS sostiene che qualsiasi rapporto di concambio per le azioni Credit Suisse «superiore a zero è appropriato».
UBS aggiunge anche che un dissesto disordinato di Credit Suisse andava evitato poiché avrebbe avuto gravi conseguenze anche per il traffico dei pagamenti in tutta la Svizzera e avrebbe innescato una crisi finanziaria globale. Quindi, la «rescue merger» (salvataggio tramite fusione) con UBS era l’unica opzione possibile – che è poi ciò che hanno sostenuto le autorità federali (Finma, Dipartimento delle finanze DFF e Banca nazionale BNS).
Sulla questione del prezzo dell’acquisizione (circa tre miliardi di franchi), UBS sostiene che, poiché Credit Suisse al 17 marzo 2023 si trovava in una situazione tale da poter continuare a esistere da sola, la sua valutazione non poteva altro che basarsi su valori di liquidazione (cioè fortemente scontati) e che non avrebbero dunque portato ad alcun valore positivo per le azioni Credit Suisse. UBS sostiene inoltre che le misure di salvataggio dello Stato, ossia la concessione di linee di credito d’emergenza (250 miliardi, tra BNS e DFF), l'azzeramento delle obbligazioni AT1 e la garanzia federale da 9 miliardi, erano «irrilevanti» e quindi che gli azionisti di Credit Suisse non possono considerarli nelle valutazioni e pretendere un prezzo d’acquisizione superiore. In questo contesto, UBS ribadisce che «ogni prezzo superiore allo zero è più appropriato».
Come riferisce LegalPass, il Tribunale commerciale di Zurigo non ha ancora deciso come proseguire il procedimento e deciderà in merito non appena sarà chiaro che non vi sono altre cause pendenti contro UBS presso altri tribunali nel mondo.