Wall Street

Crisi delle Big Five, ma il modello è ancora di successo?

Sull’onda dell’aumento dei tassi i giganti della tecnologia hanno perso ben 3,7 trilioni di dollari di valore di mercato – Ora ci sono molte incertezze sul loro reale potenziale di crescita
© AP/Marcio Jose Sanchez
Enrico Marro
28.12.2022 20:45

Le Big Five hanno un grande futuro dietro alle spalle? Nel 2022 i cinque colossi tech di Wall Street (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet-Google e Meta-Facebook) hanno perso quasi 3,7 trilioni di dollari di valore di mercato. Aggiungendo al quintetto anche Tesla, il «rosso» supera i 4,2 trilioni, cifra superiore al PIL tedesco. In Borsa da inizio anno Meta è scesa del 65%, Amazon del 50% e Alphabet del 38,4%. Microsoft è in calo del 28,8%, Apple del 27,5%. Nelle settimane scorse sono partite decine di migliaia di mail di licenziamento. Cosa sta accadendo alle cinque grandi di Wall Street?

Una pausa «dovuta»

Va premesso che una pausa di rifessione era nelle carte. Dal 2019 al 2021 l’indice tecnologico Nasdaq Composite è salito del 136%, performance senza precedenti dai tempi della bolla Internet degli anni Novanta (tra il 1995 e il 1999 arrivò a guadagnare il 440%). Inoltre, la caduta dei corsi è seguita al precedente boom del settore dovuto alla pandemia, che aveva provocato diversi lockdown e l’affermarsi del telelavoro. Ma, ora che questa spinta è rientrata, una correzione non sorprende e può rivelarsi salutare per riportare le valutazioni a livelli più ragionevoli e attraenti.

Nuovi modelli di business

Attenzione però perché la tecnologia evolve alla velocità della luce, mettendo in discussione i consolidati modelli di business o le posizioni dominanti di alcune delle Big Five. Basta guardare i grafici di Wall Street per rendersene conto: a fine 2022 Apple si ritrova con un valore di mercato quasi doppio rispetto ad Amazon e Meta messe assieme. E in generale tutte le cinque regine tech hanno avviato processi di ristrutturazione per ridefinire i loro modelli di business, i perimetri di mercato e le catene di fornitura. Lasciando gli investitori tra mille incertezze sulle loro reali potenzialità di crescita.

Non va poi dimenticato che i titoli tecnologici soffrono molto strette monetarie come quella operata negli ultimi mesi dalla Federal Reserve, la più rapida dell’ultimo trentennio. Il repentino rialzo dei tassi rende infatti più appetibili i titoli di Stato - che garantiscono ritorni interessanti rispetto all’epoca dei «tassi a zero» - rispetto alle azioni.

Buona parte delle Big Five, inoltre, è penalizzata da un’inflazione che toglie potere d’acquisto ai consumatori, alleggerendo i loro portafogli. Inoltre le società tech, in particolare le startup, di solito generano profitti scarsi, perché tendono a reinvestire gli utili (se ci sono) nella crescita. Rispetto ad aziende consolidate della old economy le loro potenzialità sono un rebus, in particolare quando c’è una recessione alle porte».

La guerra della pubblicità online

Anche sul fronte della pubblicità online tutto sta cambiando. Secondo le stime di Insider Intelligence, per la prima volta dal 2014 Meta e Google sono scese sotto il 50% del mercato statunitense dell’advertisement, attestandosi al 48,4% (-2,5% rispetto all’anno scorso). Nel 2024 si stima che il duopolio si ritroverà sotto il 44%.

Il calo di Meta e Google si deve all’inflazione, che erode margini di spesa sia lato aziende che lato consumatori, ma anche a una competitività sempre più serrata con Amazon e Apple: la società di Bezos è passata da appena un miliardo di fatturato pubblicitario nel 2015 ai 38 miliardi del 2022, mentre la Mela è cresciuta dai 2,2 miliardi del 2018 agli oltre 7 miliardi di quest’anno. Per il 2023, Insider Intelligence stima una crescita dell’advertising di appena il 3% per Google e del 5% per Meta, contro il 19% di Amazon, il 26% di Apple, il 30% di Spotify e il 36% di TikTok.

L’ex Facebook è senza dubbio la Big Five più in crisi d’identità: arrivata ai tempi del cambio di nome a capitalizzare in Borsa un trilione di dollari, Meta oggi ha perso oltre due terzi del suo valore. L’inflazione, i rialzi dei tassi, le sfide dell’advertisement online, i problemi sul fronte privacy, gli enormi investimenti voluti da Zuckerberg nel Metaverso e la sempre più temibile concorrenza di TikTok hanno convinto Wall Street che il futuro dei social nato ad Harvard sia appeso a un filo.

Ci si è messa pure Apple, che sugli iPhone - nel nome della difesa della privacy - ha penalizzato il «target advertisement» di Facebook, mossa che pare sia costata a Zuckerberg 10 miliardi. Pochi giorni fa, infine, l’azienda californiana ha versato 725 milioni per chiudere la class action legata allo scandalo Cambridge Analytica.

Gallina dalle uova d’oro

Nonostante tutto Meta resta una gallina dalle uova d’oro: nell’ultima trimestrale ha sfoggiato profitti per 4,4 miliardi di dollari. In diminuzione però di ben il 52% rispetto a un anno prima. E tra un anno di quanto saranno scesi gli utili della regina dei social? È quel che si chiede una Wall Street sempre più in fibrillazione per il destino del suo ex gioiello.

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