L'intervista

«Famiglie svizzere sotto pressione fra tanto lavoro e spese elevate»

Le famiglie sono un importante attore della vita economica e sociale del Paese. Ma sono sotto pressione. Ne abbiamo parlato con Spartaco Greppi, professore e responsabile del Centro competenze lavoro, welfare e società della Supsi
Per alcune famiglie anche fare la spesa diventa difficile. © Keystone/Christian Beutler
Roberto Giannetti
20.02.2025 06:00

Le famiglie sono un importante attore della vita economica e sociale del Paese. Ma sono sotto pressione. Ne abbiamo parlato con Spartaco Greppi, professore e responsabile del Centro competenze lavoro, welfare e società della Supsi.

Signor Greppi, si può tracciare un bilancio della situazione finanziaria delle famiglie ticinesi?

«Le statistiche rivelano una situazione preoccupante per le famiglie, intese come economie domestiche con figli a carico, che stanno affrontando crescenti difficoltà economiche. Nel contesto del Canton Ticino, i redditi stagnanti e spesso inferiori alla mediana nazionale si combinano con un ricorso massiccio alle prestazioni sociali per coprire le spese essenziali e garantire il fabbisogno vitale. In particolare, il reddito disponibile equivalente mediano di un’economia domestica ticinese, nel 2022, si attestava all’87% di quello svizzero, evidenziando una disparità significativa. Questo dato riflette una vulnerabilità economica diffusa, che spinge molte famiglie a vivere in una condizione di precarietà e dipendenza dagli aiuti pubblici».

Il professore Spartaco Greppi della Supsi.
Il professore Spartaco Greppi della Supsi.

Come giocano le spese, che per le famiglie sono elevate?

«Le spese obbligatorie, come l’affitto, l’assicurazione obbligatoria contro le malattie e i costi legati all’educazione dei figli, rappresentano un onere crescente. Tali dinamiche alimentano un circolo vizioso che limita la capacità di risparmio e di investimento delle famiglie, comprimendo ulteriormente la qualità della vita e ostacolando la possibilità di migliorare la propria situazione socioeconomica. Questa situazione solleva interrogativi sulla sostenibilità del sistema sociale e sulla necessità di politiche più incisive per ridurre le disuguaglianze, sostenere i redditi e promuovere l’inclusione economica. Il rafforzamento del welfare, l’introduzione di misure per garantire salari dignitosi e l’accesso equo ai servizi essenziali potrebbero rappresentare risposte concrete a una problematica che rischia di acuirsi ulteriormente nel tempo».

In generale la situazione sta migliorando o peggiorando? E come evolve il tasso di povertà all’interno delle famiglie?

«Come detto, la situazione sta peggiorando. A questo proposito, basta riferirsi all’importante studio svolto per l’Ustat da Francesco Giudici e Alessandra Zanzi e a due soli dati riportati nello studio. Innanzitutto, nel 2018, il tasso di povertà reddituale assoluta, ossia la percentuale di individui che fanno parte di un’economia domestica il cui reddito disponibile è inferiore al minimo vitale sociale, era del 7,4% e concerne 20.784 individui. Le economie domestiche composte da un adulto con minori (29,8%) e le donne (8,3%) risultano essere le categorie con i tassi di povertà più elevati».

Attualmente, oltre il 20% delle famiglie monoparentali è a rischio povertà, quasi il doppio rispetto a quelle costituite da coppie. Ora si nota un aumento dell’instabilità familiare (separazioni, divorzi ecc.). Come impatta questo fenomeno sulla situazione finanziaria delle famiglie?

«Una separazione o un divorzio incidono pesantemente sulla situazione finanziaria delle famiglie sia in Svizzera, sia nel Canton Ticino, a causa di una serie di fattori concatenati. Innanzitutto, la divisione del nucleo familiare comporta la necessità di gestire due economie domestiche separate, con spese spesso duplicate per abitazione, spese fisse o obbligatorie e altre necessità di base. Questo si traduce in un aumento significativo dei costi complessivi, spesso difficile da sostenere, soprattutto in un contesto in cui i redditi sono già stagnanti o sotto la media. Inoltre, nel caso di famiglie con figli, le difficoltà si acuiscono ulteriormente. I costi per il mantenimento dei figli rimangono elevati e spesso gravano maggiormente sul genitore (spessissimo una genitrice) affidatario (le famiglie monoparentali), che potrebbe trovarsi a dover conciliare con maggiore difficoltà l’attività lavorativa con la gestione della famiglia. Questo equilibrio precario può tradursi in un ricorso maggiore alle prestazioni sociali».

Che effetti ha questo a livello economico?

«Chiaramente, l’instabilità familiare può avere ripercussioni indirette sulla capacità lavorativa e sull’equilibrio psicologico degli adulti coinvolti, contribuendo a ridurre la produttività e l’accesso a opportunità di carriera, soprattutto per le donne, che in molti casi affrontano ancora disparità salariali e difficoltà nel rientro al lavoro dopo una separazione. Il fenomeno, quindi, non è solo una questione privata, ma rappresenta una sfida sociale e politica che richiede interventi mirati. Potrebbero includere il potenziamento del sostegno alle famiglie monoparentali, l’accesso agevolato a servizi di consulenza e mediazione familiare e politiche volte a promuovere un’occupazione stabile e ben retribuita».

L’origine sociale rimane un fattore determinante per l’accesso agli studi superiori. Più di un terzo (36%) di tutti gli studenti hanno almeno uno dei due genitori con un titolo universitario. Sulla base di questo meccanismo, si può dire che essere poveri comporti maggiori rischi di povertà?

«Sì, la povertà comporta maggiori rischi di povertà, anche a causa del meccanismo dell’ereditarietà sociale. L'origine sociale influisce significativamente sulle opportunità educative: chi proviene da famiglie con basso reddito o basso livello di istruzione ha meno probabilità di accedere agli studi superiori, limitando così le possibilità di migliorare la propria condizione socioeconomica. Questo circolo vizioso perpetua le disuguaglianze e sottolinea la necessità di politiche che garantiscano l’accesso equo all’istruzione, come borse di studio, tutoraggio fin dai primi gradi di scuola e sostegni economici per studenti provenienti da famiglie svantaggiate».

In un documento presentato dalla Supsi al Consiglio di Stato si affermava che le famiglie hanno bisogno di tempo, di una infrastruttura che le sostenga (scuole, mense, case anziani e via dicendo) e di denaro. A suo parere in quale campo esistono le criticità maggiori?

«In tutti questi campi si riscontrano criticità significative. Il tempo è una risorsa sempre più scarsa e spesso un lusso: il tempo dedicato alla famiglia è continuamente sacrificato alle esigenze del lavoro o della ricerca di un lavoro, una situazione che si aggrava ulteriormente quando si tratta di garantire cure ai familiari bisognosi, oltre che ai figli. Sul fronte delle infrastrutture, l’insufficienza dell’offerta rimane un problema rilevante, come dimostrano le carenze di asili nido e servizi simili, malgrado gli sforzi prodotti, soprattutto dopo l’adozione della Riforma sociale in Canton Ticino. Infine, le risorse economiche destinate alle famiglie, come assegni familiari e altre prestazioni, risultano ancora inadeguate per far fronte alle reali necessità».

In Ticino nell’ambito della politica famigliare si cerca di passare da una dimensione redistributiva a una di investimento sociale. Cosa si intende con questi termini?

«La dimensione redistributiva appare oggi in pericolo, a causa di politiche fiscali che mirano a ridurre la progressività delle aliquote e dei tagli alla spesa pubblica, inclusa quella sociale. Allo stesso tempo, l’adozione di un’autentica prospettiva di investimento sociale richiederebbe impegni ben maggiori rispetto a quelli attuali, ostacolati da vincoli finanziari e dal cosiddetto freno al disavanzo. La politica redistributiva si basa sul principio di solidarietà: mira a correggere le disuguaglianze prodotte dal mercato attraverso una redistribuzione delle risorse. L’investimento sociale, invece, è un approccio teorico e pratico che considera la spesa pubblica non come un costo, ma come un investimento a lungo termine nel capitale umano. Questo approccio punta a coniugare bisogni individuali e benessere collettivo attraverso politiche che migliorino l'accesso all'istruzione, alla formazione e all'occupazione, con l'obiettivo di creare una forza lavoro più qualificata e produttiva. Tuttavia, c’è un rischio: concentrarsi solo su politiche che garantiscono un ritorno economico tangibile può ridurre l'intervento dello Stato ai settori “produttivi”, escludendo le persone più fragili, che finiscono per dipendere da forme minime di assistenza. In tema di uguaglianza, permangono divari significativi, sia tra generi che tra diverse classi sociali, e siamo ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi di equità e inclusione. La sfida è costruire un modello di sviluppo capace di conciliare benessere e giustizia sociale».

I bambini sono particolarmente a rischio povertà

In Ticino nel 2020 c’erano quasi 14 mila famiglie monoparentali con almeno un figlio (quasi un quarto del totale delle famiglie con figli). Visto che questo tipo di famiglie ha spesso problemi finanziari, la povertà in Svizzera colpisce molto i bambini. La Caritas qualche anno fa denunciava il fatto che nel nostro Paese ci sono almeno 100 mila bambini che vivono in povertà. In questo ambito le politiche famigliari sono efficaci? «Non tanto - risponde Spartaco Greppi - se è vero, come è vero, che nel nostro Paese la povertà incide pesantemente sui minori». «Dobbiamo sottolineare che, sebbene sia un Paese ricco, la Svizzera registra una quota relativamente alta di povertà infantile, in aumento dalla fine della crisi finanziaria globale, come ha rilevato un recente studio di Unicef. Molti bambini vivono per lunghi periodi della propria vita, ossia almeno tre anni, in condizioni di povertà. Si tratta di rompere il ciclo dello svantaggio sociale per i bambini che vivono in famiglie e in ambienti sociali avversi, garantendo ai bambini ampie possibilità di partecipazione alla costruzione del loro progetto di vita».

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