Il conto salato di petrolio e oro al cambio di stagione

Anche i mercati finanziari, come il mondo della moda, conoscono l’avvicendamento delle stagioni, alcune novità e il rafforzamento di tendenze vecchie e nuove. L’inizio di settembre sancisce, su ambedue le sponde dell’Atlantico, la fine del periodo vacanziero, della cosiddetta «driving season», e un certo rallentamento della domanda petrolifera legata alla mobilità privata, compensata da una ripresa di quella commerciale e industriale.
Ma il quadro è ora reso più sfaccettato dalla fiducia nella ripresa dell’economia cinese, dall’attesa di una recessione americana «dolce» con tassi fermi o discendenti, almeno nel 2024, da parte della Federal Reserve, da scorte di greggio USA ai minimi (-11,5 milioni di barili secondo l’ultimo dato). L’uragano Idialia ha creato problemi a depositi e raffinerie in Florida e nel Golfo del Messico e - cosa più importante - OPEC+ e Russia indicano sempre più chiaramente l’intenzione di giocare al rialzo nel sostenere il prezzo del greggio. Riyadh manterrà il taglio di un milione di barili giornalieri almeno fino a tutto ottobre e non esclude altre iniziative. Diminuzione nelle quote di export petrolifero riguardano anche il Kuwait.
L’obiettivo saudita, anche se formalmente non dichiarato, è quello di portare il prezzo del greggio verso i 100 dollari al barile e possibilmente oltre, per finanziare i progetti multi-miliardari legati al piano Vision 2030. Dal canto suo la Russia, dopo aver tagliato in marzo la propria estrazione di 500 mila barili giornalieri fino alla fine del 2024, ha comunicato, attraverso il vice primo ministro Alexander Novak, l’intenzione di ridurre ulteriormente la propria fornitura di greggio ai mercati stranieri. L’insieme di questi fattori ha portato il prezzo del Brent quotato a Londra oltre i 90 dollari al barile, con un incremento di oltre il 5% dall’inizio dell’anno, di cui il +4,2% realizzato nel corso dell’ultimo mese. Il WTI americano quota oltre gli 87 dollari, segnando +8,74% dall’inizio dell’anno e +6,90% nel solo ultimo mese.
ll riavvicinamento con l’Iran
Nella strategia dell’OPEC+, al di là dei più stretti legami fra Riyadh e Mosca, vi è un altro aspetto che può costituire una novità: il riavvicinamento con Teheran, tradizionale nemico e concorrente per la supremazia regionale, la cui crescita di produzione, unitamente alla possibile liberazione delle riserve detenute in Cina (12-14 milioni di barili), potrebbe incidere sulle mire di stabilizzazione e di aumento del prezzo. Comunque due settimane fa l’Arabia Saudita, unitamente ad altri cinque partner, incluso l’Iran, ha ufficializzato la richiesta di unirsi ai BRICS, recando in «dote» 16 miliardi di dollari di investimenti.
Per l’Iran le sanzioni, che riguardano anche il petrolio, imposte dagli USA nel 2018, hanno avuto scarsa influenza e la sua esperienza in tema di flotte fantasma e altre soluzioni - logistiche e tecniche di aggiramento delle sanzioni si è rivelata utile per altre vittime delle iniziative americane, a iniziare dalla Russia, anche se Mosca ha dovuto vendere ai clienti asiatici a prezzi scontati, ma in grandi quantità. Anche la maggiore produzione di Teheran, diretta verso l’Asia, vedrà l’applicazione di prezzi preferenziali. Secondo il ministro del petrolio Javad OwJi il potenziale di estrazione del Paese è di 3,8 milioni di barili giornalieri a fronte dei 3,2 milioni attuali, ma secondo molti operatori questi livelli, ritenuti ottimistici, non influenzerebbero significativamente il mercato, che prevede un incremento di domanda a fine 2023 e nel corso del 2024, non coperta da un’offerta adeguata.
Oro sempre su livelli sostenuti
Anche per l’oro le ultime settimane hanno portato novità. I persistenti rischi geopolitici, le speranze di una fase attendista nella politica monetaria della Federal Reserve, se non addirittura di una strategia espansiva nel corso del prossimo anno, così come i dati sul mercato del lavoro negli USA, animano nelle ultime settimane il mercato del metallo giallo. Forse un contributo è venuto anche dai dibattiti legati alla proposta del candidato presidenziale americano Robert F. Kennedy Jr. di legare progressivamente il valore del dollaro e dei Treasury a un paniere di asset «forti» fra cui l’oro e il Bitcoin. In parallelo a questa proposta viene dai BRICS il progetto ambizioso di una valuta globale anti-dollaro anch’essa legata al metallo prezioso. Il suo prezzo, ora intorno ai 1.966 dollari l’oncia, segna +6,57% da inizio anno e +12,72% negli ultimi 12 mesi, nonostante un dollaro relativamente forte grazie al sostegno dei tassi elevati.