La mannaia dei dazi colpisce le Borse

Il copione è stato confermato. Come annunciato Washington ha fatto entrare in vigore oggi i dazi su Canada (25%), Messico (25%) e Cina (20%), provocando un calo degli indici di praticamente tutte le principali Borse mondiali.
Gli operatori sono preoccupati anche perché la durissima risposta di Canada e Cina lascia prevedere uno scontro senza esclusione di colpi dalle conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia mondiale.
Denunciando tariffe ingiustificate e annunciando contromosse, con tariffe di ritorsione, Ottawa e Pechino che si sono viste imporre tariffe, rispettivamente del 25% e del 20%, hanno assicurato che si batteranno fino in fondo e non si tireranno indietro dallo scontro.
La Cina ha risposto annunciando rialzi tra il 10 e il 15% dei dazi sull’import di una gamma di prodotti agroalimentari statunitensi e sottoponendo 25 aziende USA a restrizioni su export e investimenti, inserendole nella lista nera del commercio. Inoltre la Cina ha presentato un ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) contro i dazi aggiuntivi del 10% degli Stati Uniti sulle merci cinesi. Secondo Pechino, l’ultimo aumento delle tariffe della Casa Bianca viola gravemente le regole del WTO e mina le basi per la cooperazione economica e commerciale tra Cina e Stati Uniti. A febbraio, Pechino ha anche contestato al WTO la precedente mossa USA di aggiungere una tariffa del 10% sulle merci cinesi. Tuttavia, il meccanismo del WTO per la risoluzione delle controversie commerciali è stato di fatto inoperativo sin dal primo mandato del presidente Trump.
«Guerra commerciale»
Durissimo anche il botta e risposta con il premier canadese Justin Trudeau. «Gli Stati Uniti ci hanno lanciato una guerra commerciale», in cui «non ci sono vincitori», ha detto Trudeau, condannando dazi «ingiustificati», sotto il «falso» pretesto del fentanyl.
Il Canada risponderà a partire da mezzanotte applicando dazi del 25% su 155 miliardi di dollari di merci statunitensi».
Trudeau ha detto: «Trump vuole distruggere l’economia canadese e annettere il Canada. Ma non saremo mai il 51.esimo Stato americano». Su Truth la replica del tycoon: «Per favore spiegate al governatore Trudeau che se decide dazi di ritorsione contro gli USA, le nostre tariffe reciproche aumenteranno immediatamente dello stesso ammontare», ha scritto Trump.
Il Messico non ha ancora risposto ufficialmente ai dazi al 25% di Trump: lo farà domenica, ha detto la presidente Claudia Sheinbaum sperando in un miracolo nel colloquio, in programma oggi, con il tycoon. Un compito non facile: il presidente USA vuole che le case automobilistiche a stelle e strisce che producono in Messico tornino negli USA.
Se non lo faranno dovranno pagare dazi e veder salire, secondo le stime, i prezzi delle proprie auto sul mercato americano fino a tremila dollari.
L’Europa, che presto potrebbe di finire nel mirino di Trump con i dazi reciproci attesi il 2 aprile, quelli sulle auto e sull’agroalimentare, lancia l’allarme: «Le tariffe sono un rischio per il commercio globale, afferma il commissario europeo Olof Gill - dovrebbero rivedere il loro approccio e adoperarsi su una soluzione cooperativa basata sulle regole che avvantaggi tutte le parti».
Scioglimento di un contratto
Come valutare l’impatto dei dazi a livello economico e la reazione delle Borse? Lo abbiamo chiesto a Mario Cribari, partner e responsabile della strategia di investimento di BlueStar Investment Managers a Lugano. «Trump sta tenendo fede alla sua affermazione secondo cui le tariffe sono “la più bella parola nel dizionario”. Dopo un vano mese di proroga ha difatti ordinato di applicare il 25% di tariffe sui beni importati da Messico e Canada, in barba all’accordo tariffario con questi ultimi denominato USMCA (da lui stesso firmato nel 2018!) che avrebbe dovuto essere valido fino al 2026. In pratica uno scioglimento unilaterale di un contratto internazionale. Ma, si sa, agli Stati Uniti tutto è concesso… Allo stesso tempo vengono ulteriormente aumentate le tariffe verso la Cina del 10% ma soprattutto entro i primi di aprile sono attese ulteriori tariffe nei confronti di molti altri Paesi con i quali gli USA registra un deficit commerciale secondo un ipotetico principio di reciprocità».
«Trump ha infatti dato mandato al suo dipartimento del commercio - prosegue - di fare un’analisi, in tempi record, di tutte le tariffe dirette o indirette (inclusa l’IVA!!) che subiscono i beni americani esportati nel mondo e di voler applicare reciprocamente la stessa misura. Considerando solo l’IVA, che in Europa si attesta in media intorno al 18%, difficile immaginare tariffe inferiori al 15%. Chi sperava che l’aggressiva politica commerciale fosse solo una tattica negoziale è destinato, per ora, a restare deluso».
«Evidentemente - sottolinea - il presidente preferisce prima dare un pugno in faccia e poi invitare al bar piuttosto che il contrario. I mercati ne hanno preso atto con correzioni importanti, soprattutto in Europa dopo il “rally della speranza” nei primi due mesi dell’anno. Gli effetti di tali politiche non possono che essere negative non solo per i Paesi che le subiscono ma per gli Stati Uniti stessi. Per questi ultimi è stato infatti calcolato uno 0,5%-1% di possibile aumento di inflazione e contemporanea diminuzione del PIL. Se includessimo tariffe universali nell’entità stimata prima gli effetti negativi potrebbero anche raddoppiare».
«Un aumento così importante delle tariffe - rileva - può avere solo tre effetti: un aumento dei costi per i consumatori (più inflazione), una diminuzione dei margini degli esportatori o importatori americani (meno utili) ed in ultima analisi una riduzione della domanda (recessione). Vane sarebbero comunque le speranze di finanziare la riduzione del carico fiscale tramite le tariffe commerciali, come Trump ha più volte affermato. È stato infatti calcolato che per poterlo fare dovrebbe imporre il 100% di tariffe su tutti i beni importati».
Escalation globale?
«Effetti ancora più nefasti - aggiunge - si avrebbero se, come sembra logico, avvenisse una escalation globale di misure di ritorsioni, una guerra al massacro dove come dicono i saggi cinesi «nessuno ne uscirebbe vincitore». Gli effetti sui mercati sarebbero proporzionali agli effetti economici e sulla fiducia dei consumatori e sono assolutamente imprevedibili, così come l’atteggiamento di Trump».
«La speranza - conclude Mario Cribari - è che una volta visti gli effetti negativi su crescita, inflazione e mercati azionari egli si ravveda e scenda a più miti consigli. Sarebbe paradossale che avendo vinto le elezioni anche grazie alla insoddisfazione del ceto medio basso sul periodo altamente inflattivo del quadriennio di Biden, Trump si faccia un autogol così clamoroso».
Tonfo degli indici: Francoforte e Milano perdono il 3,5%
Giornata nera per le Borse europee. In netta flessione Francoforte (-3,53%) e Milano (-3,41%), ma anche Parigi (-1,85%) e Londra (-27%). Lo Stoxx 600, l’indice che raccoglie 600 delle principali capitalizzazioni di mercato europee, conclude la seduta in calo del 2,14% a 551 punti e manda in fumo 367,27 miliardi di capitalizzazione. Dal canto suo l’indice SMI di Zurigo è sceso dell’1,22% a 13.005,67 punti. La perdita maggiore è quella registrata dall’azione UBS: - 7,07% a 29,04 franchi.
Automotive sotto pressione
Giornata nera per le Borse europee. In netta flessione Francoforte (-3,53%) e Milano (-3,41%), ma anche Parigi (-1,85%) e Londra (-27%). Lo Stoxx 600, l’indice che raccoglie 600 delle principali capitalizzazioni di mercato europee, conclude la seduta in calo del 2,14% a 551 punti e manda in fumo 367,27 miliardi di capitalizzazione. Dal canto suo l’indice SMI di Zurigo è sceso dell’1,22% a 13.005,67 punti. La perdita maggiore è quella registrata dall’azione UBS: - 7,07% a 29,04 franchi.
Automotive sotto pressione
Sugli indici europei pesa il calo del settore dell’energia, delle auto e delle banche. I dazi di Trump sull’import dal Messico e dal Canada rischiano di cancellare 5,88 miliardi di dollari di utili operativi per i grandi produttori europei e le più colpite sarebbero Stellantis e Volkswagen se non verranno attuate misure di mitigazione. È quanto riportano gli analisti di Bloomberg Intelligence.
Le case automobilistiche europee, tra cui anche BMW e Mercedes, producono in Messico e vendono negli Usa 620 mila veicoli, mentre Stellantis importa anche dal Canada circa 170 mila unità. Nel dettaglio sono 417 mila veicoli Stellantis, 301 mila Volkswagen, 59 mila BMW e 516 mila Mercedes. E si traduce in un impatto sull’Ebit di 3,44 miliardi per Stellantis, di 1,77 miliardi per Volkswagen, di 552 milioni per BMW e di 123 milioni per Mercedes.
«Le case automobilistiche dell’UE hanno la possibilità di spostare la produzione negli stabilimenti statunitensi, ma questo richiederà tempo e comporterà costi più elevati» spiegano gli analisti.