Per gli asset digitali la Svizzera è un «quasi» paradiso fiscale

Investire in «asset» digitali - tipicamente criptovalute, ma anche NFT o altro ancora - non è più un’attività «criptica», come dimostrato anche dal crescente numero di istituti finanziari che in Svizzera offrono servizi di custodia (deposito titoli) che consentono, alla pari di titoli azionari, obbligazioni, fondi d’investimento eccetera, di «vedere» questi investimenti sul proprio estratto patrimoniale. Una «visibilità» che viene comoda anche all’autorità fiscale, dato che i «patrimoni digitali» sono soggetti anch’essi all’obbligo di dichiarazione. Ma qual è il trattamento fiscale che viene riservato a questa «nuova» categoria di beni patrimoniali? La questione si pone su almeno due aspetti: il valore degli investimenti in criptoasset a fine anno civile e le relative plusvalenze da un anno fiscale all’altro.
Stando a un’analisi del portale di comparazione di prodotti finanziari HelloSafe, ci sono ancora grandi disparità nella tassazione delle plusvalenze di criptovalute tra i Paesi europei. Alcuni esentano del tutto questi redditi, mentre altri li tassano in modo importante - in particolare i Paesi del Nord Europa, con un tasso fino al 50,5% in Germania, al 52% in Danimarca, al 30% in Svezia e fino al 44% in Finlandia. Per contro, Cipro, Estonia, Malta e Slovenia non tassano le plusvalenze sulle criptovalute. E neppure la Svizzera che di fatto offre un regime fiscale interessante per gli investitori in criptovalute.
Esenzione del «capital gain»
Secondo l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), per i privati «la compravendita di token di pagamento (è questa la nomenclatura ora adottata dall’AFC che si allinea così alle linee guida della Finma, ndr) è assimilata alle transazioni con mezzi di pagamento tradizionali (valute). Nel quadro della sostanza privata delle persone fisiche, gli utili e le perdite derivanti da tali transazioni rappresentano di principio utili in capitale (il cosiddetto capital gain, ndr) esenti da imposta o perdite in capitale non deducibili».
Sostanza e reddito tassabili
Tuttavia, a parte l’uso «di base» (la compravendita di criptoasset), altri due tipi di imposte definite dall’AFC possono intervenire nella tassazione di questi beni digitali: l’imposta sul patrimonio (o sostanza) e quella sul reddito.
La prima si applica alle plusvalenze derivanti dalle criptovalute se utilizzate come mezzo di pagamento, in quanto «beni valutabili, mobili e immateriali». Questa imposta è specifica per ogni Cantone e generalmente varia tra lo 0,3 e l’1%. «Gli investimenti in criptovalute fanno parte della sostanza privata del contribuente e come tali dovono essere dichiarati al pari di altri elementi della sostanza mobiliare come i titoli o altri collocamenti di capitale», spiega il direttore della Divisione delle contribuzioni del DFE Giordano Macchi.
Le plusvalenze derivanti dalle criptovalute possono essere soggette anche all’imposta sul reddito. In particolare, indica l’AFC, l’imposta sul reddito può essere applicata se si effettua lo staking (modo per guadagnare ricompense mantenendo alcune criptovalute), il mining (la creazione di token) o l’airdropping (lo scambio via sistemi tipo AirDrop di Apple) di criptovalute, se si generano guadagni in criptovalute tramite i protocolli DeFi (Decentralised Finance), o se si riceve il proprio stipendio o le prestazioni salariali sotto forma di criptovalute (quindi reddito da attività lucrativa). Ancora Macchi: «Come per i titoli tradizionali, anche le negoziazioni frequenti in criptovalute possono configurare il cosiddetto “quasi commercio di titoli” e soggiace quindi all’imposta sul reddito». Ma quanti sono i contribuenti che in Ticino dichiarano patrimoni o redditi in cripto? «Non c’è ancora una statistica precisa – risponde Macchi – dato che non esiste ancora una uniformità di nomenclatura nella dichiarazione di questi beni. Confermo in ogni modo che di elenchi titoli in cui figurano delle cripto ce ne sono».
In arrivo una tassa nell’UE
L’Unione europea sta valutando l’introduzione di una nuova tassa sulle criptovalute per le imprese a partire dal 1. gennaio 2026 che dovrebbe interessare tutte le società le cui attività sono legate alle criptovalute (trader, broker ecc.) e che offrono servizi ai residenti europei. Queste aziende saranno tenute a dichiarare tutte le loro transazioni. La normativa dovrebbe consentire di regolarizzare i guadagni ottenuti con le criptovalute e quindi di colmare un deficit stimato dalla Commissione europea in quasi 93 miliardi di euro entro il 2030.