Automotive

Stellantis alla prova della svolta, tra incubo cinese e utopie europee

Uno dei primi nomi fatti per la successione del dimissionario Carlos Tavares è stato quello di Luca de Meo, CEO di Renault – Che cosa c'è dietro? Ne parliamo con Riccardo Ruggeri, già al vertice di New Holland e grande esperto del settore
Carlos Tavares, 66.enne amministratore delegato dimissionario di Stellantis, con il presidente francese Emmanuel Macron in occasione del recente Paris Motor Show. © Reuters/Eliot Blondet
Dimitri Loringett
02.12.2024 19:51

«Le dimissioni di Carlos Tavares sono semplicemente l’inizio del processo di “auto-nazionalizzazione” dell’industria europea dell’auto sognata dai tre costruttori rimasti e che si svilupperà con la fusione prima di Stellantis in Renault, quindi del nuovo nato con Volkswagen». È lo scenario tracciato da Riccardo Ruggeri, ex CEO di New Holland, unità già del gruppo Fiat (oggi CNH Industrial) che produce macchinari agricoli (trattori, soprattutto), che abbiamo sentito in merito al «siluramento anticipato» del CEO di Stellantis, con tanto di «paracadute dorato» - il 66.enne portoghese dovrebbe infatti ricevere una buonauscita di 100 milioni di euro, «per il disturbo», commenta Ruggeri.

Lo scenario è ancora più verosimile se si considera che uno dei primi nomi fatti per la successione è quello di Luca de Meo, CEO di Renault. «In realtà - aggiunge il quasi 90.enne ex alto dirigente Fiat, da anni domiciliato a Lugano - Tavares fa il capro espiatorio per proteggere il Cda e gli azionisti», in particolare quelli di parte francese. Ovvero la famiglia Peugeot e lo Stato francese (tramite la banca d’investimenti a controllo pubblico Bpifrance), che assieme controllano poco meno del 14% di Stellantis e hanno sei membri nel Cda, mentre la parte italiana, rappresentata dalla holding finanziaria Exor della famiglia Agnelli, ne controlla quasi il 25% e ha 5 membri nel Cda. Secondo Ruggeri, infatti, Exor non è più davvero interessata all’automotive in generale: «Secondo me, dovrebbero pure vendere Ferrari fintanto che può, perché il mercato del lusso subirà presto una marcata flessione». Questo, in effetti, lo si vede già con il calo dell’export di marchi come Porsche e Mercedes in Asia. «Ma la Fiat è già “morta” dal 2010 - continua Ruggeri -, quando l’allora CEO Sergio Marchionne iniziò la scalata su Chrysler. Nella fusione con PSA, nel 2021, Exor ha accettato di “monetizzare” il suo diritto di controllo ed è allora che i francesi hanno di fatto preso il sopravvento. Certamente, gli Agnelli ed Elkann avranno ottenuto dei patti para-sociali che li proteggeranno se dovessero avvalersene. L’Italia è quindi fuori dal business dell’auto da ormai dieci anni. I pochi stabilimenti rimasti sono vecchi e con maestranze, alcune da 17 anni, che entrano ed escono dalla cassa integrazione. È un mondo finito».

La politica «decide» il mercato

Ma oltre a ciò che potremmo definire «una lotta di potere transalpina», il momento complicato di Stellantis si inserisce in un contesto di crisi dell’industria dell’auto a livello continentale, caratterizzata da un lato dalla perdita di competitività nei confronti dei produttori giapponesi e cinesi, rispettivamente leader dell’auto ibrida e di quella elettrica, e dall’altro dalla decisione dell’UE di puntare unicamente sulle auto a emissioni zero (full electric) a partire dal 2035. «Una cosa simile non è mai successa nella storia dell’umanità industriale», commenta Ruggeri, che ricorda la feroce lotta di inizio Novecento fra la tecnologia elettrica (Detroit Electric) e quella dei motori endotermici (Ford e altri). «Verso il 1920 vinse il motore a scoppio e Detroit Electric fallì», spiega Ruggeri. «Ma decise il mercato, cioè i clienti da una parte e l’industria dall’altra. E non lo Stato. Nell’UE, invece, questo paradigma è stato rovesciato. Gli altri attori occidentali dell’automotive, cioè Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, si sono ben guardati dall’adottare simili imposizioni “burocratiche”. Le aziende europee si sono quindi mosse entro questo perimetro decisionale. Poiché la strategia e la relativa pianificazione operativa sono state basate sulla data limite del 2035, se l’entrata in vigore di questa decisione fosse spostata o cancellata la responsabilità sarebbe tutta della Commissione UE e degli Stati europei che l’hanno imposta». Una decisione, ricordiamo, presa a maggioranza dagli Stati membri dell’UE, ma dalla quale l’Italia si era astenuta.

Europa resta un «follower»

L’aspetto chiave dell’industria dell’auto, ci spiega Ruggeri, è rappresentato dai cosiddetti «cicli di vita», che durano circa vent’anni. «Se non li si dominano - afferma -, è impossibile sopravvivere, perché coincidono con la stessa esistenza del prodotto e con il suo sviluppo, in un’ottica di una continua innovazione prodotto-mercato-processi ad alta specificità. L’industria dell’auto europea ha perso già due cicli ed è oggi un “follower” di quella asiatica». Riguardo alla Cina, Ruggeri ricorda come, nel 1992, Deng Xiaoping inventò la via comunista al capitalismo, applicato poi all’automotive (l’industria chiave che «occidentalizza» il Paese, disse all’epoca il leader cinese). «Trent’anni dopo la scelta cinese del full electric, forte della robusta filiera, sta castrando pure le joint venture storiche cino-americane/tedesche/giapponesi», spiega Ruggeri. Infatti «una cosa è creare ex novo uno stabilimento nato come “elettrico”, altra cosa riconvertire in “elettrico” uno stabilimento nato con un prodotto diverso». «L’Europa non può tornare indietro rispetto all’elettrico e neppure può far slittare la data del 2035. La Cina, ancor prima di combattere, ha già vinto: sarà il leader e l’Europa - per sua scelta - resterà uno dei follower», conclude.

Il titolo Stellantis quotato sui listini di Parigi e Milano ha chiuso in profondo rosso, segnando un -6,37% sul primo e un -6,30% sul secondo, a 11,73 e 11,75 euro rispettivamente. In corso di seduta il prezzo è calato fin verso quota 11,28 euro (-10%), toccando un nuovo minimo dal 2 luglio del 2022, quando scese fino a 11,2 euro. Ma la notizia delle dimissioni del CEO Tavares ha, di fatto, solo accentuato una tendenza al ribasso del titolo, che da inizio anno ha registrato una flessione del 44,5% circa. Più «contenuto» per contro il calo di Renault, che a Parigi ha ceduto «solo» il 2,05%. A New York, dove è quotato al Nyse, in serata Stellantis cedeva oltre il 6%.
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