Trump e cripto, svolta o caos?

Agli inizi di novembre 2024 valeva attorno ai 70 mila dollari, il 23 gennaio 2025 ha sfiorato i 110 mila dollari, poi la settimana scorsa è salito sulle montagne russe e il prezzo è oscillato tra i 93 e 82 mila dollari, mentre tra lunedì e oggi ha «visto» dei minimi attorno a 77.600 dollari. Parliamo del Bitcoin e di tre momenti chiave - finora - per le possibili sorti del mondo cripto, perlomeno negli USA: la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali; la firma del decreto esecutivo sugli asset digitali e relative tecnologie; e la (concitata) settimana della firma di un secondo decreto esecutivo per la creazione di una riserva strategica di cryptoasset, che si è conclusa venerdì scorso con un esclusivo incontro a Washington tra l’Amministrazione Trump e i principali rappresentanti dell’industria cripto. «Un anno fa, sarebbe stato più probabile finire in prigione che alla Casa Bianca», ha detto in apertura di sessione David Sacks, a capo del Comitato dei consiglieri del Presidente per la scienza e la tecnologia, noto anche come «lo zar delle cripto e dell’IA». La battuta l’ha pronunciata in realtà uno dei partecipanti all’incontro, ma rende bene l’idea di quanto siano cambiate le cose a Washington in merito al tema cripto - e già da qualche tempo. Sì, perché nel decreto firmato da Trump lo scorso 23 gennaio si legge, al punto 3: «L’Ordine esecutivo 14067 del 9 marzo 2022 (Garantire lo sviluppo responsabile degli asset digitali) è revocato». Detto altrimenti, gli ostacoli messi dall’Amministrazione Biden sono rimossi e la strada per la legittimazione delle cripto è spianata. Poi, lo scorso 6 marzo Trump ha rincarato la dose con un secondo decreto che stabilisce la creazione di una «riserva strategica di Bitcoin» e l’istituzione di un cosiddetto Digital Asset Stockpile «che possa servire come deposito sicuro per una gestione ordinata e strategica degli altri asset digitali detenuti dagli Stati Uniti». Ovvero, non solo Bitcoin (ed Ether, la seconda cripto per importanza e diffusione nel mondo), ma anche altre tre cripto cosiddette altcoin, cioè token che non siano né Bitcoin, né Ether: (XRP, la terza cripto al mondo, emessa da Ripple); SOL (che gira sulla blockchain Solana); e ADA ( legata alla blockchain Cardano).
Vertice sotto le attese
Ma il tanto atteso incontro - o «vertice», visti il tono formale e la lista degli invitati che includeva tutti i big del settore (Coinbase, Ripple, Kraken, Gemini, Chainlink, Robinhood ecc.) - si è concluso con un sussulto anziché con un botto per i cryptotrader. Gli operatori di mercato avevano infatti riposto grandi speranze nella posizione favorevole del presidente Donald Trump in materia di cryptoasset. Invece, il vertice ha prodotto un risultato più contenuto: un quadro legislativo sulle stablecoin da attuare entro agosto e l’assicurazione di un approccio normativo più leggero. Ma gli operatori sono rimasti delusi perché hanno capito che l’Amministrazione Trump non intende, almeno per ora, acquistare nuovi token – Bitcoin o altri - ma semplicemente tenere quelli che ha già (sono perlopiù frutto di sequestri a seguito di atti illeciti). Venerdì un alto funzionario della Casa Bianca ha detto che il governo USA ha circa 200 mila Bitcoin a disposizione per avviare la riserva e che condurrà un’analisi approfondita per capire se ne ha altri, mentre qualsiasi sequestro di altri asset digitali confluirà nell’altra riserva (Digital Asset Stockpile). Inoltre, ha specificato che non vi saranno nuovi investimenti in altcoin, mentre qualsiasi futuro investimento in Bitcoin dovrà essere effettato in modo da non utilizzare in alcun modo il denaro dei contribuenti.
«Oro digitale» legittimato?
Viene da pensare che siamo davanti alla classica montagna che ha partorito un topo, vista anche la reazione dei mercati. Oppure no? Stando alle molte analisi formulate in queste settimane, l’accettazione del Bitcoin negli USA potrebbe vedere altri Paesi agire di pari passo, dando nuova linfa rialzista alle cripto. Infatti, la priorità data dagli Stati Uniti al Bitcoin come asset di riserva non solo «legittima» il suo status di «oro digitale», ma crea anche un precedente che potrebbe accelerare i quadri normativi e guidare l’adozione istituzionale in tutto il mondo.
Europa «pronta»
Per esempio, in Europa, con l’UE che però si è già dotata di una direttiva: il Markets in Crypto-Assets (MiCA), un regolamento sviluppato a partire dal 2018 ed entrato in vigore a fine dicembre 2024 che si applica all’emissione, alla commercializzazione e alla negoziazione di cryptoasset e ai servizi correlati. Secondo il MiCA, le società che intendono intraprendere queste attività devono rispettare requisiti normativi simili a quelli bancari, tra cui un’adeguata gestione interna del rischio e requisiti minimi di capitale. Ciò significa che se una società vuole emettere per esempio una stablecoin, dovrà ottenere un’apposita licenza e-money e tenere almeno il 60% delle sue riserve - denaro fiat, naturalmente - presso una banca tradizionale. Rispetto agli USA, quindi, l’Europa ha perlomeno fissato degli standard, garantendo quindi il diritto in questo ambito innovativo e in piena evoluzione - un po’ come ha fatto con la sua AI Act. E anche a rischio, dicono i critici, di rallentare l’adozione di nuove tecnologie finanziarie.
Tether «fuori norma» nell’UE
Ma qualche impatto il MiCA lo ha già avuto: dallo scorso 31 gennaio la stablecoin tether (USDT), la prima al mondo per diffusione e utilizzo (e partner della Città di Lugano nel suo Plan B), è stata depennata da diversi exchange europei, come Crypto.com e Kraken. Gli utenti possono ancora detenere e «prelevare» USDT fino alla fine di marzo, dopodiché i saldi rimanenti saranno convertiti in asset conformi alle norme UE. Nota interessante: pare che Tether non fosse presente al vertice di venerdì corso alla Casa Bianca...