Lavoro

Frontalieri, la soglia psicologica che si sposta sempre in avanti

A fine settembre i frontalieri in Ticino erano quasi 80 mila – Giuseppe Augurusa: «La crescita proseguirà» – Lorenzo Quadri: «La cifra non risponde ad alcuna esigenza dell'economia»
© CdT / Gabriele Putzu
Dario Campione
19.12.2023 20:30

Di soglia in soglia, la psicologia di chi osserva l’andamento dei numeri del frontalierato italiano in Ticino rischia di saltare per aria.

Al tempo dei bala i ratt - era l’ottobre del 2010 - la quota «invalicabile» era stata fissata a 50 mila. Numero superato di slancio proprio a pochi mesi di distanza dall’avvio della campagna dell’UDC.

Tredici anni dopo, siamo ormai vicini a scavalcare un’altra asticella, posta invero molto più in alto delle precedenti, a 80 mila unità. I dati del terzo trimestre 2023, resi noti soltanto oggi, sono chiari: alla fine di settembre, i frontalieri nel nostro cantone erano 79.664 (il 67,5% dei quali nel settore terziario), in aumento dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e del 2,9% rispetto allo stesso periodo del 2022. La manodopera straniera rappresenta quindi, in pratica, un terzo di tutto il mercato del lavoro in Ticino: il 32,71%.

La tendenza alla crescita non riguarda soltanto il Sud della Svizzera ma l’intera Confederazione, ed è costante nel tempo. Sempre alla fine di settembre, infatti, i frontalieri con un permesso G attivi nel nostro Paese erano circa 391 mila, in forte aumento rispetto al terzo trimestre 2022, +4,4%. Mentre se lo sguardo si allarga agli ultimi cinque anni, si nota come il numero di frontalieri sia passato da 327 mila unità nel terzo trimestre 2018 a 391 mila, appunto, nel terzo trimestre 2023: un balzo di quasi un quinto (il 19,57%, per l’esattezza). Di questi 391 mila frontalieri, poco più della metà vive in Francia (56,4%), il 23,8% in Italia e il 16,6% in Germania (residuali i dati di altri Paesi).

Il nuovo accordo

Dallo scorso 17 luglio, com’è noto, il regime fiscale dei frontalieri italiani in Ticino è cambiato. I nuovi assunti saranno assoggettati a un sistema impositivo misto e pagheranno, mediamente, un 30% in più di tasse rispetto ai “vecchi” lavoratori, a coloro cioè che erano attivi alla data dell’entrata in vigore della riforma.

Stando ai numeri pubblicati oggi dall’USTAT, le novità introdotte dall’accordo fiscale di luglio non hanno, almeno per il momento, reso meno attrattivo il mercato del lavoro ticinese per i frontalieri italiani. Ma bisognerà attendere i prossimi monitoraggi per capire se l’attuale tendenza sarà confermata o se le cose sono destinate a cambiare.

«Ho sempre sostenuto che la modifica dell’accordo fiscale, con l’incremento della tassazione e le nuove regole, non avrebbe determinato un rallentamento della domanda di lavoratori - dice al CdT Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale frontalieri della CGIL - La crescita stimata del 5% annuo proseguirà in relazione ad almeno tre fattori: salari sopra la soglia minima; crescita dell’economia dei cantoni di frontiera; congiuntura negativa del mercato del lavoro italiano. L’unico fattore di freno possibile potrebbe essere la congiuntura negativa non strutturale, di cui ha parlato peraltro di recente l’ufficio studi dell’UBS».

Clausola di salvaguardia

Da una prospettiva diversa, la corsa al rialzo del frontalierato preoccupa il consigliere nazionale della Lega dei Ticinesi, Lorenzo Quadri, che oggi ha depositato in Parlamento una mozione con cui si chiede al Consiglio federale di «elaborare e introdurre una clausola di salvaguardia a tutela del mercato del lavoro ticinese, mirata a fronteggiare il continuo aumento dei frontalieri, da troppo tempo insostenibile per il tessuto lavorativo e sociale del cantone».

A sostegno della sua mozione, Quadri spiega che la cifra di 80 mila frontalieri, «su una popolazione di circa 350 mila abitanti, è del tutto sproporzionata e non risponde ad alcuna esigenza dell’economia», soprattutto se si considera che «L’esplosione del frontalierato» riguarda in particolare il «settore terziario», nel quale prima della libera circolazione delle persone lavoravano in 10 mila, mentre adesso «sono cinque volte di più».

Anche le novità introdotte dal nuovo accordo fiscale, secondo il parlamentare della Lega, non saranno un deterrente efficace. Se è vero, infatti, che il regime di doppia imposizione aumenterà il carico di tasse dei frontalieri, è altrettanto vero che «la differenza salariale tra Svizzera e Italia rimane estremamente importante». Peraltro, fa notare Quadri, «Il progressivo rafforzamento del franco sull’euro accresce notevolmente questo divario: un frontaliere che nel 2008 guadagnava 3.000 franchi al mese, dopo averli convertiti in euro si trovava in tasca 1.800 euro. Oggi, lo stesso frontaliere, con un identico stipendio svizzero, di euro ne guadagna oltre 3.100».

Il punto, però, è sempre lo stesso: il fatto, cioè, che sono le imprese ticinesi - per via di una competitività accresciuta dalla possibilità di pagare salari più bassi o di una mancanza di figure professionali specializzate - a cercare i frontalieri. O a insistere sulle tipologie di lavoro quali lo smartworking. Un’insistenza, paradossalmente, contrastata oggi pure dall’Italia, ormai preoccupata di non riuscire a frenare la fuga all’estero dei propri lavoratori.

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