Gli infermieri SUPSI di domani si allenano al simulatore
Vicenzo D'Angelo, aprendo la porta, saluta Catherine e Greta. Ma non è davvero Vincenzo, docente senior al corso di laurea SUPSI in Cure infermieristiche — bachelor del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale —, sta interpretando il personaggio in una simulazione: «Ero a fare compere, buongiorno...». Le due studentesse, entrambe al terzo anno della formazione, stanno al gioco e ricambiano. Non sanno con esattezza cosa troveranno oltre la soglia. D'altronde, questa è una giornata speciale. Una giornata carica di emozioni e adrenalina qui al Centro di simulazione, per andare a caccia di quegli errori da evitare quando ci si trova di fronte a un paziente reale, ma in situazioni al limite e, per la verità, anche molto rare da vedere nelle carriere professionali nell'ambito della sanità. «Nooo! È per terra! È in bagno», esclama Vincenzo, indicando un manichino nella stanza. Un grande specchio è appeso al centro di una parete. Inutile dire che permette di vedere a chi sta dall'altra parte, come nelle sale degli interrogatori nei film. E, in effetti, Daniel Pasquali segue tutte le mosse delle ragazze con attenzione. È lui il «regista» della ricostruzione.
I microfoni indossati dalle soccorritrici permettono di sentire tutto ciò che dicono. E ci sono anche le telecamere. In un'aula vicina, oltre un corridoio, gli altri compagni di corso osservano e ascoltano vigili quanto sta succedendo nel locale simulazione su un grande schermo/lavagna digitale. I dati dei segni vitali del manichino-paziente sono riportati in un riquadro. E sono realistici. Qualcuno indica, sussurra qualcosa al vicino.
Intanto, nella stanza sotto analisi, Catherine solleva un telefono. Nel locale-regia, Daniel accende un altro microfono e risponde come fosse un operatore del 144: «Dove mando l'ambulanza?». La situazione è molto stressante. Il tempo è poco. Devono agire in fretta. Anche il «pupazzo» ci mette del suo: muove il torace, gli occhi... Dopo qualche minuto in cui Catherine e Greta svolgono una lunga serie di operazioni d'assistenza, rientra Vincenzo: «Bene. Potete rientrare in aula, non parlate di questo intervento finché non arriviamo anche noi», aggiunge il 59.enne.
Adrenalina. E analisi
Dopo l'adrenalina della simulazione, è il momento del rapporto. I compagni, seduti in cerchio lungo il perimetro, applaudono non appena le due protagoniste varcano l'ingresso. Insieme ai due formatori, si analizza ogni aspetto della prestazione.
Tempi di reazione, capacità di comunicazione, efficacia delle scelte... ogni passaggio è dissezionato con attenzione. «Sono studenti del terzo anno, negli ultimi 100 metri della formazione per così dire –racconta D'Angelo al Corriere del Ticino –. Avranno ancora uno stage, dovranno concludere la tesi e poi saranno diplomati, se tutto va bene. In fondo, qui cerchiamo di prepararli anche all'uscita verso il mondo del lavoro».
«Utilizziamo la simulazione, perché permette ai professionisti della salute di confrontarsi con situazioni di emergenza, ma anche con situazioni di routine, in un ambiente completamente sicuro», dice Pier Luigi Ingrassia, direttore scientifico del CeSi, il Centro di Simulazione in zona Stadio. Il laboratorio è una struttura del Centro professionale sociosanitario, ma collabora con tutti gli enti di formazione e di cura del Cantone: «Dagli istituti universitari, alle scuole superiori, dalla Federazione ambulanze, all'Ente ospedaliero cantonale...», elenca il 47.enne. «Questo sistema permette di ricreare artificialmente una serie di situazioni estremamente complicate, andando a caccia dell'errore. Lo analizziamo, facciamo riflettere i partecipanti sui meccanismi che l'hanno generato, permettendo di evitare che questo si riproponga in una situazione dove l'errore, invece, ha sì delle conseguenze, in alcuni casi anche gravi».
Il saper essere
«È una professione arricchente, stimolante, bellissima», premette Anna Piccaluga-Piatti, responsabile Formazione base al Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI, parlando della formazione in Cure infermieristiche: «Si tratta di una formazione di tre anni dove c'è alternanza tra formazione teorica e stage. La cosa positiva è poter mettere le mani in pasta alla fine del primo anno con questi stage formativi, che permettono di scoprire la professione e acquisire, man mano, delle competenze che poi saranno esercitate in maniera completa dopo la laurea. La carenza di infermieri è presente già da tempo e negli ultimi anni se n'è parlato di più. Deriva da tutta una serie di fattori. Bisogna capire che la professione infermieristica non è una professione che si ferma esclusivamente a un reparto di cura. È un titolo di studio che può dare mille sbocchi diversi, in mille contesti», aggiunge la 49.enne. Che fa una serie di esempi: «Si può continuare, ad esempio dopo il bachelor, con un Master... ci si può dedicare a una carriera più accademica, come ci si può dedicare a delle specializzazioni, quindi a formarsi ulteriormente per lavorare in contesti specifici come la psichiatria, la geriatria...».
«Queste attività di simulazione sono importantissime – sottolinea la responsabile, evidenziando l'importanza di questa giornata di formazione –, perché consentono di lavorare a trecentosessanta gradi. Non solo sul gesto tecnico, ma anche sul saper essere, sull'attitudine. Punti fondamentali nella gestione di alcune situazioni. Situazioni che ricostruiamo qui e che, probabilmente, sarebbe un po' pericoloso gestire per la prima volta davanti a un paziente reale».
Emozioni forti
È il momento di una breve pausa. Ragazze e ragazzi iniziano a popolare i corridoi del centro di formazione. Sogni, esperienze, idee si mescolano nel rumore dei portoni che si aprono e chiudono, dei passi e delle voci dei giovani. «Ho deciso di venire qui perché era molto improntata sulla pratica», racconta Irene, 21.enne. «Ho svolto una formazione precedente nell'ambito sociale. Sì certo, era bello stare con le persone,... ma è anche molto bello poterle aiutare nei momenti di difficoltà. Penso l'Infermieristica offra un buon punto di incontro, dalla clinica al contatto con il paziente, con la persona».
«Mi piace molto il contatto con le persone», aggiunge Noé, 25 anni delle Centovalli. «Trovo che sia uno stimolo a migliorare. Dopo aver fatto qualche stage in ambito clinico, mi sono accorto che la figura infermieristica era un lavoro stupendo e così ho deciso di seguire la formazione della SUPSI. Queste simulazioni sono molto interessanti. Anche il fatto di poter provare situazioni che durante gli stage non si vedono spesso... o che, probabilmente, non ti capiteranno mai. Ammetto che non sanno per nulla di simulazione. Quando sei lì, le vivi in modo molto realistico e provi molte emozioni: timore, ansia, stress... Spesso si tratta di situazioni acute, quindi bisogna agire velocemente... ma con il riscontro del docente e del gruppo ci si tranquillizza e ci si motiva a tenere i nervi saldi».
Sognare il futuro
Qualche metro più indietro, ecco Catherine. La 24.enne, anche lei del distretto di Locarno, ha le idee chiare su quel che vorrebbe fare: «Mi piacerebbe lavorare in ambito pediatrico, con i bambini. Infatti il mio prossimo stage sarà a Zurigo, in un ospedale per bambini, e andrò a lavorare in chirurgia. Penso che sia questa la mia strada». Anche lei riconosce che le simulazioni sono molto realistiche: «Abbiamo poco tempo, succedono emergenze in cui bisogna agire in fretta, bisogna collaborare con altri professionisti... Penso che sia molto importante poter sperimentare queste situazioni».
Anche Angelica vorrebbe, un giorno, stare a contatto con i piccoli: «Il mio sogno è diventare ostetrica. L'infermieristica apre molte porte nel mondo della sanità e il percorso che ho scelto è quello giusto», afferma la 25.enne.
Di tutta la classe, sembra che Mattia abbia qualche esperienza in più sulle spalle. «Sì – dice il 30.enne, parlando della sua formazione –, ho avuto varie esperienze cliniche in precedenza e mi son reso conto della necessità di fare di più per il paziente. Trovo che questa sia una formazione molto completa e che permetta di aiutare davvero le persone». Il giovane ha già un'idea della strada che vorrebbe imboccare. «Vorrei specializzarmi in anestesiologia o comunque in area critica, di emergenza. In sala operatoria, in terapia intensiva, nel pronto soccorso, anestesiologia...».
Nuove situazioni estreme
Ma è tempo di una nuova simulazione. La giornata è ancora lunga e la pausa è finita. Gli infermieri di domani tornano rapidi in classe. Si forma il gruppo che affronterà la prossima sfida. Céline, Camilla e Noé sono pronti a reggere una nuova ondata di tensione. «Mettiamo alla prova tre elementi e questo è sempre il terzo passaggio della sessione di simulazione», riprende ancora D'Angelo. «La velocità della decisione, per evitare di aggravare la salute del paziente. La dinamica di gruppo, perché quando ci sono tante cose da fare in un tempo ristretto è necessario dividersi il lavoro. Mentre il terzo elemento sono le emozioni. Quanto riescono a tenere testa alla situazione? Quanto riescono a restare lucidi? Sappiamo che, nel sistema sanitario, il 70% dei problemi non è dovuto a mancanza di conoscenze, ma spesso a fattori umani legati alla comunicazione e alle emozioni: "Ho capito, non ho capito... Tu mi hai detto, io non te l'ho detto...". Noi stressiamo questo elemento, in quest'ultimo capitolo della simulazione».
La complessità nella gestione delle comunicazioni, la capacità di dare indicazioni, di dividersi i ruoli, di interpretarli correttamente... tutti elementi che, nella prova con il manichino, si sommano all'applicazione delle conoscenze cliniche acquisite nel corso del triennio. «Conoscenze che devono mettere in pista qui, facendole coincidere con le loro capacità personali di interpretare il ruolo che hanno in quel momento, un ruolo veritiero, perché questa non è una finzione».
Stage anche all'estero
«È una professione che consente di entrare in contatto in maniera profonda con l'umanità, diciamo», afferma ancora Anna Piccaluga-Piatti. «Dà la possibilità davvero di avere un contatto diretto e unico con le persone. Questo la fa una professione molto speciale, soprattutto se si pensa che questo incontro spesso è legato a situazioni di fragilità». Ma non è tutto. Infatti, come istituzione universitaria, c'è la possibilità di vivere delle esperienze anche lontano da casa. «Certo, chi partecipa alla nostra formazione ha la possibilità di seguire dei semestri di studio o degli stage all'estero, in Europa, ma anche oltre, per esempio nei Paesi in via di sviluppo, in progetti di organizzazioni non governative: dall'Asia al Sudamerica...».
E gli studenti che possono godere di questa possibilità, apprezzano. «Al rientro, ragazze e ragazzi portano tanto entusiasmo, tanta voglia e vitalità. Probabilmente perché si tratta di esperienze uniche che arricchiscono anche in maniera importante il curricolo e la propria formazione personale», conclude la responsabile.