L'acqua pulita parte da Mendrisio, grazie alla SUPSI
Spinerolo, nei dintorni di Mendrisio. La vecchia fabbrica di saurolo, così come un tempo era chiamato l'unguento bituminoso milleusi, ospita un gruppo internazionale di studentesse e studenti della SUPSI. All'ombra della ciminiera, in disuso da anni, la struttura è stata restaurata e i locali un tempo usati nella produzione della miscela – ricavata dalle scisti bituminose del Monte San Giorgio – sono stati trasformati in camerate. Una settimana intensa, quella che stanno vivendo le ragazze e i ragazzi, dopo aver frequentato da ogni parte del mondo tre moduli teorici online sulla piattaforma Teams, da marzo a luglio. «Arrivano da Afghanistan, Somalia, Madagascar, Tagikistan, Kenya, Belgio, Olanda... Ma anche dalla Svizzera e dall'Italia. Qui si mettono in pratica gli insegnamenti e simuleremo la realtà di un conflitto», racconta Claudio Valsangiacomo, il docente promotore della formazione. Ha appena finito di dare il benvenuto agli ospiti.
Entusiasta, sorridente, il sessantenne ha un'idea precisa sul futuro dei partecipanti. «Porteranno l'acqua dove non c'è. Acqua pulita, potabile. E ne abbiamo davvero bisogno, perché su questo pianeta ci sono due miliardi di persone che non hanno accesso né a servizi igienici né all'acqua pulita». Nei campi profughi, se le cose non sono gestite come si deve, contagi o epidemie di colera sono sempre in agguato. Ed è proprio quel che si vuole evitare grazie a questo corso di formazione continua (un Certificate of Advanced Study, abbreviato in CAS) detto WASH (Water, sanitation and hygiene, Acqua, servizi igienici e igiene).
Il termine WASH così inteso è un settore cruciale nella galassia della cooperazione e dell'aiuto allo sviluppo. Il percorso è organizzato da alcuni anni a Losanna, ma questa è la prima volta in Ticino. «Se tutto va bene, avremo anche le prossime edizioni», afferma l'esperto.
Lo sa bene anche Sara Ubbiali, giovane docente di questa formazione prestata dall'EAWAG, l'Istituto federale di scienze e tecnologie acquatiche, sotto l'ala, tra le altre, anche del Politecnico di Zurigo. «Negli ultimi sette anni ho gestito vari progetti post disastri ambientali, anche in situazioni belliche. Finora non ho mai avuto una dimora fissa. Tornavo qualche settimana dai miei. E poi mettevo di nuovo tutto in valigia per la prossima missione».
Ubbiali ne ha viste tante. Profughi, rifugiati, persone in fuga o che sono costrette con la forza a trasferirsi da un'altra parte, così all'improvviso. «Dalle crisi di siccità al colpo militare in Birmania. E poi ancora Nicaragua, Libano, Bangladesh. Una miriade di situazioni difficili, insomma».
Un'esperienza preziosa che la 31.enne porta agli allievi del corso. Il modo migliore per capire come contestualizzare progetti in ambito sanitario nelle situazioni d'emergenza.
La prova sul campo
L'aula è attrezzatissima e non poteva essere altrimenti per il quartier generale della missione. Valsangiacomo, su una lavagna digitale, traccia alcuni punti salienti su una mappa della regione. «L'esercito svizzero ha invaso il Ticino per imporre lo svizzero tedesco come unica lingua, ma alcuni si sono ribellati. Circa seimila persone stanno scappando da Mendrisio e da Chiasso verso il Monte San Giorgio e verso il Monte Generoso. Il vostro compito – dice voltandosi verso la classe – è portare acqua potabile a tutti, scoprendo le sorgenti adatte e individuare i campi dove allestire le tendopoli».
Gli spessi tratti rossi fanno capire la gravità dello scenario. Una situazione che ricorda alla lontana la trama del film Bon Schuur Ticino, di cui sono state fatte alcune riprese anche a Locarno. «In realtà ci siamo ispirati a quanto realmente successo in Ucraina quando il governo di Kiev aveva imposto, anni fa e prima della guerra di oggi, l'ucraino come unica lingua nel Donbass».
In un angolo c'è tutto l'occorrente per analizzare i campioni che i ragazzi hanno raccolto nel corso di numerose esplorazioni. Il professore mostra due cerchi di carta quadrettata. Uno è pieno di puntini blu scuro e viola. «Ecco, questo proviene da una fonte di acqua contaminata. L'incubatrice ha permesso di rilevare numerose colonie batteriche».
I segreti degli acquedotti
Intanto fa capolino Anojah Muthusamy, un'altra relatrice del corso. Di formazione è ingegnere alimentare e lavora per le Aziende Industriali di Mendrisio. È lei che garantisce la qualità dell'acqua potabile che arriva nelle case della regione. «Prepariamoci per la trasferta, vi mostro le nostre sorgenti e vi spiego le procedure di potabilizzazione che dobbiamo seguire per la distribuzione», dice la 29.enne.
Il consorzio, tra l'altro, partecipa al programma attraverso l'iniziativa «Un centesimo per l'acqua». Dopo un breve tragitto, ecco il portale di accesso alla struttura per captare il prezioso oro blu, le sorgenti del Paolaccio.
Osman Cavusoglu, ingegnere veterano che conosce a menadito tutte le condotte della rete idrica, ha già preparato uno scatolone con i caschi di protezione. «Questa grotta ha un soffitto basso, rischiate di picchiare la testa», avvisa Muthusamy.
Uno alla volta, i ragazzi scendono la scala che porta alla fonte. Esplorando i dintorni della caverna e aiutandosi con le luci dei cellulari, ecco il ruscello che sbocca dalle rocce. Alcuni aprono i loro piccoli sacchettini trasparenti e prelevano alcuni campioni. «La trattiamo comunque, perché ai cittadini deve arrivare perfetta», dice Muthusamy. «Probabilmente in questi giorni è potabile dato che non ha piovuto, ma non possiamo permetterci di correre rischi». I risultati delle analisi degli studenti permetteranno loro di verificare la questione.
«Ora vi portiamo in un altro impianto, nuovissimo e appena entrato in servizio», avvisa Cavusoglu. La carovana raggiunge così l'impianto sulla piana tra Monte San Giorgio e Monte Generoso. «Questa sorgente l'abbiamo appena scoperta. Una falda spinta verso l'alto grazie alla pressione esercitata dalle due montagne», racconta l'esperto, che aggiunge: «Si trova sotto decine di metri di argilla. Se ci fosse un attacco nucleare, molte sorgenti non sarebbero più potabili. Ma questa gode di una protezione naturale e non subirebbe nessun danno. Probabilmente è l'unica acqua che berrei», esclama.
Il gigantesco stabile è ancora un mezzo cantiere, ma la struttura per gestire l'estrazione c'è tutta ed è nuova di zecca. «È stato un lavoro lungo convincere tutti gli attori in gioco sulla bontà di questa sorgente», ammette l'esperto mentre un gruppetto si affaccia all'oblò di una porta d'acciaio che permette di vedere la piscina d'acqua che sarebbe poi il serbatoio vero e proprio.
Le voci degli studenti
È ora di tornare alla base di Ca Stella, non senza aver prima visitato il nuovo campus di Mendrisio della SUPSI, proprio a pochi metri dalla stazione ferroviaria. L'istituto, tra l'altro, ha messo al centro la sostenibilità per celebrare i suoi venticinque anni di esistenza. «La scienza è applicata a contesti reali», spiega alla classe Valsangiacomo, aprendo l'ingresso ai ragazzi e descrivendo in poche parole la missione della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
«Da questa parte le aule di teoria, mentre sul lato opposto – indica il professore muovendo il braccio verso sud – gli spazi che chiamiamo Atelier, dove si svolgono attività pratiche».
«Sono davvero grato al governo svizzero che ha finanziato questo percorso di formazione», spiega Angelo, 35 anni e impiegato in un'organizzazione non governativa in Madagascar, Medair. Il giovane risponde alle domande in italiano. «Al mio rientro, la prima cosa che farò sarà presentare questi concetti al mio gruppo di colleghi volontari, come pure alle autorità governative». La stagione dei monsoni, aggiunge, sta arrivando.
«Dobbiamo essere pronti per risolvere tutti i problemi sul fronte dell'acqua potabile e della situazione umanitaria». Veronica, invece, non ha le idee così chiare come il collega Angelo, «ma dopo aver conosciuto gli altri, che in molti casi lavorano da anni nei settori legati alla gestione dell'acqua, mi rendo conto delle mille sfaccettature di questo mondo molto interessante», racconta la 35.enne che vive tra le montagne di Locarno, in Valle Verzasca. In precedenza, aveva già concluso un altro CAS dedicato alla cooperazione, sempre organizzato dalla SUPSI. «Tuttavia, questo è più specifico e lo trovo più adatto a me».
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