Giustizia

«Ho avuto paura di morire, sentivo il suo fiato sul collo»

In aula parla la vittima del fatto di sangue avvenuto a Solduno la sera del 21 ottobre di due anni fa: «Mi minacciava e denigrava, temevo che facesse del male anche alla mia famiglia»
Rescue Media
Irene Solari
27.11.2023 18:08

«A un certo punto della relazione ho iniziato ad avere paura». Ha la voce tremante ma i pensieri chiari, la giovane vittima del fatto di sangue di Solduno che ha deciso di raccontare la sua storia in aula questo pomeriggio alle Assise criminali di Lugano. «Per me non è facile essere qui, provo a parlare, ma non è semplice spiegare a parole quello che è successo. Mi ci sono voluti due anni e un percorso psicoterapeutico, ansiolitici e antidolorifici per le ferite. Ho dovuto fare tanta psicoterapia per elaborare il trauma».

Controllo totale

Nel ripercorrere la storia è emerso come l'imputato ha mostrato spesso comportamenti possessivi e gelosi nei confronti della donna, controllando tutto all'interno della loro relazione, anche negli spostamenti. «Quando l'ho scoperto lui mi ha obbligata a mantenere il tracciamento minacciando di fare del male a me o alla mia famiglia». Più volte, inoltre, ha minacciato di suicidarsi se lei lo avesse lasciato. «Ha anche simulato un'impiccagione davanti a me». Riusciva a trovarla ovunque fosse e aveva dei comportamenti aggressivi verso di lei, denigrandola, dicendo che lei doveva stare zitta in un angolo. Non era la prima volta, aggiunge il giudice, «succedeva spesso». La relazione era altalenante, c'erano dei momenti nei quali lui la elogiava e degli altri in cui la maltrattava, spiega la giovane. Una situazione di tira e molla, prosegue il giudice, «ma allora, perché non ha troncato?». «Avevo paura per la mia famiglia che lui facesse loro del male. Poi cercavo di vedere anche il buono in lui». La giovane non poteva nemmeno scegliere i propri vestiti, era l'imputato che decideva per lei. «Ho provato a ribellarmi ma lui diventava violento nei mie confronti, mi ha messo le mani al collo e le ha strette dicendo che mi avrebbe ucciso facendomi provare cosa voleva dire morire. Ho pensato in quel momento che sarei morta. Avevo paura, non sapevo più che cosa fare».

«Il fiato sul collo»

Assieme al presidente della Corte, la giovane vittima ripercorre i momenti dell'aggressione di quella sera. «Lui era vicinissimo a me, a una rampa di distanza, lo sentivo correre dietro di me, avevo il fiato sul collo». La ragazza era riuscita a sfuggire al suo controllo grazie alla prontezza di spruzzargli in faccia lo spray al pepe. Lui in quel momento ha preso in mano il fucile e l'ha inseguita. La vittima ha corso senza fermarsi. «Non mi sono guardata indietro un attimo». Durante l'ultima rampa di scale, poco prima del colpo e poco prima di uscire ha sentito rallentare l'aggressore, ha percepito aumentare la distanza tra loro due. La giovane ha avuto anche l'istinto di chiudere la porta d'ingresso dietro di sé, gesto che ha permesso di attutire il colpo del fucile che l'ha raggiunta all'addome. «Quando sono stata colpita ho continuato a urlare aiuto, mi hanno sparato, ma facevo fatica a respirare e sentivo che stavo perdendo conoscenza. Avevo tanta paura di morire. L'ultima immagine che ho è quella del soccorritore che diceva di restare cosciente».

Curare le ferite

Dopo le operazioni in ospedale, la convalescenza. Segnata da diverse complicanze che l'hanno riportata in ospedale a più riprese. Sul corpo sono rimaste le cicatrici dei colpi del fucile e delle operazioni mediche subite. «Soltanto a febbraio 2022 ho iniziato piano piano a guarire anche internamente. Chiaramente, anche oggi ho ancora dei problemi ma sto meglio». La giovane ha anche dovuto seguire una terapia basata su farmaci ansiolitici per tenere a bada lo stress post traumatico. «Oggi non prendo più nulla ma vedo una psicologa tutte le settimane e sto ancora lavorando sul trauma. Ora che lui è in prigione io sono tornata a vivere ma se penso a un domani ho molta paura per me. Lui non è pentito e ha affermato che non si sa che cosa può accadere in futuro. Lo dico perché lo conosco. Non penso che quanto successo quella sera sia stato un incidente».

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