I dazi statunitensi sono realtà

Ci siamo, il giorno dei dazi è arrivato. Dalle 6.01 di oggi, ora svizzera, le tariffe annunciate da Donald Trump per combattere il disavanzo commerciale degli Stati Uniti nei confronti di altri Paesi sono realtà. Ad essere colpite dai nuovi tributi sulle importazioni, che sostituiscono quelli di base entrati in vigore sabato, sono una sessantina di nazioni. Tra di esse anche la Svizzera che dovrà fronteggiare dazi del 31% da cui sono escluse, per ora, le esportazioni di oro e di prodotti farmaceutici, due voci importanti per la Confederazione. Gli altri Paesi sono assoggettati a tributi che variano dall'11% al 50%. A spiccare in questa particolare graduatoria è la Cina che si è vista appioppare dazi per un totale del 104%, una misura di ritorsione decisa dal presidente americano dopo che Pechino aveva annunciato che a sua volta avrebbe imposto dazi agli USA.
Dazi del 104% alla Cina e le borse asiatiche crollano
Come si è detto, il Paese più colpito dalla mossa di Donald Trump è la Cina che si è vista accollare dazi del 104%. A risentire dei tributi sulle importazioni imposti a Pechino (e non solo) sono state, come prevedibile, le borse asiatiche che hanno aperto in ribasso. L'indice Hang Seng di Hong Kong, su cui sono quotati molti esportatori cinesi, è sceso di quasi il 4% all'apertura delle contrattazioni, sebbene abbia poi registrato una certa ripresa nel corso della seduta. L'indice di riferimento giapponese Nikkei 225 è sceso di oltre il 4%, mentre l'indice australiano ASX 200 ha perso quasi il 2% e il KOSPI sudcoreano è sceso dell'1,82%. Taiwan, da parte sua, ampia il rosso a -5,86%. Tra i listini principali, soltanto Shanghai segna un rialzo dello 0,24%, mentre Singapore perde il 2,16%.
«È stato un errore da parte della Cina reagire. Quando l'America viene colpita, [il presidente] risponde con ancora più forza», ha detto al riguardo dei dazi del 104% sulle importazioni cinesi la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, nel corso di un briefing. Da parte statunitense è comunque stata mostrata una certa disponibilità al dialogo, a patto però che sia il Gigante Asiatico a fare il primo passo verso una parziale riconciliazione. «Il presidente voleva anche che dicessi che se la Cina si facesse avanti per fare un accordo, egli sarebbe incredibilmente cortese, ma che farebbe ciò che è meglio per il popolo americano», ha precisato Leavitt. «La Cina deve chiamare per prima».
Dal canto suo, Donald Trump, intervenendo alla cena di gala del National Republican Congressional Committee a Washington, si è detto ottimista sul fatto che «la Cina farà un accordo a un certo punto». Il tycoon ha quindi accusato Pechino di manipolare la valuta per compensare i dazi.
Più a lungo si protrae la guerra commerciale, più la Cina considera le mosse degli Stati Uniti semplicemente un tentativo di contenerla. «Pechino sta perdendo la pazienza con il team di Trump, credendo che non siano sinceri nel negoziare», ha affermato in dichiarazioni riportate dal Washington Post Zhao Minghao, professore presso il Centro di Studi Americani dell'Università di Fudan.
Il presidente Xi Jinping, nelle sue prime dichiarazioni pubbliche dopo l'escalation della guerra commerciale con gli USA, ha invitato «a costruire una comunità con un futuro condiviso» nella regione e a impegnarsi «ad aprire nuove strade per il lavoro di buon vicinato». Intervenendo a una conferenza di due giorni sulle relazioni regionali, Xi ha rimarcato la necessità di «consolidare la fiducia reciproca» con le altre nazioni, nel resoconto diffuso dalla Xinhua. La Cina rafforzerà «i legami strategici con i Paesi vicini» al fine di gestire «in modo appropriato» le divergenze e «di rafforzare le catene di approvvigionamento».
La Cina ha «una ferma volontà e mezzi abbondanti» per adottare contromisure se gli Stati Uniti dovessero intensificare ulteriormente le misure restrittive e punitive. È la posizione del ministero del commercio, nel giorno dell'entrata in vigore dei dazi Usa al 104% sui beni made in China e nel giorno della diffusione del libro bianco di Pechino sulle relazioni commerciali Cina-Usa.
A fare le spese nel continente asiatico dei dazi statunitensi non è comunque solo la Cina. Secondo il primo ministro Lawrence Wong, le tariffe imposte dagli USA avranno un impatto negativo sull'economia, sulle imprese e sui lavoratori di Singapore. «Potremmo o meno entrare in recessione quest'anno, ma sono certo che la nostra crescita subirà un impatto significativo», ha affermato Wong. Il Bilancio 2025 prevede misure di supporto a breve termine, mentre una nuova task force sarà creata per affrontare le incertezze immediate, con il Governo che continuerà a monitorare attentamente la situazione, ha aggiunto.
Chi prova a dialogare
Di fronte ai dazi imposti da Donald Trump, numerosi sarebbero i Paesi che starebbero cercando di mediare accordi con l'amministrazione statunitense. Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha detto alla CNBC che quasi 70 Paesi si sono rivolti agli Stati Uniti per discutere delle barriere commerciali.
Martedì Trump ha dichiarato sui social media di aver avuto una «lunga telefonata» con il presidente ad interim della Corea del Sud in merito a un possibile accordo per rimuovere la tariffa del 25 percento che Trump aveva minacciato di imporre sulle esportazioni dell'alleato.
Politico, che cita funzionari stranieri protetti dall'anonimato, scrive che Donald Trump e i suoi più alti dirigenti commerciali affermano che stanno negoziando con i partner commerciali sui dazi aggiuntivi, ma molti Governi stranieri interessati a un dialogo sono ancora in attesa al telefono. Le Filippine starebbero ancora aspettando una risposta alla loro richiesta di incontro, secondo un dirigente di quel Paese. Il Regno Unito ha proposto alla Casa Bianca un quadro per un accordo commerciale, ma non è riuscito a evitare gli aumenti tariffari. Un altro diplomatico straniero ha affermato che il suo Governo si sta rivolgendo a diversi collaboratori di Trump a tutti i livelli, ma molti non hanno risposto o non erano disposti a fare altro che ascoltare. Inoltre, i funzionari di Trump non hanno specificato esattamente quali concessioni l'amministrazione stia cercando per aprire la strada a una soluzione negoziata. Secondo Politico, è un segno che, sebbene l'amministrazione cerchi di rassicurare i mercati finanziari, i leader aziendali e i repubblicani di avere una soluzione definitiva per i dazi che stanno scuotendo il mercato, la Casa Bianca è ancora molto lontana dal raggiungere accordi commerciali sostanziali con i principali partner stranieri. Progredire rapidamente, sottolinea la testata, sarà ancora più difficile perché ora l'amministrazione sta cercando di negoziare accordi bilaterali con quasi 100 Paesi contemporaneamente per raggiungere una serie di obiettivi poco chiari.
E chi risponde a muso duro
Se, come detto, alcuni Paesi cercano la via negoziale, il 104% di dazi imposti alla Cina mostra che altri hanno invece deciso di adottare la politica del pugno duro. Pechino ha infatti reagito alle tariffe statunitensi imponendo dazi e implementando altre misure come controlli sulle esportazioni e divieti sulle importazioni. Secondo quanto scrive il Washington Post, gli analisti ritengono che l'escalation da entrambe le parti rende meno probabile la possibilità di colloqui.
«Oltre un certo punto, un'ulteriore escalation perde di significato», spiega al quotidiano statunitense Lizzi C. Lee, esperta di economia al Center for China Analysis dell'Asia Society Policy Institute. «La Cina probabilmente deciderebbe che non ha senso continuare a impegnarsi, e a quel punto, la ritorsione potrebbe assumere forme per cui gli Stati Uniti non sono pronti».
Le ritorsioni potrebbero comportare la sospensione della cooperazione per impedire che il fentanil e le sostanze chimiche correlate raggiungano gli Stati Uniti; il blocco delle importazioni di prodotti statunitensi che dipendono dal mercato cinese, come prodotti agricoli, servizi o energia; o la rapida apertura di canali commerciali con altri Paesi duramente colpiti dai dazi, ha affermato Lee.
Alcuni blog cinesi molto influenti hanno anche ipotizzato che Pechino potrebbe vietare l'importazione di film statunitensi in Cina.
«Presto colpito anche il settore farmaceutico»
Se, come abbiamo detto in apertura di articolo, per ora la Svizzera ha potuto tirare almeno un parziale sospiro di sollievo in quanto sono state esentate dai dazi statunitensi le esportazioni di oro e di prodotti farmaceutici, le cose potrebbero presto cambiare. Intervenendo alla cena di gala del National Republican Congressional Committee al National Building Museum, Donald Trump ha infatti detto che gli USA «annunceranno presto dazi sul settore farmaceutico». Il presidente americano si è lamentato del fatto che gli Stati Uniti non producono più i propri farmaci e ha parlato delle disparità nei prezzi che gli altri Paesi pagano per i farmaci. «Annunceremo a breve un'importante tariffa sui prodotti farmaceutici», ha detto, sostenendo che la mossa riporterà la produzione farmaceutica negli Stati Uniti.