L'intervista

«I Democratici americani hanno bisogno di leader giovani»

Alec Ross, ex consigliere di Barack Obama e Hillary Clinton, analizza i risultati del 5 novembre - «Concetti come il wokeism e la fluidità di genere hanno spostato l’elettorato dei maschi bianchi e latinos verso i Repubblicani» - Trump premiato dalla «rabbia dei perdenti della globalizzazione»
© REUTERS/Kevin Lamarque
Dario Campione
09.11.2024 06:00

L’America democratica si sta interrogando, in queste ore, sul naufragio della vicepresidente, il cui battello elettorale è stato stritolato dalla corazzata repubblicana. Perché Donald Trump ha vinto? E, soprattutto, perché Kamala Harris ha perso in modo così netto, definitivo, inequivocabile, lasciando sul terreno, rispetto a quattro anni fa, una decina di milioni di voti?

Il Corriere del Ticino ha posto queste, e altre domande, ad Alec Ross, 52 anni, uno dei massimi esperti mondiali di innovazione, oggi docente alla Bologna Business School. Autore dei best seller Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni (Feltrinelli, 2016) e I furiosi Anni Venti. La guerra fra Stati, aziende e persone per un nuovo contratto sociale (Feltrinelli, 2021), Ross è stato consigliere di Barack Obama e senior advisor per l’Innovazione della Segretaria di Stato Hillary Clinton.

I numeri delle urne

La prima riflessione di Ross riguarda l’esito del voto sul piano dei numeri. «I risultati del 5 novembre ci dicono che le scelte di voto si basano in gran parte sulle caratteristiche demografiche. Razza, etnia, genere e generazione sono oggi più determinanti che mai per decidere chi votare. Negli Stati Uniti sta quindi avvenendo una sorta di ri-territorializzazione. Il Paese è diventato tribale».

Gli USA, hanno insistito molti osservatori, sono e restano un Paese “diviso”. Ancora di più, forse, dopo il 5 novembre. «Gli Stati Uniti sono gli Stati Disuniti - dice Ross - Questo è dovuto a una varietà di ragioni, tra cui il fatto che le politiche fiscali e l’ascesa dei conglomerati aziendali hanno ridistribuito la residenza delle persone. Quello che intendo è che, un tempo, gli Stati Uniti erano come l’Europa, in cui ogni città aveva le sue piccole e medie imprese, e i figli degli amministratori delegati o dei dirigenti frequentavano le stesse scuole dei figli dei custodi che pulivano i pavimenti negli edifici. La creazione di conglomerati e le politiche fiscali variabili da Stato a Stato hanno distrutto tutto questo. Ora, tutte le élite si concentrano in un numero ridotto di città quali Los Angeles, Chicago, Seattle e New York, e non c’è più quel mix culturale ed economico che esisteva anche soltanto 30 anni fa».

La distruzione delle piccole e medie imprese e la creazione di conglomerati, dice ancora Alec Ross, «ha essenzialmente creato un binario geografico ed economico di vincitori e di perdenti. I vincitori di questo binario hanno votato per i Democratici, mentre i perdenti hanno votato in maggioranza per Trump. Questa è stata la causa di gran parte della rabbia espressa alle urne. Una rabbia che sta contribuendo alla tribalizzazione della società americana, fenomeno per cui invece di identificarci principalmente come americani, ci identifichiamo più strettamente nei nostri rispettivi gruppi demografici. Questo è anche legato alla globalizzazione: a mano a mano che i processi economici diventano più globali, le persone spesso si rifugiano nelle loro identità locali per trovare un senso di appartenenza».

Il calo dei votanti

Secondo l’Election Lab della University of Florida, gli aventi diritto in questa tornata elettorale erano 245,7 milioni (5 in più del 2020). La partecipazione è tornata a diminuire, fermandosi attorno al 63% (rispetto al 67% di quattro anni fa), fattore che probabilmente ha penalizzato Kamala Harris la quale, alla fine, raccoglierà circa 10 milioni di voti in meno di quelli ottenuti da Joe Biden.

«C’era una profonda mancanza di entusiasmo per la candidatura di Kamala Harris - dice Alec Ross - I giovani che avevano votato in massa nel 2020 in risposta a Trump e al COVID non hanno votato o hanno scelto di cambiare il loro voto, in parte perché - sebbene l’economia complessiva degli Stati Uniti sia molto forte e i numeri, oggettivamente farebbero invidia a molti Paesi - stanno affrontando una sorta di crisi spirituale ed economica. Questo è un aspetto. Il secondo aspetto è che alcune delle lealtà demografiche tradizionali sono cambiate. Gli elettori ispanici, ad esempio, si sono orientati molto più verso Trump e i Repubblicani rispetto al passato. Infine, gli Stati Uniti sono diventati un Paese più orientato a destra. Le questioni legate al “wokeism” hanno creato un contraccolpo nelle urne».

Sempre stando alle cifre dell’Election Lab della University of Florida, Donald Trump potrebbe prendere, una volta chiusi i seggi, 1 o 2 milioni di voti in più del 2020. Il tycoon ha quindi mantenuto la sua base precedente e aggiunto nuovi elettori, soprattutto giovani maschi bianchi e latinos.

«Il sostegno dei giovani elettori bianchi maschi, così come dei latinos, è stato il risultato di una sorta di iper-mascolinità che Donald Trump ha promosso durante la campagna - sostiene ancora Alec Ross - La mascolinità e il concetto di uomo forte, insieme con alcuni degli attributi più tradizionali ascritti alla mascolinità, sono stati attaccati per molti anni. La riaffermazione del machismo da parte di Trump è stata profondamente attraente per questi gruppi sociali. Per i latinos, ad esempio, la mascolinità è uno degli attributi distintivi della propria cultura. Il “wokeism” e concetti come fluidità di genere e transgender, vanno in direzione opposta rispetto alle basi culturali di provenienza dei latino-americani. Un fattore sfruttato politicamente da Trump, indifferente delle offese rivolte in tal modo alle élite e agli elettori più istruiti. Le stesse élite che non hanno compreso quanto più numerosi siano gli operai e la classe media. Anche se Donald Trump è nato milionario a New York, il suo vero dono è comprendere come entrare in sintonia con le persone della middle America, i cittadini che appartengono alla classe lavoratrice e che non hanno una laurea».

Quale ciclo politico

Resta da capire se, una volta chiuso il ciclo elettorale di Trump, si aprirà quello dei “trumpiani” o si tornerà a una dialettica più tradizionale tra Democratici e Repubblicani.

«È impossibile saperlo con certezza - risponde Alec Ross - ma penso che la dialettica tradizionale tra Democratici e Repubblicani sia cambiata almeno per i prossimi dieci anni, perché il Partito Repubblicano è stato completamente trasformato. Non è più il partito di Ronald Reagan e di George Bush padre, ma il partito di Donald Trump, ed è difficile comprendere quanto poco le politiche di Reagan e Bush abbiano in comune con quelle di Trump. La presa di controllo del Partito Repubblicano da parte del presidente eletto non si è manifestata solo nel suo mandato alla Casa Bianca, ma anche nella composizione del Senato, del Parlamento, dei governatori e persino delle cariche locali».

La strada che i Democratici devono percorrere per riconquistare vecchi e nuovi elettori appare, comunque, stretta. Serve, a detta di Ross, soprattutto un cambio generazionale. «I leader attuali devono andare in pensione. Nancy Pelosi ha più di 80 anni. Bernie Sanders ha più di 80 anni. Joe Biden ha più di 80 anni. Chuck Schumer è sui 70 anni. Il Partito Democratico è un partito geriatrico. I padroni del partito dovrebbero guardarsi allo specchio, riconoscere la responsabilità che hanno per questa sconfitta elettorale e ritirarsi. Purtroppo, credo che siano così arroganti da rendere improbabile che ciò accada. Se non si ritirano, devono essere allontanati. Senza una nuova leadership, non ci saranno cambiamenti».