Il Corano brucia ancora: «Deve essere messo al bando»
È successo di nuovo. Pagine del Corano sono state date alle fiamme durante una manifestazione, davanti al parlamento svedese a Stoccolma. Salwan Najem e Salwan Momika, i due protagonisti responsabili, si sono già resi in passato protagonisti di simili azioni a Stoccolma, davanti alla moschea principale della città e successivamente davanti all'ambasciata irachena.
I due – scrive il quotidiano Expressen – sono arrivati alle 13.15 e una decina di contro-manifestanti si sono fatti sentire cantando, suonando e alzando il Corano in cielo. Salwan Momika, munito di megafono, ha urlato: «Il Corano deve essere messo al bando. Lo brucerò ancora e ancora, finché non sarà bandito». Poi, ha preso a calci il libro sacro dell'Islam che, infine, è stato dato alle fiamme. Nonostante i contro-manifestanti si siano fatti sentire, si legge ancora sul giornale locale, il tutto si è svolto pacificamente e Salwan Najem e Salwan Momika hanno «lasciato la scena» attorno alle 14.00.
La Svezia, in questo momento, risente di relazioni diplomatiche tese con diverse nazioni del Medio Oriente a causa delle proteste che ospitano profanazioni del Corano. Il Governo non può impedire lo svolgimento delle dimostrazioni a causa della tutela costituzionale alla libertà di espressione. La Costituzione garantisce questo diritto, anche qualora l’opinione espressa metta in discussione messaggi religiosi oppure possa rivelarsi offensiva per i credenti. L’unica possibilità per vietare una manifestazione è legata alla presenza di minacce per l’ordine pubblico.
La situazione
Intanto, i servizi di sicurezza hanno riferito di «minacce di attacchi contro la Svezia e i suoi interessi» e hanno alzato il livello di allerta terroristica a tre su una scala da uno a cinque. Il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, si è detto «molto preoccupato» dalle possibili conseguenze di eventuali nuovi roghi del Corano. Il ministro degli Esteri svedese, Tobias Billstrom, ha dichiarato che «in alcuni Paesi c’è la percezione che le istituzioni abbiano organizzato oppure approvino questi gesti ma non è cosi» e ha aggiunto che «i roghi sono commessi da individui grazie alle leggi che tutelano la libertà di espressione». L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica estera e la sicurezza Josep Borrel ha condannato i roghi in Svezia e Danimarca definendoli «offensivi, irrispettosi e una chiara provocazione» e aggiungendo che la tolleranza nei confronti di tutte le comunità religiose è un punto importante per Bruxelles e che «non tutto quello che è legale è anche etico».
Nuovi modi per vietare tali manifestazioni?
Il ministro della Giustizia svedese, Gunnar Strommer, ha riferito al quotidiano locale Aftonbladet che il governo starebbe valutando la possibilità di modificare le leggi vigenti per dare alla polizia il potere di impedire i roghi del testo sacro in pubblico. «Bisogna analizzare la situazione legale e giungere a una conclusione, dobbiamo chiederci se lo status quo è positivo e se ci sono ragioni per modificarlo». L’Organizzazione per la Cooperazione Islamica con sede a Jeddah ha proposto il varo di misure collettive contro la Svezia come forma di pressione per evitare nuovi roghi. Le autorità di Stoccolma hanno risposto alla minaccia di sanzioni definendo il rogo «islamofobico» e il ministero degli Esteri ha chiarito come «le espressioni di xenofobia, razzismo e intolleranza non abbiano posto in Svezia e nel resto d’Europa».
Anche il ministro degli esteri danese, Lars Lokke Rasmussen, starebbe valutando la possibilità di vietare per legge le manifestazioni che comportano la distruzione del Corano o di altri testi religiosi, giustificando il provvedimento per «motivi di sicurezza e diplomatici». L’idea sarebbe di intervenire quando «la religione e la cultura di altri Paesi vengono insultate con conseguenze negative significative per la Danimarca». Perché tali gesti farebbero il gioco degli estremisti, oltre a seminare divisioni. Ma cambiare la legislazione non è affatto facile: qualunque cambiamento deve rispettare la libertà di espressione costituzionalmente protetta.