Vallemaggia

Il grido d'aiuto di contadini e allevatori

Le autorità cantonali hanno visitato le aziende agricole danneggiate - La famiglia Mattei: «Vogliamo sapere se potremo ripristinare qualcosa della nostra attività» - Daniele Fumagalli: «Vogliamo velocizzare la procedura ordinaria di concessione di sussidi»
© CdT/Gabriele Putzu

Mentre saliamo verso il Piano di Peccia, all’altezza di Prato-Sornico, vediamo al lavoro i militi della Protezione civile. «Speriamo che qualcuno lo mandino anche da noi», sospira Francesca Mattei. Lassù, finora non si è visto praticamente nessuno. Quando arriviamo davanti alla casa della famiglia Mattei, quello che una volta era il giardino è ormai un enorme cumulo di massi e detriti. Il pollaio è stato trascinato poco più sotto e tra le macerie si vede ancora l’altalena della piccola Noemi. «È tutto rotto, è tutto rovinato», ripeteva la piccola, di 3 anni appena, il giorno dopo l’alluvione. La casa ha retto, ma è inagibile. «Nella nostra camera il fango arriva al letto», racconta Ivan. In quella casa, acquistata dai suoi genitori con grandi sacrifici, vivevano tre dei quattro fratelli con le rispettive famiglie. E ora non sanno quando potranno farvi ritorno. «Ma siamo vivi, e siamo tutti insieme». Quel tragico sabato notte, quasi tutti erano al torneo di calcio. La chiamata della capofamiglia, Francesca, ha fatto capire loro che qualcosa non andava. «Ma solo una volta arrivati vicino a casa abbiamo capito. Dalla porta, usciva un fiume di fango». Per due giorni sono rimasti senza elettricità né acqua. Comunicare con il resto del mondo era impossibile, specialmente nei primi momenti. «Nostro padre era lontano, nel canton Giura. Non sentendoci più, ha pensato al peggio. La mattina dopo, è arrivato fin qui facendo l’autostop. Quando l’abbiamo visto davanti a noi, con la sua polo verde e il sacchetto in mano, ci è parso come un raggio di luce in mezzo a tanto buio».

Il peggio, per la famiglia, doveva però ancora arrivare. In località Sant’Antonio Al Cort si trovava l’azienda agricola. L’hanno rilevata a inizio anno due dei fratelli, Giorgia e Ivan. «Quando siamo arrivati lì, il fiume si era preso tutto», raccontano. Macchinari costati migliaia di franchi sono stati sommersi dal fango. «Quel trattore - indica Ivan - l’avevamo appena finito di pagare». Per fortuna, gli animali - una cinquantina di mucche scozzesi di proprietà della famiglia, più un altro centinaio che viene affidato loro da altri allevatori per il pascolo - si sono salvati. Una parte è stata trasportata all’alpe, al sicuro. Un altro gruppetto lo si sente muggire al di là del fiume. «Per fortuna hanno foraggio per alcuni giorni, poi dovremo cercare di costruire con la Protezione civile un passaggio provvisorio per portarle all’alpe». Mentre ci mostrano cos’è rimasto della loro azienda agricola, Ivan e la moglie ci raccontano com’era fino a una settimana fa. «Avevamo un distributore di prodotti locali, e qui accanto passava la strada che porta all’alpe». Oggi è tutto distrutto. «E chissà quando e se tornerà mai come prima. Speriamo che le autorità intervengano, che possano arrivare in aiuto anche i mezzi e gli uomini dell’esercito». Soprattutto, questa famiglia chiede un po’ di chiarezza alle autorità. «Vorremmo sapere se sia possibile ripristinare qualcosa della nostra attività, se si possa andare avanti in qualche modo», dice Giorgia. «Io - racconta - sono ingegnere agronomo. Ho studiato in Svizzera interna e parlo le lingue. Potrei andarmene, ma qui ci sono le mie radici, per questo sono tornata con il mio compagno. Io credo nelle potenzialità della valle, ma serve che ci credano anche le autorità, la politica».

Anche Raffaele Speziale sta prendendo le redini dell’azienda del suocero, in valle Bavona. «La nostra azienda agricola è stata cancellata, i macchinari sommersi. Non c’è rimasto nulla, tranne gli animali, che in quel momento erano all’alpe». Nei prossimi mesi, con l’arrivo dell’autunno, si dovrà capire come riuscire a riportarli in valle. «Mi auguro che entro quel momento si sarà riusciti ad aprire una via, altrimenti dovremo usare gli elicotteri». Anche per la ricostruzione dell’azienda si dovrà capire come fare. «È impensabile rifarla in quello stesso luogo, occorre trovare un posto più sicuro». Tra le necessità impellenti, dice Speziale, c’è quella di avere mezzi pesanti che possano sgomberare ampie fette di territorio. «In Lavizzara servono braccia per svuotare le cantine e le case allagate, da noi in Bavona i mezzi pesanti. Per questo speriamo che possa essere posato il prima possibile il ponte dell’esercito».

Al ristorante Medici di Peccia, oggi, nel primo pomeriggio si sono radunati una quarantina tra allevatori e agricoltori. L’appuntamento era con il capo della Sezione dell’agricoltura Daniele Fumagalli, arrivato in valle insieme al presidente dell’Unione dei contadini ticinesi Omar Pedrini per vedere con i propri occhi quanto accaduto. «Continueremo con i sopralluoghi nelle aziende per capire i danni e le diverse esigenze». La Sezione dell’agricoltura, prosegue, «fungerà da porta d’entrata delle richieste da parte delle aziende agricole, che verranno poi trasmesse alla Protezione civile per la messa a disposizione di personale e di strumenti di lavoro». Per quanto riguarda le richieste di indennizzo, Fumagalli spiega: «È prevista una procedura ordinaria di concessione di sussidi. Intendiamo velocizzarla, tramite la concessione di contributi per il pagamento dei primi interventi di ripristino e la messa in sicurezza di impianti, edifici agricoli e terreno coltivabile, in modo che il rimborso finanziario arrivi velocemente».

Da parte sua, Omar Pedrini spera invece che gli interessi delle famiglie contadine vengano tutelati: «Lavoreremo per far sì che la superficie agricola venga ripristinata e, se non è possibile, chiederemo che venga compensata altrove. È importante che gli agricoltori possano continuare a lavorare, perché perdere le aziende al piano significherebbe anche perdere gli animali sugli alpeggi». Il lavoro, aggiunge, è moltissimo. «Ho visto tante piccole macchine da cantiere in azione, ma per sbloccare la situazione è essenziale terminare il guado a Visletto per portare su macchinari di un certo peso. Altrimenti è come pretendere di svuotare il mare usando un cucchiaino». 

Chi, per ovvi motivi, non ha invece potuto raggiungere la riunione è Brunella Ribeiro Ghizzardi, che assieme al marito Manuel e altre cinque persone si trova ancora all’Alpe Bolla e Froda (uno dei più importanti della zona), nell’alta valle di Peccia. Il loro alpeggio – con un’ottantina di mucche e circa 130 capre - è infatti ancora isolato dal resto del mondo. «Malgrado lo choc iniziale», racconta Brunella, da noi raggiunta al telefono, stanno tutti bene. Per il momento, però, non possono né salire, né scendere. «Ad andare in giù la strada è inagibile e si passa malamente a piedi, mentre salire è praticamente impossibile per via delle frane, o del fatto che la strada è andata via completamente», spiega ancora. Tuttavia, il lavoro all’alpe non si è fermato. Anzi. «Domenica mattina abbiamo subito capito la gravità dei danni. Siamo andati a piedi a vedere gli animali, e mancavano cinque vacche (una delle quali, abbiamo scoperto più tardi, è arrivata fino al Lago Maggiore, oltre 40 chilometri di fiume più in basso!). C’erano frane dappertutto. Un vero e proprio casino. E, tornati in cascina, eravamo tutti un po’ scioccati. Ma poi, verso mezzogiorno, ci siamo detti: ‘‘Dobbiamo fare qualcosa’’». All’inizio, prosegue la nostra interlocutrice, «non ci era possibile portare la botte per il latte fino alle mucche. Ma – dopo aver dovuto buttar via migliaia di litri di latte – abbiamo pian piano liberato la strada e da martedì la situazione è più stabile». Ciò, «grazie all’aiuto della fantastica squadra di sette persone presenti qui all’alpe, ma anche di tutti gli enti che sono intervenuti, dalla Protezione civile al Patriziato, passando per i militari e il Municipio». Insomma, «tutto quanto abbiamo richiesto ci è stato dato. Ci hanno portato anche la spesa. E il mangime per le mucche è arrivato con il Super Puma. E ora per circa 15 giorni abbiamo tutto il necessario per restare qui». Gli aiuti, tiene più volte a precisare Brunella, «sono stati efficientissimi». Ora, ad ogni modo, quel che serve è liberare la strada. Anche perché, prima o poi, passata l’estate, gli animali dovranno tornare a valle. «Oggi è arrivato un gruista per liberare la strada, mercoledì dovrebbe arrivarne un altro. Speriamo di poter salire all’alpe più in alto e restare lì circa un mese. E poi, a fine stagione, bisognerà anche scendere». Dopodiché occorrerà, per quanto possibile, ricostruire un territorio totalmente cambiato. «Per noi che siamo qui dal 1993 è desolante vedere quanto successo. Abbiamo perso moltissimo pascolo», racconta ancora Brunella. «Un fiume che prima era largo tre metri ora è un ghiaione largo 50». Senza dimenticare, infine, la messa in sicurezza di tutto il territorio. «Verso mezzanotte, ieri, ha piovuto ancora un bel po’, e si sentivano ancora i sassi scendere a valle».

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