Il mondo e la Svizzera «sfilano» per il clima, ma oggi il Ticino è spento
È un venerdì di passione per l'ambiente, ma anche per il futuro dell'umanità. Un ritorno «in grande stile» per il movimento nazionale Sciopero per il Clima, nato nel 2019 e che prende le mosse dall'attivista svedese Greta Thunberg e dal suo «Fridays for Future» (letteralmente, «venerdì per il futuro»). I giovani scendono in piazza e nelle strade per protestare contro le cosiddette «centrali di riserva» in fase di costruzione o di progettazione. La nuova «fiammata verde», in realtà, si svolge in tutto il mondo. Le città svizzere che prendono parte all'iniziativa sono otto: Aarau, Berna, Losanna, Lucerna, Neuchâtel, Sion, San Gallo e Zurigo. Anche se non sono da escludere molte altre dimostrazioni meno ufficiali e più improvvisate. Gli ambientalisti attaccano i terminali GNL (gas naturale liquefatto) e le centrali elettriche a gas che «non sono la risposta alla crisi climatica, ma la alimentano sempre di più». In Ticino, invece, poco ancora si muove. «Siamo in una fase di transizione, ci stiamo riorganizzando», ammette Larissa Bison. Ventidue anni, capelli lunghi e occhiali sottili, in collegamento dall'Università di Zurigo. Lei, ticinese, è nel movimento già dall'inizio, da quando era al liceo. Sono lontani, in effetti, i tempi in cui centinaia di ragazze e ragazzi sfilavano per le vie principali di Bellinzona scandendo lo slogan «Giù le mani dal nostro futuro» e «Ci avete rotto i polmoni». Era l'ottobre del 2021.
La protesta a Basilea
«È molto importante che questa crisi climatica sia affrontata nel modo giusto per tutti. Il secondo punto su cui vogliamo portare l'attenzione, oggi, è la crisi energetica: dobbiamo essere più lungimiranti, puntare sulle energie rinnovabili. In Svizzera abbiamo pianificato varie azioni un po' in tutte le città principali», spiega la giovane, che studia Letteratura e linguistica inglese, oltre a Biomedicina. «Una delle cose che al momento non sta proprio andando, qui in Svizzera, è che si sta parlando di costruire o riaprire, o comunque tenere attive molte centrali a gas o a olio che sono dannose per l'ambiente. In particolare a Basilea, appunto, ci sarà a partire dalle 18.00 una manifestazione contro un nuovo terminale di gas a Muttenz». Questo tipo di tecnologia prevede di raffreddare il gas per poi immagazzinarlo e trasportarlo sotto forma di liquido.
«È folle», si legge nel comunicato diffuso dall'organizzazione, che precisa: «Già nel novembre del 2022, uno studio pubblicato dal governo federale concludeva che l'approvvigionamento elettrico non sarebbe stato minacciato quest'inverno».
Quella di Basilea è solo una delle cosiddette «centrali di riserva». «Riserva», già. Una parola dalla connotazione positiva, un termine rassicurante che nell'uso comune può tranquillizzare gli allarmi che arrivano dai vari fronti. Ma no. Per gli attivisti è solo un altro modo per buttare gas serra nell'ambiente. «Le emissioni di CO2 di questi impianti sono esorbitanti», si legge ancora nella nota. «Oltre seimila tonnellate al giorno». Sciopero per il Clima non si ferma, e la mette ancora più pesante: «Critichiamo la procedura antidemocratica del Consiglio federale adottata per lo sviluppo di queste infrastrutture basate su combustibili fossili».
Una fase di transizione in Ticino
L'onda verde, però, sembra non travolgere la Svizzera italiana: «Siamo in un periodo di ripartenza», illustra Bison. «A maggio avevamo organizzato una grande manifestazione che aveva richiesto molte energie. Gran parte del gruppo ticinese, poi, ha fatto la transizione dal liceo all'università. Nuove persone sono entrate. Mentre quelle che prima erano molto attive, ora lo sono meno. Non abbiamo fatto in tempo a organizzarci, per oggi, nonostante l'importanza del tema. Ci stiamo concentrando, al momento, su una serie di azioni tra marzo e aprile. La nostra idea è quella di spingere le persone ad andare a votare. Siamo un movimento apartitico, ma la crisi climatica non ha colore politico. È un problema che riguarda tutti».
La giovane immagina una ripartenza per il mese di giugno, «ma anche per settembre, perché l'Alleanza climatica sta pianificando una grande manifestazione a Berna» e fa il punto della situazione sul "nocciolo duro" di chi, in Ticino, si muove "dietro le quinte" affinché eventi del genere siano possibili anche a sud delle Alpi. «Al momento siamo una dozzina. Dipende un po' dai compiti, arriviamo anche a una quindicina. Abbiamo alcune persone meno attive ma che hanno comunque compiti molto importanti, per esempio occuparsi degli aspetti finanziari, ambiti meno "visibili" che però sono comunque vitali per il nostro funzionamento».
«Si tratta di un'emergenza»
Secondo la studentessa, il problema del riscaldamento climatico non è stato soppiantato dalle nuove «crisi emergenti» della pandemia o della guerra. «Si tratta di un'emergenza, quella climatica, molto interconnessa con tutte le altre emergenze. Emergenze che solo superficialmente stanno prendendo il sopravvento. Pensiamo, ad esempio, alla guerra in Ucraina: si traduce subito in crisi energetica, si parla di energia. Anzi, si parla addirittura di consumare meno energia! O pensiamo alla pandemia: le malattie trasmissibili tra uomo e animali potrebbero diventare sempre più frequenti, in futuro, a causa dell'abbattimento di più foreste, ad esempio, che porta un pericoloso avvicinamento di habitat che dovrebbero starsene alla larga dall'uomo».
Una galassia di sigle
Sciopero per il Clima fa parte di una galassia di movimenti «energeticamente ribelli». I nomi si confondono, come i modi di agire. «È vero», spiega Bison. «Abbiamo molti gruppi giovanili per il clima, come due WWF Youth o Pro Natura Giovani. Noi deriviamo da Fridays for Future. Anche se il nostro nome è diverso e ci chiamiamo Sciopero per il Clima. Capita, però, che persone aderenti a Sciopero per il Clima siano anche in altri movimenti. In fin dei conti, sono solo tanti gruppi che hanno obiettivi comuni, che sono tutti ricollegabili alla crisi climatica e che lottano fianco a fianco. Tra i nomi che spiccano di più, c'è Extinction Rebellion, ma anche gruppi più giovani come Just stop Oil, balzati agli onori delle cronache per aver imbrattato un quadro di Van Gogh con della zuppa di pomodoro. Ma anche Ende Gelände, che in Germania cerca di fermare le miniere di carbone e le relative infrastrutture a loro collegate».
Tanti nomi, tante sigle, tanti cartelli e tanti slogan. Come quello di Debt for Climate, un altro esempio citato da Larissa Bison: «Che hanno l'idea di annullare il debito di tutti quei Paesi che in passato hanno subito sfruttamenti e che, oggi, sono quelli che soffrono di più della crisi climatica». Una «maratona» di attivismo, insomma. «Sì, tutti questi movimenti possono creare confusione, ma allo stesso tempo dimostrano quanto sia variegato questo panorama. Trovo molto bello il fatto che ci sia una così grande varietà di movimenti e gruppi, di associazioni che si battono contro la crisi climatica. Se qualcuna o qualcuno non dovesse sentirsi a suo agio in Extinction Rebellion, perché la disobbedienza civile pacifica e non violenta non fa per lei o lui, ebbene, potrà entrare in un altro gruppo e attivarsi per la crisi climatica in un altro modo».
Gesti forti
Già, ma come ci si pone di fronte a iniziative come quella degli attivisti di Just stop Oil? Si può accettare che in questa galassia di buone intenzioni ci sia qualcuno che entra in un museo per sporcare delle opere d'arte dal valore inestimabile? Il tono di Larissa si fa un po' più riflessivo: «Ogni tanto capisco, ma non comprendo il motivo, o viceversa. Ho cercato di spiegare a me stessa questa azione. Ammetto che un gesto così plateale attira per forza l'attenzione. E questo significa parlare di crisi climatica a lungo. Queste cose sono successe mesi fa e me lo chiedono ancora oggi nelle interviste. Quindi fa parlare, ma ci fa anche riflettere su come noi valutiamo il valore un quadro contrapposto alla nostra sopravvivenza su questo pianeta. Un quadro, in quest'ottica, sembrerebbe avere più valore rispetto al semplice mantenimento della nostra vita, della nostra specie».
La ragazza sottolinea, però, come questa non sia la modalità di azione del movimento di cui fa parte, Sciopero per il Clima appunto. «Non è perché è un movimento per il clima che quindi tutti i movimenti per il clima devono essere d'accordo o fare le stesse cose», precisa.
Il problema del nucleare
C'è anche un altro punto interrogativo all'orizzonte, quello dell'energia nucleare. Una «scorciatoia» che potrebbe fermare il consumo di carburanti direttamente più tossici per la salute umana e del clima, soprattutto in vista delle ultime tecnologie e dei nuovi sviluppi sul fronte dell'efficienza e della pericolosità delle scorie che derivano dal processo di produzione. «Si tratta di un tema molto dibattuto all'interno del nostro movimento. A livello ticinese non ne abbiamo mai veramente parlato – conclude Larissa Bison –. Personalmente penso che sarebbe molto meglio andare verso energie rinnovabili che non producano scorie. Però non abbiamo una posizione precisa sul tema».