L'intervista

Il Nobel Dmitry Muratov: «Fermiamo subito la guerra in Ucraina, nessuna delle parti può vincere»

Il direttore di Novaya Gazeta ospite del festival Endorfine a Lugano - «La propaganda non è soltanto menzogna, prepara invece a ciò che potrebbe avvenire»
© Ti-Press / Alessandro Crinari
Viviana Viri
15.09.2024 19:30

Dmitry Muratov, giornalista e scrittore, Premio Nobel per la pace nel 2021, è uno dei grandi oppositori di Vladimir Putin. È lo storico direttore di Novaya Gazeta, giornale che ha dovuto cessare le pubblicazioni per le restrizioni alla libertà di stampa imposte dopo l’invasione dell’Ucraina. Ospite a Lugano del festival Endorfine, lo abbiamo incontrato.

«Non credo che questa guerra possa essere vinta da una delle parti sul campo di battaglia - esordice Muratov - la vera questione è un’altra: cosa fare per evitare che l’Ucraina venga privata dei suoi territori senza andare incontro a una guerra nucleare. Si tratta di una vera e propria sfida: non solo per politici e diplomatici, ma per ciascuno di noi. Credo che la cosa più importante che si possa fare in questo momento sia esigere il cessate il fuoco, senza alcuna condizione. E poi, in un secondo momento, prendersi il tempo necessario per giungere a un accordo. Tra Corea del Nord e Corea del Sud ha funzionato, sono ormai 70 anni che lì non c’è alcun conflitto».

In questi oltre due anni di guerra Putin ha agitato spesso lo spettro del nucleare quasi sempre in risposta al maggior coinvolgimento dell'Occidente nel sostegno militare all'Ucraina. Qual è la sua opinione su questa strategia?
«Credo che la propaganda vada sempre di più in questa direzione cercando di influenzare le persone. Ogni giorno ai russi viene spiegato che per prevenire una guerra su larga scala è necessario utilizzare la bomba atomica. La propaganda non è solo una menzogna, ma prepara i popoli e le persone a ciò che avverrà poi, trasformando l’impossibile in possibile. Credo che oggi in Russia il destino della libertà di parola e dell’informazione non dipenda dai giornalisti, ma dai tecnici e dagli ingegneri. Servono strumenti che permettano alle persone di ottenere informazioni veritiere e di poterle verificare, bisogna fare in modo che YouTube non venga chiuso e che si possa utilizzare Wikipedia. È in corso una lotta globale tra la libertà della democrazia e l’unione dei demagoghi delle dittature. Le società tecnologiche dovrebbero prendere posizione e permettere alle persone con una visione democratica di poter ricevere la giusta informazione. La propaganda non può avere questo monopolio e questo non riguarda solo la Russia, ma anche molti altri Paesi. Credo che la democrazia digitale oggi possa svolgere un ruolo fondamentale nel costringere i politici a raggiungere il cessate il fuoco».

Quando ha ricevuto il Nobel lei era il direttore di Novaya Gazeta, mentre oggi per il suo Paese è considerato un agente straniero, sostanzialmente un nemico dello Stato. Perché ha deciso di rimanere in Russia?
«Novaya Gazeta è un giornale molto conosciuto, abbiamo centinaia di migliaia di lettori e una parte di loro ha lasciato la Russia perché si è rifiutata di uccidere o per non essere uccisa, come parte dei miei colleghi che si sono rifugiati in Europa per poter lavorare senza censura fondando a Riga e a Berlino Novaya Gazeta Europa. Ovviamente, si tratta di un processo molto doloroso di separazione del giornale; parte della redazione non può tornare nel Paese, mentre noi siamo sostanzialmente bloccati in Russia. Subiamo molte restrizioni, ma abbiamo scelto di stare vicino ai nostri lettori».

Cosa fare per evitare che l’Ucraina venga privata dei suoi territori senza andare incontro a una guerra nucleare? Questa è la vera questione

Come valuta le sanzioni dell’UE nei confronti della Russia?
«Questo è un tema molto serio, fino a poco tempo fa i Paesi europei acquistavano dalla Russia gas e petrolio per circa 500 milioni di euro al giorno. Dopo l’introduzione delle sanzioni, l’India ha iniziato a venderne all’Europa dieci volte tanto. Ma da dove veniva questo petrolio? Per la Realpolitik non esistono valori, il petrolio è al di sopra dell’uomo. E questo è quello a cui si attengono molti governi europei. Solo ultimamente questi rapporti hanno iniziato a cambiare, ma ci sono voluti due anni e mezzo di operazione militare speciale e quasi un milione di morti per far sì che i politici europei se ne accorgessero. Prima di tutto ciò criticavano Putin, ma continuavano a fare affari con lui, alcuni facevano persino parte dei consigli d’amministrazione di Rosneft, Gazprom o delle Ferrovie di Stato russe, come l’ex primo ministro francese François Fillon o l’ex cancelliere tedesco Schröder».

Sono moltissimi i giornalisti che in Russia sono stati incarcerati e uccisi, da Vladimir Kara-Murza ad Alexei Navalny, altri invece hanno scelto di vivere all’estero. Lei si sente in pericolo? Il Premio Nobel ha in qualche modo cambiato la sua situazione?
«Non conoscevo così bene Alexei Navalny, molte cose su di lui le ho apprese dopo la sua morte. Se ne avessi avuto la possibilità, avrei fatto di tutto per evitare che tornasse in Russia, ma la sua decisione l’aveva già presa. Era un politico, sapeva che doveva stare tra la sua gente. Era una persona molto coraggiosa e altruista, ma se fosse dipeso da me gli avrei detto che c’era ancora molto lavoro da fare e che avrebbe dovuto rimanere vivo. So che mi criticheranno per questo. Per lo stesso motivo discussi molto con Anna Politkovskaja. Non volevo lasciarla andare al fronte, temevo che l’avrebbero uccisa. In quell’occasione le dissi pure che la sua vita era molto più importante di un reportage dal fronte di guerra, per mesi non ci parlammo».

Dopo che la Svizzera ha deciso di adottare le sanzioni dell’UE contro la Russia si è parlato molto di neutralità. Che cosa pensa di questo dibattito?
«Verso la fine del XIX secolo il fondatore della Croce Rossa, Henry Dunant, si trovava sul campo di battaglia e vide come morivano i soldati e come moriva la popolazione civile. Su questa esperienza scrisse un libro che regalò ai politici europei, che a quei tempi erano sicuramente più acuti di ora, poiché firmarono le Convenzioni di Ginevra. Quello è stato un grandissimo contributo da parte della Svizzera alla nostra contemporaneità. Ma perché oggi quei trattati, firmati da quasi centocinquanta paesi, non funzionano più? Pensiamo a quanto succede a Gaza o in Ucraina. Se qualcuno mi chiedesse quale tipo di conferenza bisognerebbe organizzare in Svizzera oggi, risponderei che sarebbe necessario firmare nuovamente gli accordi di Ginevra. Questa secondo me è la cosa più importante che la Confederazione potrebbe fare in questo momento, ma non mi sento di consigliare niente altrimenti potrebbero dirmi che si tratta di una consapevolezza imperialistica (ride)».

Se qualcuno mi chiedesse quale tipo di conferenza bisognerebbe organizzare in Svizzera oggi, risponderei che sarebbe necessario firmare nuovamente gli accordi di Ginevra

Le istantanee che ci arrivano dalla Russia non sono semplici da contestualizzare. Come è costruito il potere politico ed economico nel Paese?
«Il paradosso della Russia consiste proprio nella sua propaganda, che addita i sostenitori del mercato globale come capitalisti e quindi nemici, ma la sua economia si basa sullo stesso mercato, sui suoi valori e sul commercio internazionale. È questo che consente all’economia di continuare a vivere nonostante le sanzioni. Inoltre, pensare a Putin come un dittatore che comanda da solo tutto il Paese è un errore. Gran parte della Russia lo sostiene, non credo che esistano dittatori che non si appoggino sulla popolazione. Anche se le nuove generazioni e la classe media russa è contraria all’operazione militare speciale, lui ha il completo sostegno della popolazione più anziana, ovvero quella che faceva parte dell’URSS. Si tratta di una situazione molto complessa. Uno dei nostri lettori mi ha chiesto perché i giornalisti non sono riusciti a fermare questa situazione, di rimando gli ho chiesto per chi avesse votato. La sua risposta è stata che non era importante e che questo non faceva la differenza. La mia opinione è che l’infantilismo della società che aspira a determinati agi e ad essere tutelato abbia accettato un accordo sorprendente con Putin. La società russa ha praticamente scambiato la sua libertà con una finta sicurezza. Voi rinunciate alle libertà e ai diritti, noi vi garantiamo sicurezza, un’ipoteca e una vita più o meno confortevole. Inoltre, molte persone decidono di andare in guerra per pagare i debiti e sostenere le proprie famiglie, la morte di un soldato viene risarcita con circa centoquarantamila dollari, somma che potrebbe guadagnare soltanto in trent’anni di lavoro. Questo è un argomento che richiede una profonda indagine, non posso concepire come si possa essere disposti ad andare al fronte con questa motivazione e allo stesso tempo uccidere altre persone. Nessuno capisce l’idea di questa guerra, credono che sia necessario vincerla, ma non sanno nemmeno perché sia iniziata».

Come diceva le nuove generazioni sono contrarie a questa situazione e cercano di costruire il futuro, mentre le autorità russe cercano invece di cambiare il passato. Come vede questa situazione?
«Le nuove generazioni che ora hanno dai diciassette ai quarant’anni sono straordinarie, dedite alla difesa dei diritti umani, contrarie alla violenza da parte dello Stato, attente alle delimitazioni personali. Per loro non è importante la propaganda, ma la formazione e l’istruzione. Gli viene insegnato l’odio, mentre loro sono fautori dell’empatia e chiaramente sono in cerca di un futuro. Sono quasi ottocentomila i giovani che hanno lasciato il Paese, studiosi, scienziati, artisti che condividono un destino tragico: in patria gli viene proposta la guerra, altrove invece non hanno nessun diritto. Per questo motivo ho parlato più volte della necessità di avere un passaporto Nansen».

Perché secondo lei in Europa abbiamo assistito a numerose manifestazioni contro la guerra a Gaza, mentre quelle per l’Ucraina sono state così poche?
«Non ho una risposta, mi rendo conto che questa situazione ha a che fare con le posizioni di sinistra dei giovani, ma non riesco a spiegarmi perché non ci sia un movimento pacifista che manifesti anche contro le azioni militari in Ucraina. Sono molto stupito e amareggiato per questo, pare che il destino dell’Ucraina sia stato consegnato solo nelle mani della politica e dei politici».

Memorial, la storica ong per i diritti umani (Premio Nobel per la pace nel 2022) fondata da Andrei Sakharov, era un simbolo della democratizzazione postsovietica, rappresentava la memoria del passato rivolta al futuro, per questo è diventata scomoda nella Russia di oggi?
«Se da una parte Sakharov è stato l’inventore della bomba a idrogeno sovietica, dall’altra ha affermato quella che è la triade fondamentale dell’umanità: pace, progresso e diritti umani. Stalin li ha violati tutti, eppure negli ultimi due anni, dopo la chiusura di Memorial, sono stati inaugurati un centinaio di monumenti in suo onore. Credo di poter dire che il processo di riabilitazione delle vittime dell’epoca staliniana sia finito, mentre il suo sia appena iniziato. Memorial si occupava di vigilare proprio su questo, ma per lo Stato i diritti umani non esistono, sono qualcosa di escogitato dalla borghesia. Così gli uffici dell’ONG sono stati chiusi, gli archivi perquisiti, il suo responsabile incarcerato. Se non ci fosse stato uno scambio di prigionieri Olev Orlog non sarebbe mai stato liberato. Il numero di detenuti politici in Russia oggi è inferiore rispetto all’epoca staliniana, ma si tratta comunque di alcune centinaia di persone. La società civile deve pretendere sempre di più dai propri Stati che avvengano scambi di prigionieri politici».