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Il quarto di secolo dell’euro e la stabilità di lungo periodo

Nonostante alcune difficoltà l’unione monetaria in 25 anni non ha registrato uscite e ha anzi ampliato il numero dei membri - L’andamento del rapporto mostra che la valuta unica tende a ritrovare il suo valore iniziale sul dollaro, al di là delle oscillazioni di fase
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Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
08.01.2024 06:00

L’euro ha appena compiuto 25 anni. La moneta unica europea ha infatti preso il via il primo gennaio del 1999. Per i primi tre anni l’euro è stato un’unità di conto, è stato cioè utilizzato solo per scopi contabili e pagamenti elettronici. Poi dal 2002 è diventato anche moneta circolante. All’inizio l’Eurozona era composta da undici Paesi: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna. Tra il 2001 e il 2015 se ne sono aggiunti otto: Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania. Il primo gennaio 2023 la Croazia è entrata nella moneta unica e i membri sono così saliti a venti.

Il bilancio

I 25 anni sono anche un’occasione per un bilancio. Nonostante abbia dovuto affrontare più di una crisi – la più acuta è stata quella dei debiti pubblici tra il 2011 e il 2012 – l’area dell’euro non ha perso membri e si è anzi ampliata nel tempo. Le molte previsioni su una scomparsa dell’euro sono state sin qui smentite dai fatti e lo stesso è accaduto per le previsioni su un ridimensionamento dell’area, comprese quelle che indicavano un’uscita della Germania.

Evidentemente questa unione monetaria, in sé complicata anche perché attuata da Paesi che non hanno dosi corrispondenti di unione politica, presenta anche molti vantaggi. E la cessione di sovranità monetaria da parte dei Paesi aderenti, con il governo dell’euro affidato alla Banca centrale europea (BCE), è stata di fatto sin qui compensata da fattori considerati positivi. Dei 27 Paesi dell’Unione europea, come visto 20 sin qui hanno fatto questa scelta.

Ma quali sono i vantaggi dell’euro? In sintesi, i Paesi che avevano monete forti, a cominciare dalla Germania con il marco, hanno ottenuto l’eliminazione dei nodi collegati alla forza delle loro valute e alle svalutazioni competitive di molti vicini; l’export dei Paesi a valuta forte ha così potuto superare molti ostacoli. In cambio, gli Stati «forti» hanno dovuto gestire le tensioni sui mercati create dai conti pubblici non in ordine di altri Paesi dell’area.

Gli Stati con monete tendenzialmente deboli, tra i quali l’Italia con la lira, hanno avuto la possibilità di far parte di un’ampia area di stabilità valutaria, di avere tassi di interesse più bassi, di usufruire di aiuti economici ingenti nelle fasi di accentuata difficoltà (come si è visto chiaramente pure con la pandemia e il Recovery Fund). In cambio, gli Stati «deboli» hanno dovuto affrontare la riorganizzazione delle loro economie e accettare meccanismi di contenimento di deficit e debiti pubblici. A quanto pare sia per i Paesi a valuta forte sia per quelli a valuta debole i vantaggi sono stati maggiori degli svantaggi.

Il percorso

A proposito di conti pubblici, occorre ricordare che i parametri per l’entrata nell’euro prevedono un rapporto deficit pubblico/PIL non superiore al 3% e un rapporto debito pubblico/PIL non superiore al 60%. Questi criteri hanno conosciuto peraltro parecchie deroghe. Già all’inizio a Paesi con ampi debiti come Belgio e Italia fu concessa comunque l’entrata, in cambio di impegni per la riduzione graduale dell’indebitamento. L’ingresso della Grecia, nel 2001, fu molto discusso e i conti pubblici ellenici anni dopo risultarono peggiori rispetto a quanto delineato da Atene. Con la crisi pandemica esplosa nel 2020, poi, i parametri sui conti pubblici sono stati sospesi; ma non si è trattato di una cancellazione, dunque i criteri relativi stanno tornando, dopo una lunga discussione terminata con alcune modifiche ai percorsi di rientro da deficit e debiti eccessivi.

L’euro è una moneta forte o una moneta debole? Si può dire: né l’una cosa né l’altra, è una moneta che tende alla stabilità. A questa valutazione si può arrivare anche osservando il cambio euro/dollaro USA nell’arco dei 25 anni. Questo cambio è il principale a livello mondiale, visto che per utilizzo negli scambi economici e nelle riserve il dollaro è primo e l’euro è secondo.

Il trend

Alla sua nascita, nel 1999, l’euro vale 1,18 dollari. Nell’ottobre del 2000 l’euro tocca il suo minimo, a 0,82 dollari. Poi una lunga risalita, sino a quando la moneta unica nel luglio 2008 raggiunge il suo massimo, a 1,59 dollari. Seguono molti anni di saliscendi, sino agli 1,09 dollari di venerdì scorso. L’euro tende nel lungo periodo a riavvicinarsi al valore iniziale sul dollaro, esprimendo un trend di stabilità, al di là delle oscillazioni di fase. Nonostante non ci sia una corrispondente unione politica, l’unione monetaria europea si è ampliata e anche ora non pare proprio avviata alla scomparsa. Per i membri dell’Eurozona i pur esistenti svantaggi continuano evidentemente ad essere superati dai vantaggi.

Franco svizzero, una forza di fondo e un’ascesa nel mercato dei cambi 

Nel mondo delle valute il franco svizzero occupa un posto particolare. La moneta elvetica negli ultimi decenni ha infatti mantenuto una sua forza marcata, tanto da continuare ad essere considerato da molti investitori come uno dei principali beni rifugio. Al di là di alcune oscillazioni di fase, il franco ha conservato una sua tendenza di fondo all’apprezzamento. Nel lungo periodo la moneta svizzera ha in effetti guadagnato terreno sull’euro, sul dollaro USA, su molte altre divise.

Spesso viene detto che l’euro è debole in rapporto al franco, ma questa affermazione non descrive bene la realtà. Non è tanto l’euro ad esser debole, quanto il franco ad essere forte. Può apparire la stessa cosa, ma in termini di analisi delle dinamiche valutarie non è così. Una prova del nove si può avere se si guarda al cambio euro/dollaro USA, con la moneta unica che nei suoi 25 anni ha mostrato un trend di lungo periodo verso la stabilità, non verso la debolezza. Il franco nello stesso quarto di secolo si è apprezzato appunto non solo sull’euro ma anche sul dollaro USA e su parecchie altre monete. La valuta elvetica ha quindi manifestato una sua forza specifica.

Dalle cifre viene una conferma di quanto sopra. Nel 1999 il cambio iniziale dell’euro era di circa 1,60 franchi. Il massimo toccato dall’euro è stato in seguito di 1,68 franchi, nell’ottobre del 2007. Di lì in poi il franco si è messo su un percorso di ascesa; al di là di alcune pause temporanee e al di là della fase della soglia di 1,20 fissata dalla Banca nazionale svizzera, la valuta elvetica è quasi sempre salita. Se si esclude la pesante caduta nel momento in cui la BNS ha abbandonato la soglia, nel gennaio del 2015, i minimi sul franco l’euro li ha toccati proprio in queste ultime settimane, con un cambio compreso tra 0,92 e 0,93 franchi.

Ma la moneta svizzera è salita come detto anche nei confronti del dollaro USA. Nel gennaio del 1999 ci volevano circa 1,40 franchi per un dollaro. Dopo una breve fase di marcato rialzo della valuta USA, sino al massimo di 1,82 franchi nell’ottobre del 2000, è ripreso il percorso di apprezzamento della moneta elvetica. Il biglietto verde ha registrato il suo minimo nell’agosto del 2011, attorno agli 0,70 franchi. Tra molte oscillazioni, la valuta americana si è in seguito solo in parte ripresa ed è rimasta sempre sotto l’1 a 1, sino agli 0,84-0,85 franchi di queste ultime settimane.

Dietro la forza del franco ci sono vari motivi, tra i quali l’affidabilità del sistema Paese, la resilienza dell’economia elvetica, la leadership della piazza finanziaria svizzera nella gestione di patrimoni. Negli ultimi due anni anche il mutamento di linea della Banca nazionale svizzera ha contribuito al rafforzamento del franco. Preoccupata per gli ostacoli che il super franco poteva porre all’export elvetico, rendendo di fatto più cari merci e servizi svizzeri, la BNS ha a lungo applicato tassi di interesse negativi e attuato acquisti di valute estere, allo scopo appunto di frenare il franco.

Il freno ha funzionato, ma solo in parte come si è visto. Il franco è salito un po’ meno, ma è salito. Molte imprese elvetiche esportatrici hanno saputo comunque adattarsi al quadro valutario, puntando ancora una volta su prodotti e servizi di qualità. In ogni caso, il balzo dell’inflazione nel 2022 a livello internazionale, e anche in Svizzera seppur in chiave minore, ha portato la BNS ad abbandonare i tassi negativi e a non più comprare valute estere, anzi a venderle quando possibile. Il franco forte è ridiventato uno strumento rilevante per evitare l’import di inflazione e dunque per limitare il rincaro in Svizzera.

Nel corso del 2023 l’inflazione è scesa rispetto ai picchi dell’anno precedente e dunque in Svizzera si è tornato a discutere attorno a due punti centrali: l’eventualità che i tassi di interesse di riferimento vengano ridotti dalla BNS nei prossimi mesi, la possibilità che il franco cessi così la sua forte ascesa su euro, dollaro e altre monete, ponendo alcuni ostacoli in meno all’export elvetico. Si tratta di due capitoli collegati, su cui non ci sono per ora risposte ma sui cui i riflettori resteranno accesi.

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