Il summit di Parigi

Intelligenza artificiale, è sfida aperta USA-Europa

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen annuncia un gigantesco piano di investimenti di 200 miliardi di euro - Washington e Londra non firmano la dichiarazione conclusiva - Il vicepresidente americano J.D. Vance: «Troppi i lacci normativi»
Ursula von der Leyen ha incontrato ieri a Parigi il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance. © Thomas Padilla
Dario Campione
11.02.2025 20:15

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non hanno firmato, oggi, la dichiarazione finale del vertice di Parigi sull’intelligenza artificiale (IA). Troppi i «lacci normativi» che, secondo il vicepresidente USA J.D. Vance - intervenuto nella capitale francese dal palco del summit convocato dal presidente francese Emmanuel Macron - limiterebbero l’espansione della tecnologia del futuro, fino a «uccidere un’industria trasformativa».

Una posizione netta e molto chiara, alla quale l’Unione europea - per bocca della presidente della Commissione Ursula von der Leyen - ha risposto in modo altrettanto deciso annunciando la volontà di mobilitare 200 miliardi di euro in un’iniziativa chiamata «InvestAI». Si tratterà «del più grande partenariato pubblico-privato al mondo per lo sviluppo di un’IA affidabile - ha detto von der Leyen - Vogliamo che l’Europa sia uno dei continenti leader nell’IA. Costruiremo giga-fabbriche dedicandovi un investimento di 20 miliardi di euro. Vogliamo replicare la storia di successo del laboratorio del CERN di Ginevra che ospita il più grande acceleratore di particelle al mondo e permette alle menti migliori e più brillanti del mondo di lavorare insieme».

Ancora una volta, le strade di Bruxelles e di Washington sembrano separarsi. E in questo frangente lo fanno su una questione che appare centrale per il futuro dell’umanità. Perché succede? E quali sono le possibili conseguenze?

IA e geopolitica

Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, è uno dei grandi esperti di scenari geopolitici globali. Per 12 anni è stato consigliere e consulente delle più importanti istituzioni italiane - dalla Presidenza del Consiglio alla Farnesina, all’Agenzia Spaziale - e da tempo si occupa di IA, argomento sul quale, tre mesi fa, ha pubblicato con l’editore Feltrinelli Geopolitica dell’intelligenza artificiale.

Quando si parla di IA, dice Aresu al Corriere del Ticino, «bisogna comprendere innanzitutto che la competizione è determinata da una geografia complessa di capitale, imprese e talenti. Ci sono i ricercatori e i tecnici che lavorano nei centri di ricerca e nelle aziende dell’IA; ci sono le aziende di software e le industrie. E ci sono, naturalmente, i capitali che guidano gli investimenti infrastrutturali e nelle imprese. Tutto ciò ha poi una dimensione, appunto, geopolitica: le grandi aziende digitali sono soprattutto negli USA e in Cina, ma sono altrettanto importanti i luoghi in cui sono costruiti i data center, essenziali ad esempio per il funzionamento dell’IA generativa. Sull’IA come filiera industriale interagiscono, quindi, i rapporti di forza, industriali e politici dell’intero pianeta».

Ecco perché non era forse difficile immaginare che gli Stati Uniti non firmassero assieme alla Cina la dichiarazione di Parigi. «Anche qui - dice ancora Aresu - ci sono alcune cose da considerare. Nelle ultime settimane, il tema dell’IA ha caratterizzato la competizione tra USA e Cina mostrando di essere ormai una dinamica strutturale del nostro tempo. L’esempio è dato da Stargate, il grosso progetto infrastrutturale di data center lanciato dal presidente Donald Trump il giorno successivo al suo insediamento e, subito dopo, dal lancio in grande stile del modello di intelligenza artificiale cinese DeepSeek. Basta questa stretta attualità a far capire quanto la questione dell’IA caratterizzi le dinamiche dei rapporti tra Stati Uniti e Cina».

Cambio di narrazione

Il vertice di Parigi, prosegue Aresu, «è stato molto utilizzato da Macron per tentare di modificare la narrazione dell’Unione europea nei confronti dell’intelligenza artificiale. Macron ha detto in modo esplicito che il messaggio dell’UE è innovare e competere, non regolamentare. C’è un gioco delle parti, in questo senso: dell’Europa verso gli Stati Uniti che, con i loro fondi di investimento, hanno annunciato di voler puntare su alcuni progetti di data center nel Vecchio continente . E di Washington verso Bruxelles nel chiedere la riduzione di alcune normative europee per far operare ancora più liberamente le proprie imprese».

Resta il fatto però che, al momento, la competizione tra alleati sembra altrettanto forte di quella tra nemici. USA ed Europa, in tema di intelligenza artificiale, appaiono distanti tanto quanto lo sono USA e Cina. «Non una novità, invero, come ho evidenziato nell’ultimo mio libro dedicato alla geopolitica dell’IA, ma anche in alcuni lavori precedenti sull’industria dei semiconduttori - sottolinea Aresu - Questo processo è già in corso da tempo. Uno degli ultimi provvedimenti dell’amministrazione Biden, preso pochi giorni prima che Trump tornasse alla Casa Bianca, è stato l’adattamento dei controlli sulle esportazioni, la misura con cui gli Stati Uniti limitano il commercio di alcuni prodotti di aziende leader dell’intelligenza artificiale, per esempio NVIDIA. Ecco, in quel provvedimento, non tutta l’Europa è identificata come un territorio nel quale si possa liberamente commerciare. Alcuni Paesi quali la Polonia, il Portogallo e la stessa Confederazione Elvetica, per qualche ragione, sono stati assoggettati a controlli specifici».

Altri controlli, sempre decisi dall’amministrazione americana, «hanno poi limitato il commercio con la Cina di alcune aziende europee, in particolare il campione tecnologico dei macchinari per i semiconduttori ASML, un’azienda dei Paesi Bassi - continua Aresu - Ora, con Trump, ciò che vedremo sarà certo un aumento di questi controlli. Sicuramente, sia le minacce sia gli aspetti più o meno concreti sui dazi, oltre che su alcuni aspetti ulteriori di limitazioni del commercio, andranno in qualche modo governati in termini negoziali».

Non sarà semplice, conclude Alessandro Aresu. Poiché, «nonostante la questione non sia nuovissima, ci sono momenti in cui nuovi provvedimenti o altri aspetti di attualità spingono a prestare maggiore attenzione sull’argomento. Inoltre, non va dimenticato che gli Stati Uniti sono divisi al loro interno su come muoversi quando si tratta di competere con la Cina. Ci sono coloro i quali sostengono in modo esplicito che il Paese è in guerra tecnologica con Pechino, una guerra che deve essere vinta. E chi sostiene, invece, che la collaborazione scientifica con i ricercatori cinesi che lavorano per le aziende americane sia importante e debba continuare. Anche da queste sfumature si vede quanto sia complesso il tema».

«Non siamo in vendita»

A margine del summit di Parigi, il CEO di OpenAI, Sam Altman, è tornato sulla richiesta di acquisto formulata da Elon Musk. «Non siamo in vendita - ha detto Altman ai giornalisti - tanto meno a un rivale che non è riuscito a batterci sul mercato, e dunque preferisce pensare che sia più semplice acquistarci. Penso che Musk stia solo cercando di rallentarci. Dovrebbe invece competere semplicemente costruendo un prodotto migliore».