Il racconto

Io, un ticinese, accolto come un figlio in Marocco: e fra poco, il Sahara

Prosegue il mio viaggio in Africa in bicicletta – Nel mio diario, intanto, torna sempre una parola: ospitalità
© Alessandro Brönnimann
Alessandro Brönnimann
Alessandro Brönnimann
18.12.2024 12:49

Capitolo secondo

Essaouira, Marocco, 14 dicembre 2024. Sono arrivato qualche giorno fa a Essaouira, una vibrante cittadina costiera del Marocco per fare qualche giorno di pausa e riposarmi dopo i primi 1.000 chilometri di bicicletta che ho percorso. Nel mio diario ho raccolto varie esperienze e quasi tutte hanno in comune un elemento: l'ospitalità, la gentilezza e l'accoglienza delle persone che ho trovato lungo il percorso.

Ho pedalato lungo la costa vedendo le onde dell'oceano rompersi a 30 metri da me, ho visto delle distese immense di terra rossastra e arida, ho pedalato a 1.800 metri immerso nel verde tanto che mio fratello da casa mi prendeva in giro dicendomi che se avessi voluto pedalare in montagna sarei potuto restare da noi. Ma quello che più mi ha toccato sono l'ospitalità che ho ricevuto in queste settimane di viaggio in solitaria.

Dovete sapere che quando il sole cala, un'oretta prima del tramonto, vado a cercare un posto in cui passare la notte, solitamente cerco una moschea di un qualche piccolo villaggio o un'area verde in cui potrei sentirmi al sicuro a dormire e poi chiedo il permesso di mettere la tenda. La risposta solitamente è qualcosa del tipo «guarda, per la tenda non so, se vuoi puoi metterla qua, ma se preferisci sarei felice di ospitarvi da me a casa».

E così riguardando il mio diario leggo di quando sono andato a dormire dalla famiglia di Mohammed. Ricordate? È l'uomo sulla sessantina che avevo conosciuto sul traghetto, era in camera con me. Oppure leggo di un altro Mohammed, un professore universitario in geografia che ho incontrato in un baretto in un piccolo villaggio sulle montagne a 15 chilometri da Meknès e circa 30 da Fes. Lui, nonostante fosse un professore, stava aiutando a servire al bar di suo cugino. Io mi ero seduto un po' per caso al tavolo a prendere un caffè perché avevo seguito una strada sterrata lungo la quale tutte le persone che incontravo mi salutavano con immensa gioia e rispetto, e lo stesso entusiasmo l'avevo sentito quando arrivato davanti al bar quattro persone mi avevano invitato a sedermi. Lui venne a servirmi e iniziammo a parlare, ma per farla breve da lì mi sono alzato soltanto per portare la bici e i bagagli a casa sua per poi accompagnarlo ad annaffiare le piante del suo orto. Di incontri ne ho fatti altri e non sempre ero in grado di comunicare con chi mi ospitava visto che non so l'arabo né tantomeno il berbero, ma l'energia che ho ricevuto è stata la benzina perfetta per aiutarmi a immergermi e abituarmi in questa nuova quotidianità di viaggio.

Questi primi 1.000 chilometri sono volati, e ora è giunto il momento di affrontare la prossima grande sfida del viaggio: il Sahara. Una sfida che tra le altre cose ho deciso di affrontare non più da solo ma in compagnia di altri due ciclisti. Ora quindi un po’ di pausa e riposo e poi, con la speranza di avere vento a favore, inizieremo a pedalare i circa 2.000 chilometri di deserto tra Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania e infine Senegal. Ma questa è una storia per un altro articolo.

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