Joe Biden tenta di resistere
Se l’America dei repubblicani sente ormai vicina la vittoria alle presidenziali, l’America dem vive una situazione di attesa quasi drammatica.
La grande maggioranza di elettori e dirigenti del partito dell’asinello vorrebbe che Joe Biden si ritirasse dalla corsa, convinta che l’età e la malattia e del presidente abbiano ormai pregiudicato irrimediabilmente ogni sua possibilità di battere Donald Trump.
Biden è però tuttora sicuro di farcela. Positivo al Covid da mercoledì scorso, il presidente è in quarantena nella sua casa di vacanza a Rehoboth Beach, nel Delaware. E oggi è tornato a criticare il rivale repubblicano accusandolo di avere una «visione oscura» per l'America e ribadendo di non «vedere l’ora di tornare in campagna elettorale, la prossima settimana: per continuare a esporre la minaccia dell’agenda Project 2025 dei repubblicani, e per vincere nelle urne a novembre. La visione oscura di Trump per il futuro non è ciò che siamo come americani. Insieme, come partito e come Paese, possiamo sconfiggerlo e lo sconfiggeremo alle urne», ha ripetuto Biden in una dichiarazione ripresa in serata dalla Reuters.
In realtà, la situazione sembra essere molto diversa rispetto a quanto la Casa Bianca vorrebbe far credere. Biden sta affrontando da settimane una pressione sempre più forte da parte dei leader democratici, alcuni dei quali gli avrebbero detto esplicitamente che la sua ostinazione sta danneggiando non soltanto la possibile riconquista della presidenza, ma anche la possibilità del partito di controllare almeno una delle due Camere del Congresso. Lo stesso Barack Obama, di cui Biden è stato vice per otto anni, avrebbe detto al presidente di valutare l’uscita di scena. E sempre oggi, altri 25 deputati democratici della Camera dei Rappresentanti e tre senatori hanno chiesto pubblicamente al presidente di farsi da parte.
Una spinta troppo forte
«Biden si sente ormai tagliato fuori, avrebbe voluto resistere e finire il suo lavoro, mantenere le promesse fatte agli elettori all’inizio del mandato, ma credo che la spinta del partito sia troppo forte. È possibile quindi che lasci, anche in considerazione della sua fragilità dovuta sicuramente alla malattia». Marco Sioli, associato di Storia politica degli Stati Uniti all’Università Statale di Milano, è appena tornato da un viaggio di studi negli USA. «La sensazione è che per i democratici tutto si sia fatto difficilissimo - dice Sioli al CdT - ho attraversato il Kentucky, la Georgia, il North e il South Carolina e ho avuto chiara la percezione di come Trump stia riconquistando ampie fasce di elettorato, ad esempio quello femminile».
Anche il fallito attentato di Butler è servito al tycoon per rafforzare la sua immagine. «La virata religiosa, la declamata salvezza per mano di Dio, ha fatto diventare Trump un personaggio quasi mistico, davvero sarà molto difficile per i dem riprendere i punti persi, sebbene l’amministrazione Biden sia stata efficientissima sul piano economico. Il ceto medio non è insoddisfatto, ma in città come Chicago o New York, con le retribuzioni attuali, non è più in grado di sostenere il costo della vita».
Se non avesse avuto un crollo fisico, dice ancora Sioli, «Biden avrebbe potuto tenere testa. Ma il dibattito Tv di Atlanta ha fatto capire come non sia più in grado di confrontarsi con un animale televisivo qual è Trump. A questo punto, il Covid potrebbe dargli l’assist per uscire di scena».
Dietro il presidente, inevitabilmente, c’è la sua vice. Sulla cui figura lo storico della Statale di Milano esprime un giudizio interlocutorio. «In questi anni Kamala Harris è stata un po’ messa da parte da Biden, ma non è da escludere che nel nuovo mondo americano, rappresentato ad esempio dalla moglie di J. D. Vance, l’avvocata di religione indù Usha Chilukuri, la stessa Harris potrebbe anche servire a recuperare il consenso di alcune minoranze. D’altronde, almeno a parole, anche Trump ha cambiato atteggiamento verso le nuove immigrazioni».
La convention «aperta»
«Se Biden dovesse ritirarsi, non ci sarebbe alcuna alternativa a Kamala Harris», dice convinta al CdT Raffaella Baritono, ordinaria di Storia e Politica degli Stati Uniti d’America alla Scuola di Scienze politiche dell’Università di Bologna.
«È vero, la vicepresidente non gode di una popolarità accentuata e non sono pochi i dubbi sulle sue competenze e sulle sue reali capacità, ma dopo 4 anni conosce sicuramente i tanti meccanismi dell’amministrazione ed è ovviamente più forte. Dentro le dinamiche democratiche degli USA la sua è poi l’unica scelta naturale. Soprattutto per la legittimazione che le deriva dal voto delle primarie, alle quali ha partecipato implicitamente ed esplicitamente come candidata vicepresidente».
Se questa non fosse la strada, se cioè i democratici volessero indicare qualcun altro, «si aprirebbe un conflitto tra le diverse anime e le varie posizioni del partito, dentro uno scenario inedito e difficile da valutare qual è una cosiddetta “convention aperta”: il luogo ideale per far esplodere le divisioni tra radicali e moderati. Harris, invece, potrebbe rappresentare la scelta istituzionale. E sarebbe anche la prima candidata donna di colore. Una figura che potrebbe rivitalizzare l’elettorato afroamericano, quello femminile, i giovani. Insomma, una scelta per scompaginare l’attuale impasse democratica».
In una recente media di 11 sondaggi pubblicata dal Washington Post, Donald Trump ha superato Biden di 1,9 punti percentuali; il vantaggio sulla Harris sarebbe invece di 1,5 punti. In quattro di questi sondaggi Harris sarebbe migliore di Biden, in quattro leggermente peggiore e negli altri tre alla pari.
Un altro sondaggio Washington Post - ABC News - Ipsos di metà luglio ha poi rilevato che il 44% degli americani sarebbe «soddisfatto» se Biden si facesse da parte e Harris diventasse la candidata democratica, (ma tra i democratici e gli indipendenti di tendenza democratica la quota sale al 70%).
Nello stesso sondaggio, il 29% dei democratici e degli indipendenti di tendenza democratica ha scelto Harris per la nomination del partito se Biden si facesse da parte, il 7% ha menzionato il governatore della California Gavin Newsom, il 4% l’ex first lady Michelle Obama e il 3% il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg e la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer.
«L’esito del voto presidenziale dipenderà da molti fattori - dice ancora Raffaella Baritono - non bisogna confondere l’entusiasmo della convention repubblicana con la presa sull’elettorato. Trump rimane un candidato divisivo. A fronte di un Biden fragile e non totalmente lucido le sue possibilità sono maggiori. Le cose potrebbero cambiare con una candidata giovane e capace di mobilitare l’elettorato democratico. Bastano pochi voti negli Stati decisivi per ribaltare la situazione. La sfida dem è di portare al voto le persone, così come era accaduto nel 2020».
Anche la scelta del nuovo vice sarà cruciale. Ma, soprattutto, «se Kamala Harris sarà la candidata, lo stesso Biden dovrà metterle a disposizione la sua macchina elettorale. Spetterà poi alla Harris riposizionarla su un’agenda propria, diversa e riconoscibile».