La corsa di Trump non si ferma, nonostante il verdetto sugli abusi
I guai giudiziari di Donald Trump hanno raggiunto ieri un nuovo snodo: il tycoon è stato riconosciuto colpevole di aggressione sessuale e diffamazione verso la scrittrice Jean Carroll nel corso processo che si è svolto a New York. Questo fatto, però, sembrerebbe non avere – almeno per adesso – alcuna ripercussione sulla sua corsa alla Casa Bianca. Con buona pace di alcune frange repubblicane, tra le quali si respira una certa apprensione sulla effettiva candidatura alle presidenziali di Trump. Soprattutto per l’impatto che questo verdetto potrebbe avere nei gruppi di elettori chiave, come le donne. Ma vediamo insieme che cosa è capitato nelle scorse ore.
Un verdetto senza precedenti
Il verdetto raggiunto ieri sera dalla giuria di New York nel processo civile a carico di Donald Trump è piuttosto chiaro: l’ex presidente non ha stuprato ma ha aggredito sessualmente la scrittrice Jean Carroll nei camerini di un grande magazzino nel 1996 e l'ha poi diffamata a mezzo del suo social Truth nell'ottobre 2022, quando definì le accuse mosse da Carroll una «farsa» e una «truffa». Trump è stato quindi condannato a risarcirle 2,7 milioni di dollari a titolo di compensazione e altri 280 mila dollari come danno punitivo per la diffamazione. Un verdetto «senza precedenti», secondo la stampa americana, poiché ha visto un ex presidente, nonché attuale candidato alla Casa Bianca, riconosciuto e giudicato responsabile di abusi sessuali.
«Non ho idea di chi sia questa donna»
Una decisione che non è andata giù al diretto interessato, che ha lo commentato – di nuovo su Truth – prendendone le distanze e negando ogni illecito a suo carico: «Non ho assolutamente idea di chi sia questa donna», ha detto riferendosi a Carroll. Poi ha proseguito: «Questo verdetto è una vergogna, una continuazione della più grande caccia alle streghe di tutti i tempi». Non solo. Trump, tramite il suo legale Joseph Tacopina, ha annunciato che impugnerà il verdetto del processo civile. Tacopina, a tal proposito, ha sostenuto che la scelta di assolvere il suo assistito dall’accusa di stupro ma di ritenerlo responsabile di un’aggressione a sfondo sessuale «è strana e lascia perplessi».
Corse e spaccature
Il giudizio emesso dalla Corte, di natura civile e non penale, non prevede nessuna incarcerazione per Trump e non dovrebbe, quindi, avere nessuna ricaduta sulla sua candidatura alla corsa delle presidenziali 2024. Almeno per ora. Tuttavia non sono mancate, anche all’interno dell’area repubblicana, preoccupazioni e spaccature per questo nuovo tassello giudiziario che ha come protagonista l’ex presidente, spiega la CNN. «Questo e molti altri aspetti mi fanno dubitare che sia il miglior candidato per il partito. Preferirei di gran lunga avere un presidente che non abbia questa storia», ha dichiarato all’emittente americana il senatore del North Dakota Kevin Cramer. Al quale ha fatto eco l'ex governatore dell'Arkansas Asa Hutchinson, condannando Trump per il suo comportamento e ribadendo che «il sistema delle giurie è sacrosanto» e che i giurati, in questo, caso hanno emesso una sentenza che indica come il tycoon «non sia adatto a servire e che i repubblicani dovrebbero considerare le implicazioni elettorali di avere un tale candidato alla guida della loro lista». Tra le fila del Grand Old Party altri nomi di spicco, per il momento, non si sono espressi in merito. Come il possibile candidato alla Casa Bianca e governatore della Florida Ron DeSantis, il presidente della Camera Kevin McCarthy e l'ex governatore della Carolina del Sud Nikki Haley.
Ritirati per molto meno
Una presa di posizione abbastanza netta quella di alcuni membri del partito repubblicano. Anche perché, nel corso della storia moderna degli Stati Uniti, la maggior parte dei candidati alla Casa Bianca si sarebbe dimessa una volta trovatasi di fronte ad accuse del genere. Ma anche in casi meno gravi, come riferisce la CNN. «Gli sviluppi di martedì solleverebbero questioni di fattibilità potenzialmente insormontabili: molti candidati alla Casa Bianca sono usciti dalla corsa presidenziale per molto meno». Non solo. Quelli sollevati da Carroll non sono i primi guai giudiziari ai quali Trump deve trovarsi a far fronte. Solo di un paio di mesi fa la vicenda che lo ha visto confrontarsi con le accuse della pornostar Stormy Daniels. Vicenda che gli è costata la prima incriminazione penale per un ex presidente americano. Ma Trump è anche in attesa degli sviluppi di altre indagini sul tentativo di rovesciare il risultato delle elezioni del 2020 e sui documenti riservati trovati nella sua proprietà di Mar-a-Lago in Florida. Per ora, però, il tycoon non ha alcuna intenzione di abbandonare le fila dei repubblicani e, soprattutto, la corsa alle presidenziali.
Il voto delle donne
Anche se è ancora presto per poter dire se e in che modo questo verdetto influenzerà le scelte degli elettori nelle primarie o, ancora di più, l’esito delle elezioni previste tra un anno e mezzo, di certo c’è una crescente preoccupazione dei repubblicani per l’effetto che un’aggressione sessuale sul conto di Trump potrebbe avere sulle donne e sugli elettori di passaggio. L’ex presidente non è nuovo a certe uscite sessiste che hanno già creato imbarazzo nel Grand Old Party. Ma ora si parla chiaramente di abusi sessuali. «Il verdetto di New York dovrebbe squalificare Trump dalla candidatura» ha dichiarato in modo risoluto alla CNN l'ex direttore della comunicazione della Casa Bianca sotto Trump, Alyssa Farah Griffin. «Questa è una delle tante prime nella storia che Donald Trump è riuscito a raggiungere: un nuovo minimo». E ancora: «Non possiamo permetterci di candidare quest'uomo come repubblicani se vogliamo davvero vincere, perché le donne scapperanno di fronte a un voto per lui». Una posizione che sottolinea come quelle che, un tempo, erano preoccupazioni dei repubblicani riguardo alla condotta del tycoon, sono ora state confermate da una giuria, rendendole di colpo un dato reale con il quale fare i conti.