L'intervista

«La neutralità svizzera non è per nulla a rischio»

Il nostro Paese entra nel Consiglio di sicurezza dell'ONU – Ne abbiamo parlato con René Schwok, professore di Scienze politiche all’Università di Ginevra
© KEYSTONE / ALESSANDRO DELLA VALLE
Francesco Pellegrinelli
09.06.2022 20:25

Quali opportunità concrete si offrono alla Svizzera con l’entrata nel Consiglio di sicurezza dell’ONU? Le aspettative del Consiglio federale sono alte. Ma quanto sono realistiche? E poi, la neutralità elvetica sarà messa sotto pressione? Ne abbiamo parlato con René Schwok, professore di Scienze politiche all’Università di Ginevra.

Che cosa cambierà concretamente per la Svizzera?
«Volendo essere molto diretti, potremmo dire che si tratta di un non-evento. Non credo che cambierà molto per la Svizzera, la cui influenza sull’Organizzazione continuerà a essere marginale. Per la diplomazia svizzera rappresenta sicuramente un evento atteso. Certamente, la Svizzera si è preparata a dovere e potrà dare il proprio contributo in una partita che conta. Ma, ripeto, non cambierà molto, né per la Svizzera, né per il mondo. Credo che il Consiglio federale esageri l’importanza di questa adesione, così come l’UDC nel presentare le conseguenze negative sulla neutralità».

Questo dipende dal fatto che la Svizzera sarà un membro non permanente?
«Sì, del resto, quasi tutti gli Stati del mondo sono entrati nel Consiglio di sicurezza o lo saranno. Non c’è nulla di straordinario. Ripeto: la Svizzera, sicuramente, contribuirà più di altri Paesi in ragione dei suoi valori democratici, del rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale. Detto questo, la Svizzera difficilmente potrà contribuire a “costruire una pace sostenibile”, come indicato dal Consiglio federale tra le priorità della permanenza nel Consiglio».

Non ci sono vantaggi, quindi?
«Avremo un canale di comunicazione in più, e se qualcuno dovesse avere bisogno della Svizzera, ci troveremmo al posto giusto, nel momento giusto. Ma, ancora una volta, sarà un ruolo marginale».

Per il seggio potrebbe esserci invece un prezzo da pagare?
«Al limite qualche polverone politico in Svizzera se l’UDC dovesse decidere di cavalcare puntualmente qualche decisione, ma non credo che ci saranno prezzi da pagare. Si può far parte del Consiglio di sicurezza e, al contempo, essere neutrali. Comunque, di fronte a scelte problematiche, la Svizzera non dovrebbe che astenersi dal prendere posizione».

Qualora il Consiglio dovesse esprimersi su sanzioni o interventi militari, la Svizzera metterebbe a rischio la sua posizione di neutralità?
 «Dal 1990, ossia dalla fine della Guerra fredda, la Svizzera applica tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Anche quando si tratta di risoluzioni che preparano la guerra. Perché? Perché si ritiene che sia compatibile con il diritto alla neutralità. E questo in virtù di un’arguzia giuridica, nel senso che si considera la guerra decisa dal Consiglio come una risoluzione per la pace. In questo senso, ancora prima di far parte dell’ONU (2002), nel 1990, la Svizzera accettò la risoluzione del Consiglio contro l’Iraq che seguì all’invasione del Kuwait. Il Consiglio approvò l’intervento degli USA per liberare il Kuwait. E la Svizzera aderì alla risoluzione che “legalizzava la guerra”, perché di fatto era un “intervento per la pace”. Dunque, anche oggi non ci sarebbe nessun problema. A parte il fatto che è molto improbabile che un evento simile si riproduca, perché difficilmente USA, Cina e Russia – in questo momento – sarebbero d’accordo su un evento importante, come un intervento militare».

Eventuali decisioni su sanzioni non rappresentano quindi un ostacolo per la politica estera svizzera?
«Se le sanzioni vengono prese dal Consiglio di sicurezza, no. Lo sono molto di più nel caso in cui sono decise, singolarmente, da Paesi occidentali, come per esempio l’UE o gli USA. È stato il caso il 24 febbraio scorso quando il nostro Paese ha dovuto decidere se adottare le sanzioni dell’UE. Che non sono sanzioni universali. Questa scelta è stata molto più spettacolare di quanto potrebbe accadere con il Consiglio di sicurezza, in quanto abbiamo preso posizione contro la Russia e a favore dell’Ucraina. Le sanzioni del Consiglio, invece, sono universali. Affinché diventino tali, infatti, devono essere approvate da tutti i membri permanenti».

Come è cambiata, allora, la politica estera svizzera dalla Guerra fredda in poi?
«Sicuramente la decisione di adottare le sanzioni UE rappresenta, se non un cambio di paradigma, un evento straordinario. Si tratta infatti di sanzioni importanti, decise contro un grande Paese, membro permanente del Consiglio di sicurezza. La Svizzera, tuttavia, dispone di una legge che le consente di adottare sanzioni di questo tipo. Si tratta della legge sugli embarghi (LEmb), secondo la quale la Svizzera può adottare sanzioni, se queste vengono prese dai principali partner commerciali. Già in passato, del resto, la Svizzera ha adottato sanzioni contro Stati terzi, come la Serbia, la Birmania e l’Iran. La base giuridica, dunque, esiste e risale al 2002. La Svizzera, tuttavia, rispetto ad altri Paesi neutrali, continua a interpretare il concetto di neutralità in maniera rigorosa. Alcuni Stati neutrali hanno infatti deciso di entrare nella NATO, abbandonando quindi la neutralità. Altri, come Irlanda e Austria, sono membri dell’UE e quindi hanno partecipato all’esportazione di armi verso l’Ucraina. Per la Svizzera non sarebbe accettabile, in quanto rappresenterebbe una violazione del suo concetto di neutralità. Questo per dire cosa? Che la Svizzera dalla fine della Guerra fredda si è adattata molto ai cambiamenti, per esempio accettando le risoluzioni del Consiglio di sicurezza o adottando sanzioni economiche verso Paesi terzi. Rispetto al periodo della Guerra fredda, la Svizzera ha quindi assunto una posizione meno fondamentalista. Tuttavia, rispetto ad altri Paesi neutrali, la Svizzera continua ad avere un’interpretazione piuttosto rigorosa. Siamo meno un “Sonderfall”, ma restiamo comunque un caso particolare. Questa è la tesi principale del mio libro, “Politique extérieure de la Suisse, après la Guerre froide”».

Com’è vista da fuori l’entrata della Svizzera nel Consiglio?
«Assolutamente come un fatto secondario. Senza enfatizzare troppo, non credo che nel resto del mondo ci siano aspettative particolari. Per quanto riguarda invece il concetto di neutralità constato che c’è molta confusione fuori dai nostri confini. E forse il Consiglio federale potrebbe fare di più per chiarire questo aspetto politico che ci definisce». 

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