L'intervista

«L’eccedenza cinese non ci fa paura: lo Swiss Made paga»

«I dazi creano incertezza, che è veleno per l’economia globale» – Ne è convinto Stephan Brupbacher, direttore di Swissmem, l’associazione padronale dell’industria meccanica – Lo abbiamo intervistato sull’intricata tela di misure protezionistiche introdotte dal presidente Trump
© Eugene Hoshiko
Francesco Pellegrinelli
17.03.2025 06:00

«I dazi creano incertezza. Che è veleno per l’economia globale». Ne è convinto Stephan Brupbacher, direttore di Swissmem, l’associazione padronale dell’industria meccanica. Lo abbiamo intervistato sull’intricata tela di misure protezionistiche introdotte dal presidente USSA Donald Trump. Dai «dazi reciproci» alla lista dei «Paesi sleali» sino alla guerra dei chip. Anche qui, il nodo centrale è l’asse USA-Cina-UE, con al centro la piccola Svizzera.

La Svizzera si trova in una posizione commerciale delicata tra Stati Uniti e Cina, due economie in crescente tensione. Quanto è difficile per le aziende svizzere mantenere un equilibrio nelle relazioni con entrambi i Paesi senza subire ripercussioni economiche o restrizioni commerciali?
«Finora, la Svizzera è riuscita a mantenere buone relazioni politiche ed economiche con il maggior numero possibile di Paesi, agendo come un piccolo Stato economicamente aperto e indipendente. Di conseguenza, le aziende svizzere possono esportare nei mercati di riferimento. Questo è indispensabile: il nostro Paese deve le sue elevate condizioni di vita alle esportazioni. Per questo motivo, è fondamentale che la politica garantisca relazioni commerciali integre anche in un mondo sempre più polarizzato. Da un lato, sono imprescindibili gli accordi di libero scambio esistenti e futuri, come quelli con l’India e il Mercosur. Dall’altro, è necessaria una politica pragmatica, ad esempio evitando una neutralità dogmatica o la censura di altri Stati su questioni di diritti umani».

La Svizzera è stata inserita nella seconda categoria dei Paesi con accesso limitato ai chip provenienti dagli Stati Uniti, una decisione che potrebbe penalizzare settori chiave come la tecnologia e l’industria. Quali potrebbero essere le conseguenze concrete per le aziende svizzere e come intende il settore industriale affrontare questa restrizione?
«Nel breve termine, questo non rappresenta un problema significativo per l’industria tecnologica svizzera, poiché le nostre aziende non necessitano in larga misura dei chip più potenti. È invece un problema per la ricerca e lo sviluppo nei settori dell’informatica quantistica e dell’intelligenza artificiale dove siamo leader in Europa. È positivo che la Confederazione stia cercando di ottenere l’inclusione nel primo gruppo da parte degli Stati Uniti».

Quali potrebbero essere, a suo modo di vedere, i motivi di questa scelta americana? L’accordo di libero scambio con la Cina può avere influito sulle decisioni degli USA?
«No, non abbiamo alcun segnale che il nostro accordo con la Cina sia stato la causa di questa decisione. Per l’industria tecnologica svizzera è però fondamentale poter esportare nel maggior numero possibile di mercati, senza dipendere esclusivamente da un blocco. L’accordo di libero scambio con la Cina e il suo aggiornamento sono cruciali per l’industria, così come una rapida ratifica dell’accordo con l’India, chissà, forse anche un accordo con gli Stati Uniti».

I «dazi reciproci» di Donald Trump potrebbero scattare il 2 aprile. C’è preoccupazione nel settore?
«La Cina ha enormi capacità produttive in eccesso in diversi settori, dalle auto elettriche ai pannelli solari. Se, a causa di un’escalation del conflitto commerciale con gli Stati Uniti, questi beni venissero venduti in misura maggiore nell’UE, potrebbero spiazzare i fornitori europei con prezzi più bassi. Nel frattempo, i prodotti cinesi hanno ormai raggiunto un livello tecnologico paragonabile a quello europeo in molti ambiti. È quindi comprensibile che questa situazione generi preoccupazione nell’UE. Vediamo però un rischio minore per la Svizzera, poiché le nostre aziende sono spesso altamente specializzate e operano in nicchie di mercato dove la qualità dei loro prodotti non è ancora eguagliata dalla concorrenza cinese. Un aspetto specifico in questo contesto merita di essere sottolineato: se l’Europa dovesse introdurre, come nel 2017, dazi su acciaio e alluminio nei confronti di Paesi terzi come la Cina, sarebbe essenziale che la Svizzera non venisse nuovamente classificata come un Paese terzo. Misure di protezione contro la Svizzera da parte dell’UE non sarebbero economicamente giustificate e metterebbero a rischio il sostegno della popolazione e dell’industria agli accordi bilaterali III, un aspetto di cui anche l’UE è consapevole».

Gli Stati Uniti hanno inserito la Svizzera nella lista dei Paesi con presunte «pratiche commerciali sleali», nonostante il nostro Paese abbia abolito i dazi industriali e garantisca libero accesso ai prodotti americani. Come valuta questa decisione e quali potrebbero essere le implicazioni per le aziende svizzere?
«Non bisogna sopravvalutare questa decisione. Tuttavia, sottolinea l'importanza di informare rapidamente e in modo convincente gli Stati Uniti sui contributi della Svizzera. Non solo abbiamo eliminato tutti i dazi industriali, ma la nostra IVA è altrettanto bassa di quella della Florida e di New York. A differenza dell'UE, non abbiamo misure protezionistiche simili ai dazi, come il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere. Inoltre, la Svizzera è il sesto maggiore investitore negli Stati Uniti e crea posti di lavoro ben retribuiti in settori altamente qualificati. Spetta alla Confederazione e al settore economico utilizzare i propri canali per sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità negli Stati Uniti».

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