L'educazione ai «no» passa anche dai padri

Non stupore, né meraviglia. No. Paura. Quello che molti neopapà hanno raccontato di aver provato tenendo tra le braccia per la prima volta i loro figli è stata la paura. La paura di far loro del male. Di poter nuocere, con le loro grandi mani, a quelle piccole creature appena venute al mondo. È l’immagine, potentissima, che ci ha restituito lo psicoterapeuta e saggista Alberto Pellai, che per anni ha lavorato con i giovani padri e che oggi cerca di ripartire da loro - sì, proprio dai papà - per combattere la violenza di genere. Una piaga che riguarda tanto la vicina Italia quanto la Svizzera, come mostrano i dati, drammatici, pubblicati negli scorsi giorni dalla statistica criminale della Polizia.
Sono in effetti già tredici i femminicidi consumati nel nostro Paese dall’inizio dell’anno. Tredici in appena quindici settimane. In pratica, quasi ogni settimana una donna è stata ammazzata da un uomo, che spesso fa parte della sua cerchia familiare. Omicidi basati sul genere, dunque, che vedono come vittima la donna uccisa proprio «in quanto tale». Un fenomeno che non risparmia neppure il Ticino, dove appena pochi mesi fa, a fine gennaio, una 21.enne rumena è stata colpita a morte in un rustico sopra a Lodrino. Lo scorso anno, su tre omicidi commessi nel nostro cantone, ben due hanno avuto come vittima proprio le donne. In entrambi i casi, l’autore era un uomo. In settembre, in un appartamento di Chiasso una 40.enne proveniente dallo Sri Lanka è stata uccisa dal marito, che poi ha chiamato i soccorsi fingendo che la moglie avesse avuto un attacco di cuore. Appena due mesi dopo, a Morbio Inferiore, un 68.enne ha invece ucciso la cognata italiana di 65 anni.
Numeri, e storie, che devono interrogarci sul ruolo che ciascuno di noi è chiamato ad assumere nell’educare gli uomini di domani. Perché sarebbe riduttivo e sbagliato pensare che possa essere sufficiente istruire le ragazze sui campanelli d’allarme che non possono permettersi di ignorare, sui no da dire - anche più spesso, semplicemente quando è il caso -, per riuscire a scappare in tempo dalle relazioni tossiche. Per salvarsi dalla mano di mariti o fidanzati violenti. Piuttosto, è imperativo riuscire a educare i bambini e i ragazzi alla relazione sana con l’altro sesso. Renderli capaci di ascoltare i bisogni dell’altro. Di tollerare quei no e, soprattutto, di accettare la frustrazione che ne consegue. Allo stesso modo, però, non si può credere che sia compito esclusivo delle madri allevare maschi rispettosi. Perché possa funzionare davvero, occorre invece fare squadra con i papà. Uomini che, a loro volta, ancora troppo spesso si trovano ingabbiati in ruoli di genere ormai superati.
E allora, dobbiamo promuovere un nuovo modo di guardare al genere maschile. E, soprattutto, si deve ripartire dalla centralità del ruolo del padre, togliendolo dal cono d’ombra in cui secoli di storia l’hanno relegato. I padri - e vale la pena ribadirlo nel caso in cui qualcuno ancora non ne fosse convinto - non sono affatto secondari nel processo di crescita e di educazione dei figli. Tutt’altro. Sono proprio loro, anzi, a poter insegnare ai figli a fare i conti con le proprie emozioni, con le proprie fragilità e debolezze. Con il loro esempio quotidiano, i papà possono trasmettere ai bambini tutta l’importanza della cura, dei gesti e delle parole gentili. “Ripartire dalle mani dei papà”, dice Pellai. Dalle mani degli uomini. Mani che non colpiscono, ma che sanno dare carezze. Solo così, forse, riusciremo a spezzare una volta per tutte la spirale di violenza che fa migliaia di vittime donne in ogni angolo del mondo. Svizzera compresa.