Locarno in rivolta, ma è solo un film
Locarno. Zona Teatro Paravento, vicino alla biblioteca cantonale. Poco sopra Piazza Grande. Forconi, cartelli, grida. Una folla di persone scandisce a gran voce «Giù le mani dalla nostra lingua!». Qualcuno porta una carriola carica di quadrottoni in porfido. D’un tratto arriva la polizia, lo scontro è inevitabile. Fumogeni. Volano pietre. Un agente punta il getto dell’idrante contro le prime file. «Stoooop!». «Bene! La rifacciamo?», chiede qualcuno. Tutti ridono. Ma che succede? «Stiamo girando un film», spiega Shira, giovane studentessa di Karlsruhe. Indossa un gilet arancione. «Set Management», dice la grande scritta sul dorso. Lei è qui per un lavoro estivo e oggi deve curare che nessun estraneo entri nell’inquadratura della macchina da presa, «rovinando» l’atmosfera. Dall’altra parte, proprio sui gradini dell’ingresso del teatro, Oscar manda via alcune comparse. «Qui è ‘campo’! Dovete scendere!», dice. La zona sarà ripresa nella prossima sequenza. «Sì, probabilmente questa sarà la scena più costosa di Bon Schuur Ticino», confida. Il lungometraggio (prodotto da Spotlight Media Productions, ndr) dovrebbe essere concluso in tempo per la proiezione proprio qui, in Piazza Grande, durante il prossimo Locarno Film Festival—almeno questo è l'intento della produzione—, per approdare nelle sale e, dopo circa un altro anno, anche sulle piattaforme.
Al centro del grande raggruppamento di attori, comparse, troupe di tecnici ecco spuntare il produttore, David Luisi, fratello del regista, Peter. Alto, sorridente, barbetta grigia, indossa una polo rosa. «È da tanti anni che facciamo film, abbiamo iniziato nel duemila e questo è il nostro settimo titolo», dice in perfetto italiano. «Merito di mia moglie, è siciliana», esclama.
Nel film, un referendum impone una sola lingua nazionale per tutta la Svizzera. Un gruppo di ribelli in Ticino non è d'accordo. «E così eccoci qui, oggi, a riprendere le scene delle proteste. L'idea del film è di Beat Schlatter, che interpreta anche l'attore principale. Lui è un comico molto conosciuto nella Svizzera tedesca. Avevamo già realizzato Flitzer, nel 2017, insieme a lui. Peter (il regista, fratello di David, ndr) era entusiasta di questa idea e insieme hanno scritto la sceneggiatura».
Oggi è l'undicesimo giorno di riprese. «Vedo che siamo un po' in ritardo, in tutto abbiamo pianificato una trentina di giorni. Poi ci sarà tutta la postproduzione. Per il momento siamo a circa un quarto di tutta la lavorazione. Giriamo diverse sequenze in Ticino, ma andremo anche a Zurigo, Ginevra e un paio di giornate a Berna», dice il 49.enne. Insieme al comico, c'è anche Catherine Pagani, che interpreta la ribelle ticinese Francesca, e Vincent Kucholl, che rappresenterà la Svizzera francese. «Nel film si gioca molto sui cliché, sulle incomprensioni linguistiche».
Giochi di parole e modi di dire all'ordine del giorno. «Sì, ci saranno tanta comicità e tante risate», sottolinea Pagani. L'attrice, che vive e lavora da anni a Zurigo, è contentissima di prendere parte a un progetto che si concretizza in Ticino. «Mi sento a casa», esclama appoggiando il megafono di scena e togliendosi la bandana in grigioverde scoprendo il viso. «Ho trascorso la mia gioventù parecchio tra Locarno e Bellinzona. Sai, le prime volte che avevamo la macchina e potevamo andare in giro a far festa. lo conosco molto bene il Ticino», dice entusiasta.
Pagani è stata notata dal regista di Bon Schuur Ticino in un cortometraggio e l'ha contattata per un provino. «Il mio personaggio, Francesca, è una combattente. Si batte per la lingua italiana. In fin dei conti, difende i diritti e le uguaglianze per tutti. Non vuole una sola lingua per tutta la Confederazione, ma ci tiene alla multiculturalità», precisa la 44.enne, che evidenzia come nel titolo non ci sarà soltanto leggerezza e risate. «È un film comico, certo. Ma penso farà riflettere al valore dell'uguaglianza. Al fatto che tutti abbiano il diritto di essere quello che sono. Che sia la lingua, l'etnia, il genere, la sessualità. La parità in tutti i sensi, a trecentosessanta gradi, insomma».
«Il Ticino è nel titolo del film», dice Lisa Barzaghi, responsabile operativa della Ticino Film Commission, in visita sul set e accomodata su una sedia pieghevole messa a disposizione dalla troupe.
«I vari luoghi saranno ben visibili e riconoscibili anche all'interno della trama. Il regista ci ha contattato già nella fase di sviluppo del progetto. Come Ticino Film Commission, lo abbiamo accompagnato alla scoperta di quel che poi sono diventate le ambientazioni delle riprese. Peter era alla ricerca di posti caratteristici e tipici della Svizzera italiana. Abbiamo poi chiesto le varie autorizzazioni, abbiamo gestito i contatti per gli alloggi», spiega la responsabile, che aggiunge come il Ticino sia un luogo ideale per le produzioni. «Grazie anche ai contatti che abbiamo coltivato negli anni, siamo in grado di gestire situazioni e imprevisti dell'ultimo minuto senza troppi problemi».
Poco lontano da lei, all'ombra dell'insegna del teatro, c'è Kaspar Weber, vicedirettore di Ticino Turismo, che sorride soddisfatto. «Questo è un colpaccio», dice. «Questa pellicola sarà molto seguita e pubblicizzata a livello nazionale, che è il nostro mercato principale. Senza dimenticare che la movimentazione e la logistica, per tutte queste giornate di riprese in Ticino, generano delle ricadute dirette per il settore turistico», aggiunge il 46.enne, che sottolinea come il Ticino offra molti spunti a produttori e registi.
«È proprio per questo che siamo stati tra gli artefici della fondazione della Ticino Film Commission. In quattro anni, abbiamo accompagnato 130 diverse produzioni, per un totale di 1.300 giornate nelle quali si girano delle scene per lungometraggi, cortometraggi o spot pubblicitari».
Intanto la folla di «finti facinorosi» riceve le indicazioni dall'aiuto regista, Thomas Kaufmann. «Dobbiamo metterci da parte, devono riprendere delle inquadrature solo con Beat Schlatter», traduce dall'inglese una comparsa vestita con una tuta d'assalto. «Beh, la carriola è lì, la prendo sempre io? Qualcuno vuole portarla, dopo?» chiede un altro figurante, indicando il trabiccolo, carico di pietre. Che però, da vicino, si capisce che sono solo cubetti di gommapiuma verniciati sprazzi grigi... non poteva essere altrimenti. Siamo sul set di un film, del resto. «Mica possiamo lanciare pietre vere!».
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