A Ginevra il Sudan cerca la pace (con l'aiuto degli USA)
Domani, a Ginevra, ci sarà un negoziato per un cessate il fuoco riguardo alla guerra civile in Sudan. Gli organizzatori ufficiali sono la Confederazione e l’Arabia Saudita. La mediazione invece verrà condotta dagli USA, mentre Egitto, Emirati Arabi Uniti e ONU saranno gli osservatori speciali. Il Paese dell’Africa nordorientale è attanagliato da una cruenta guerra civile iniziata a maggio 2023. Questa situazione non è però una novità. Infatti, prima di questi eventi, e dopo decenni di guerra civile nel 2005 è avvenuta una scissione che ha portato alla nascita di una nuova nazione: il Sudan del Sud, diventato Stato indipendente membro delle Nazioni Unite nel 2011.
L’evento di domani riguarderà invece il Sudan (del Nord), il quale sia nel 2019 che nel 2021 ha vissuto un colpo di Stato. Facciamo ora chiarezza sugli eventi recenti che hanno portato all’attuale guerra che secondo l’ONU ha causato almeno 15 mila morti, oltre a circa 26 milioni di persone malnutrite e 11 milioni di sfollati (nel mondo nove sfollati su cento provengono dal Sudan). I capi delle due fazioni sono Abdel Fattah al-Burhan, Presidente del governo al comando delle SAF – Sudan armed forces – e Mohamed Dagalo, comandante delle rivoltose RSF – Rapid support forces. Al-Burhan nel 2019 ha rovesciato il regime di Omar Bashir che durava dal 1989, sfruttando il malcontento popolare di fronte alle politiche repressive e alla depressa situazione economica. La giunta militare di transizione si è anch’essa dovuta confrontare con i cittadini, i quali richiedevano a gran voce che la Rivoluzione conducesse a un governo guidato da civili e non militari. Al-Burhan ha così nominato come suo vice Dagalo, il quale incaricato di reprimere le manifestazioni ha compiuto dei veri e propri massacri per mezzo delle RSF. Lunghe contrattazioni hanno poi portato a un accordo, accettato da al-Burhan, il quale prevedeva che egli cedesse entro febbraio 2021 il potere a figure di spicco della società civile elette dal popolo. Il comandante non ha rispettato gli accordi, mettendo in atto, dunque, un altro rovesciamento di potere, siccome il governo era stato promesso a forze democratiche. Giunti al 2023, è l’ex vice Dagalo a realizzare il suo complotto, attaccando le SAF. La RSF è un’ala militare composta soprattutto dai Janjaweed, milizia araba nomade, la quale oltre che in Sudan, opera anche in Chad e Libia. Diversi sono stati i tentativi diplomatici al fine di risolvere il conflitto oppure ottenere un cessate il fuoco, senza particolare successo. La scelta degli osservatori speciali al negoziato di domani non è casuale, l’Egitto – Paese confinante - è alleato di al-Burhan – ospitato al Cairo più volte negli ultimi mesi – mentre presumibilmente, gli Emirati Arabi Uniti sostengono politicamente ed economicamente le RSF.
La trattativa di domani ha tre obiettivi: ottenere un cessate il fuoco almeno temporaneo a livello nazionale, costruire un corridoio per gli aiuti umanitari soprattutto nel Nord del Darfur e ad Al-Jazira, creare una struttura condotta dall’Arabia Saudita – la quale ha mantenuto buoni rapporti con SAF e RSF - che monitori il rispetto degli accordi e verifichi il funzionamento del meccanismo di pace.
L’ufficio di al-Burhan non ha ancora confermato la presenza di un loro delegato, elemento che rischia di vanificare gli sforzi diplomatici. Un’ipotesi relativa a queste reticenze del leader de facto è il riavvicinamento in luglio tra Sudan e Iran, i quali dopo aver interrotto le loro relazioni nel 2016 hanno inviato degli ambasciatori nelle rispettive capitali. Partecipare a un evento mediato dagli Stati Uniti potrebbe incrinare il rinato rapporto con l’Ayatollah Khamenei, acerrimo nemico del Paese occidentale.