Come il Wall Street Journal ha «tenuto in vita» Evan Gershkovich
Da oltre un anno, oramai, la home page del Wall Street Journal era differente. Nella parte superiore del sito, infatti, era stato riservato uno spazio «permanente» per sottolineare che un giornalista del quotidiano, Evan Gershkovich, era prigioniero in Russia. Arrestato, e in seguito condannato, addirittura a 16 anni, per spionaggio. Quando, in realtà, il 32.enne stava semplicemente svolgendo il suo lavoro di reporter. Nella redazione newyorkese del Journal, ancora, l'immagine di Gershkovich e la scritta #IStandWithEvan – per tutto questo tempo – sono stati una presenza fissa. Le colleghe e i colleghi, invece, come scrive il New York Times hanno indossato magliette e spille con appelli eloquenti: «I Stand With Evan», ovvero «Io sto con Evan» e «Free Evan».
Certo, tutto questo c'entra poco – anzi, nulla – con lo sforzo «monumentale», per dirla con la Casa Bianca, che ha portato alla liberazione, fra gli altri, proprio di Gershkovich, in uno scambio di prigionieri fra Russia e Stati Uniti (quasi) senza precedenti. Eppure, il Wall Street Journal con le sue iniziative ha avuto il merito di tenere alta, anzi altissima l'attenzione sul caso. E, in generale, sulle condizioni in cui sono costretti a lavorare i giornalisti nella Federazione Russa. L'arresto e la condanna di Gershkovich, come spiegato a suo tempo al CdT Jeanne Cavelier, responsabile dell'ufficio Europa orientale e Asia centrale di Reporters Sans Frontières, avevano avuto «un effetto raggelante, con un'ulteriore autocensura» da parte dei colleghi in Russia. «Alcuni avevano persino lasciato il Paese dopo aver appreso la notizia del suo arresto».
Il Journal, dicevamo, ha saputo tenere alta l'attenzione. Ha saputo, come si dice in gergo, non fare uscire Gershkovich dal discorso. Come? Lanciando campagne via social, ma anche organizzando letture di alcuni fra i migliori reportage del reporter. I colleghi sparsi in tutto il mondo hanno partecipato a gare podistiche nel primo anniversario del suo arresto, avvenuto il 29 marzo del 2023, mentre i dipendenti della sede principale, a New York, si sono tuffati nelle fredde acque di Brighton Beach, a Brooklyn, per sensibilizzare ulteriormente l'opinione pubblica. «Dopo un'iniziale ondata di attenzione nelle settimane successive all'arresto di Evan, mantenere i riflettori accesi sul suo dramma è diventata un'enorme sfida per la redazione, in mezzo a cicli di notizie affollati» aveva dichiarato Emma Tucker, caporedattrice del Journal, in un'e-mail inviata all'inizio del 2024 al New York Times. «Abbiamo usato ogni momento utile per riportare Evan sulle prime pagine dei giornali: i primi 100 giorni di prigionia, il suo compleanno in ottobre, i 250 giorni, tutte le sue apparizioni in tribunale».
Soprattutto, il Journal ha continuamente e strenuamente negato le accuse di spionaggio mosse dalle autorità russe contro Gershkovich, affermando – al contrario – che Evan era un giornalista accreditato e, al momento dell'arresto, stava svolgendo il suo lavoro. Tucker, la caporedattrice, aveva iniziato il suo mandato solo cinque settimane prima che Gershkovich finisse nelle mani delle autorità russe. Senza nemmeno pensarci, il Journal ha subito creato una sezione dedicata al collega sul proprio sito, con aggiornamenti e notizie. Ha pure avviato un contatore per registrare il numero di giorni trascorsi dal suo arresto. Lo scorso ottobre, il capo-ufficio di Washington, Paul Beckett, era stato assegnato a tempo pieno al tema dei temi: Gershkovich.
L'iniziativa verosimilmente più impattante era stata organizzata per «celebrare» il primo anno di detenzione di Gershkovich. Il 29 marzo 2024, il Wall Street Journal è uscito con una prima pagina (in parte) vuota e un titolo eloquente: «La sua storia dovrebbe essere qui». Sua di Gershkovich, evidentemente. Quello spazio, finalmente, potrà essere riempito di parole. E reportage.