«Con i summit, Trump vuole solo smarcarsi. UE e Zelensky? Rimarranno con il cerino in mano»

Summit, bilaterali, trilaterali. Si susseguono gli incontri e si moltiplicano gli appuntamenti in agenda. Ma ancora non è chiaro, esattamente, che direzione stia prendendo - nei salotti americani ed europei - la discussione sulla guerra in Ucraina. Al di là delle tante parole, poco o nulla di concreto sembra essere emerso dai colloqui già avvenuti. Ma è davvero così? Con Paolo Capitini, generale dell'Esercito italiano ed esperto di scienze strategiche e storia militare, cerchiamo di andare a fondo di quanto è stato detto (e soprattutto non detto) in questi giorni concitati dal punto di vista diplomatico.
La manovra
Certo, il vertice andato in scena ieri a Washington non è un evento a sé stante: fa parte di un lungo processo che, idealmente, porterà alla pace in Ucraina. Ma forse, ci spiega Capitini, può anche essere inquadrato su un piano diverso. «Quanto osservato a Washington va collegato a un'unica manovra, avviata poco prima del vertice in Alaska. Definitosi, recentemente, deluso dal presidente russo Vladimir Putin, e disposto a imporgli sanzioni, improvvisamente Donald Trump cambia atteggiamento. E, dopo anni di gelo, invita l'omologo in territorio statunitense. Tutti l'abbiamo definito un vertice per l'Ucraina, ma quello andato in scena ad Anchorage non lo era. O meglio: non solo».
Le tempistiche serrate, la rapida organizzazione, «fanno pensare che Trump e Putin si siano offerti qualcosa a vicenda perché il vertice si concretizzasse così rapidamente. Annunci di meeting ce ne sono stati tanti, come mai questa volta è avvenuto?». Non sappiamo esattamente che cosa i due si siano detti in Alaska, dato che il grosso dell'incontro è avvenuto a porte chiuse. «Ma l'impressione», argomenta Capitini, «è che Trump abbia bisogno di smarcarsi dal problema ucraino al più presto possibile, ma non lo può fare senza l'appoggio di Putin stesso». In che senso? «Il presidente statunitense ha invitato Putin e ne ha raccolto le istanze, poi ha fatto altrettanto con Zelensky e gli europei. Ora la decisione - e con questa, tutta la pressione - sta nel campo di Zelensky. All'americano medio, Trump può ora dire di aver fatto tutto il possibile per risolvere la questione ucraina». Si tratta, secondo Capitini, di una «manovra sorprendentemente fine per gli standard di Trump, che ora può smarcarsi anche se la guerra in Ucraina continua. Di più: al contempo, ha fatto intendere ai Russi che Washington e Mosca possono continuare a fare affari indipendentemente dal conflitto. In questo senso, quanto andato in scena in Alaska - fra fanfare e tappeto rosso - rappresenta un taglio nettissimo con la posizione dell'Europa, che alla Russia non ha più nulla da dire, e viceversa». E Zelensky? E l'UE? «Loro rimangono con il cerino in mano.
Orizzonti bui
La guerra in Ucraina, continua Capitini, «è nata da due grossi equivoci. Il primo è quello di Putin, che pensava di poter riportare l'Ucraina al livello della Bielorussia», uno Stato satellite, «nel giro di pochi giorni, e invece dopo tre anni non è nemmeno riuscito a prendersi tutto il Donbass. L'altro è quello degli americani, che credevano di poter continuare all'infinito l'espansione della propria influenza, e così non è stato. Si tratta di due fallimenti che hanno portato grossi cambiamenti nel mondo». Il più importante, forse, in Europa, «che ha scoperto di non piacere poi così tanto agli Stati Uniti». La vittima di questi mutamenti «rischia di essere l'Ucraina», e Zelensky in particolare. «Se, nel firmare un accordo di pace, dovesse cedere parte del territorio ucraino, come verrà accolto da quella parte più nazionalista dell'esercito? L'ipotesi di un passaggio non proprio pacifico dallo stato di guerra a quello di pace in Ucraina è tutt'altro che azzardata».
Il leader di Kiev, intanto, parla di garanzie di sicurezza per il suo Paese e anche i leader europei hanno proposto l'implementazione di un accordo che si rifaccia all'articolo 5 della NATO: un sostegno assicurato, e più diretto, in caso di nuove invasioni. «Ma non è un'opzione verosimile. Mosca ha ormai fatto intendere di non volersi fermare finché l'Ucraina non sarà uno Stato amico, come lo è la Bielorussia. Putin non vuole l'Ucraina nella NATO e non accetterà nemmeno di vedere la NATO nell'Ucraina, con la declinazione dell'articolo 5 - l'essenza stessa del Patto atlantico - a misura di Kiev».
Sono condizioni, queste, difficili da accettare per l'Occidente, concede Capitini: «Rendere commestibile una narrativa di questo tipo non è facile ed è probabile possa avvenire solo di fronte a una vera e propria débâcle militare». Per ora, spiega l'esperto, l'esercito di Kiev resiste con una strategia "finlandese": perdendo sì, territori, ma a un ritmo e a un costo, per l'invasore, che sul lungo termine può scoraggiare ulteriori attacchi. «Ma una sconfitta seria farebbe crollare tutto, e allora Putin potrebbe dettare tutte le condizioni».
Questo, per tornare al discorso iniziale, spiega l'atteggiamento di Trump: «Ha fretta di andarsene prima che le cose finiscano male. Per ora può dire che la guerra in corso è la guerra di Biden. Ma se dovesse arrivare una vera sconfitta, la disfatta sarebbe degli Stati Uniti interi, con Trump alla presidenza. Non una bella pubblicità». E l'Europa, «culturalmente (ed erroneamente) abituata a pensare che basti pagare per risolvere i problemi, rimarrebbe senza soluzioni. All'Ucraina non servono soldi, servono soldati, che l'Europa non è in grado di fornire».
Una speranza per l'ONU
Tempi bui, insomma, per il Vecchio Continente. «Si può solo sperare che le cose vadano diversamente, che Putin accetti un cessate il fuoco e, chissà un contingente internazionale che garantisca la sicurezza». In questo scenario, Capitini vede risvolti positivi «per quella che, al momento, è un'altra vittima di questo conflitto, il diritto internazionale. Si potrebbe pensare all'ONU, come ente capace di organizzare una forza di interposizione che garantisca una separazione fra Russia e Ucraina». Un'iniziativa, questa che ridarebbe vitalità all'Organizzazione delle Nazioni Unite: «Il mondo con un ONU forte l'abbiamo vissuto. Ne abbiamo vissuto anche con un ONU debole, e non è bello. Ma un mondo senza ONU sarebbe decisamente peggiore. C'è bisogno assolutamente di un forum neutrale, di un'istituzione nella quale anche il debole possa farsi sentire. Questa potrebbe essere l'occasione per provare a rianimare questa organizzazione». Del resto, conclude Capitini, «ciò che è certo è che un processo di pace sarà lento: una forza internazionale garantirebbe il tempo, alla regione, per raffreddarsi».