L'approfondimento

Dazi e confusione: l’aviazione globale nella tempesta di Trump

La politica tariffaria del tycoon sta creando ritardi, incertezze e costi crescenti per Airbus, Boeing e le compagnie aeree mondiali
Marcello Pelizzari
12.04.2025 17:00

«Dai la cera, togli la cera». In un altro articolo, abbiamo ripescato la metafora del maestro Miyagi e di Karate Kid per illustrare – al meglio – la questione dazi. Donald Trump fa, Donald Trump disfa. Con tutte le conseguenze del caso. Reuters, al riguardo, parla di beni che, in questi ultimi mesi, si sono accumulati nei porti in attesa di essere smistati o, peggio, sono fermi in magazzino. Colpa, appunto, della politica tariffaria della Casa Bianca.

La situazione, venendo all’aviazione, è particolarmente pesante. Ne sa qualcosa fra le altre Ryanair, in attesa di una trentina di nuovi Boeing 737 MAX, mentre la domanda di voli da e per gli Stati Uniti sta iniziando a subire flessioni importanti. Le compagnie americane, sottolinea sempre Reuters, solitamente ordinano aeroplani e motori con largo anticipo. La confusione generatasi dopo il tira e molla del tycoon, ora, rischia di ritardare le consegne sia di nuovi velivoli sia dei motori che li alimentano. La catena di approvvigionamento, reduce da anni comunque complicati, caratterizzata da carenza di manodopera e blocchi produttivi, è messa a dura, durissima prova. Negli ultimi mesi, negli stabilimenti di Airbus a Montréal, in Canada, i dipendenti hanno lavorato su un Airbus A220 ordinato da Delta Air Lines. Ecco, il panorama tariffario è talmente mutevole che, ora come ora, nessuno sa se l'acquirente dovrà sopportare dazi del 25%. Tradotto: il vettore americano potrebbe cavarsela senza tariffe o, in alternativa, riconoscere al governo americano i dazi per tutte le parti del velivolo che non sono state prodotte negli Stati Uniti. Inciso: l’aeroplano verrà consegnato il prossimo giugno.

Storicamente, l’industria aerospaziale è sempre stata allergica ai dazi. Riformuliamo: se escludiamo i diciotto mesi di tariffe transatlantiche che, fra il 2020 e il 2021, hanno coinvolto Airbus e Boeing, il settore si regge su un trattato del 1979 che garantisce scambi a tariffa zero. Trattato che include gli Stati Uniti e il Canada. Il saliscendi trumpiano di questi giorni, per contro, fa capire quanto un singolo Airbus A220 potrebbe variare, a livello di prezzo. Di nuovo, con tutte le conseguenze del caso sia per il costruttore sia per le compagnie. In ultima istanza, i costi extra potrebbero essere scaricati sui clienti tramite un aumento dei biglietti.

Reuters, tornando all’aereo in questione, chiarisce il concetto: lo scorso febbraio, Trump ha minacciato dazi del 25% per tutti i beni importati da Canada e Messico. Il che, inevitabilmente, avrebbe alzato e di molto i costi per Delta, a maggior ragione se pensiamo che l’A220 costa circa 40 milioni di dollari. Poco prima che i dazi entrassero in vigore, tuttavia, il presidente statunitense ha annunciato un rinvio di trenta giorni. Quindi, ha spiegato che tutti i beni compresi nell’Accordo a tre fra Canada, Messico e Stati Uniti non sarebbero stati tassati. L’Accordo era stato proposto e poi firmato dallo stesso Trump, nel 2018, ed era entrato in vigore nel 2020. L’Airbus A220, secondo fonti vicine al dossier, sarebbe protetto da questo Accordo, ma la confusione è tale per cui Airbus ha convocato i dipendenti dello stabilimento canadese per ribadire che la politica tariffaria statunitense è in continua e costante evoluzione. E che, di riflesso, le cose potrebbero cambiare in fretta.

Di qui le tensioni fra i costruttori e le compagnie. Delta, fra le altre cose, mercoledì ha fatto sapere che, per evitare eventuali dazi, potrebbe ritardare le consegne previste. Tutto, insomma, pur di contenere i costi in un momento di rallentamento della domanda. «Non pagheremo alcun dazio sugli aerei destinati a Delta» ha dichiarato, con forza, l’amministratore delegato Ed Bastian. «Lo abbiamo fatto capire chiaramente ad Airbus». Alla fine del 2024, il vettore era in attesa di 43 aerei dal costruttore europeo. Molti dei quali, leggiamo, in provenienza da linee produttive al di fuori degli Stati Uniti. L’amministratore delegato di Airbus, Guillaume Faury, ha avvertito che, qualora la guerra commerciale non concedesse tregua, la priorità verrebbe data a clienti non americani.

Nel bailamme generale, quando mercoledì Trump ha annunciato una pausa di 90 giorni sui dazi il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha lasciato intendere che pure il Canada avrebbe «beneficiato» di una tariffa del 10% durante il periodo di sospensione. In seconda battuta, tuttavia, la Casa Bianca ha chiarito che, rispetto a Ottawa, non c’era alcun cambiamento in vista.

La confusione, conclude Reuters, ha ritardato se non bloccato alcune spedizioni di motori dalle unità produttive canadesi ai clienti americani. Il motivo? Le lungaggini burocratiche, fronte Airbus, per dimostrare che le parti rientrano nel citato Accordo (USMCA). La politica di Trump, ha ribadito Bastian mercoledì, ha creato un’incertezza «senza precedenti». «Spero che i nostri leader a Washington stiano prestando attenzione». Più che attenzione, tuttavia, forse ci vorrebbe chiarezza.