L'approfondimento

Donald Trump e l'annessione del Canada: realtà o retorica?

Le bordate dell'attuale presidente degli Stati Uniti non sono una novità assoluta – Dalla dottrina Monroe al Destino manifesto, passando per le parole di alcuni politici, in passato era già stata considerata un'«espansione a nord»
©Alex Brandon
Marcello Pelizzari
11.03.2025 22:00

Dazi su acciaio e alluminio al 50%. Non solo, un invito più o meno esplicito – l'ennesimo – a diventare «il cinquantunesimo Stato americano». Donald Trump non lascia. Anzi, raddoppia. Portando la guerra commerciale con il Canada a un nuovo livello, sebbene a stretto giro di posta abbia annunciato di «riconsiderare» il citato raddoppio dei dazi. Ma a colpire, sempre e comunque, è la retorica con cui il presidente statunitense rilancia, continuamente, quelle che potremmo etichettare come ambizioni espansionistiche di Washington. Di qui la domanda: al di là di alcuni riferimenti cinematografici, fra cui Operazione Canadian Bacondi cui abbiamo già parlato, e facendo astrazione della retorica trumpiana, ci sono agganci, lungo il corso della storia, che possano spiegare il comportamento e le azioni del tycoon? Sì. Proviamo, allora, a fare chiarezza.

La dottrina Monroe e il Destino manifesto

In un'intervista concessa al Corriere del Ticino, il capo corrispondente affari esteri del Wall Street Journal, Yaroslav Trofimov, ha parlato così di Trump: «La sua visione del mondo è fatta di imperi con le relative zone di influenza, una dottrina Monroe 2.0 che si traduce in un presunto diritto, per gli Stati Uniti, di prendersi Groenlandia, Canada, il Canale di Panama». Mattia Diletti, politologo dell'Università La Sapienza di Roma nonché autore di Divisi. Politica, società e conflitti nell’America del XXI secolo, sempre al Corriere del Ticino ha aggiunto: «Trump, fin dal suo discorso di insediamento come presidente il 20 gennaio, sta costruendo un immaginario imperiale. Ha citato la dottrina del Destino manifesto, quella che nell’Ottocento teorizzava le ragioni morali dell’espansione continentale degli Stati Uniti».

Per dottrina Monroe si intende un messaggio del presidente James Monroe contenuto nel discorso sullo stato dell'Unione pronunciato innanzi al Congresso il 2 dicembre 1823. Messaggio che, citiamo, esprime l'idea della supremazia statunitense nel continente americano. Di fatto, la dottrina Monroe annunciava al mondo che gli Stati Uniti erano decisi a preservare la propria integrità territoriale, in particolare contro le rivendicazioni sulla costa nordoccidentale del Pacifico, e che ogni possibile intervento europeo sarebbe stato (eufemismo) sgradito. L'Europa accolse con sdegno e una certa indifferenza le parole del presidente americano, anche perché gli Stati Uniti all'epoca erano ancora una potenza minore. La dottrina, puntuale, venne ripresa in occasione dell'annessione del Texas e in seguito alla guerra con il Messico. In tempi più recenti, invece, fu utilizzata per giustificare interventi militari e politici in America centrale e meridionale. 

Destino manifesto, analogamente, si riferisce a un'espressione per indicare la convinzione che gli Stati Uniti avessero, quale missione principale, quella di espandersi e diffondere democrazia e libertà. I sostenitori di questa teoria, nell'Ottocento, credevano che l'espansione americana non solo fosse buona, ma anche ovvia e inevitabile. L'espressione venne adoperata per promuovere e giustificare l'annessione di buona parte degli Stati occidentali. Tanto la dottrina Monroe quanto l'ideologia del Destino manifesto spinsero alcuni politici americani a immaginare, altresì, un'espansione verso nord, quindi verso l'attuale territorio del Canada, senza però accompagnare queste ambizioni a un'azione concreta. Parentesi: il Canada nacque nel 1867 quando alcune colonie britanniche si unirono per formare la Confederazione canadese e ottenne piena indipendenza dal Regno Unito nel 1931. 

Prima ancora, durante la guerra anglo-americana fra il 1812 e il 1815, gli Stati Uniti manifestarono chiaramente l'intenzione di annettere i territori del Canada, all'epoca ancora una colonia britannica, convinti che la popolazione canadese avrebbe accolto gli americani come liberatori. La resistenza canadese e britannica, tuttavia, fu particolarmente forte e dura, costringendo l'America a rivedere le proprie mire espansionistiche. 

Quella volta alla Camera dei Rappresentanti

Nel 1866 e, ancora, fra il 1870 e il 1871 le cosiddette incursioni feniane – effettuate dalla Fenian Brotherhood, un'organizzazione repubblicana irlandese con sede negli Stati Uniti, su fortificazioni militari, posti doganali e altri obiettivi in ​​Canada allo scopo di indebolire il governo britannico e spingere il Regno Unito fuori dall'Irlanda – crearono non pochi dissapori a cavallo del confine. In Canada, allora parte del Nordamerica britannico, crebbe infatti un forte sentimento antiamericano. E questo perché il governo statunitense fu piuttosto tollerante nei confronti dei feniani, che si incontravano e parlavano apertamente di incursioni in territorio statunitense. 

Poco prima del 1867, quando il Canada divenne una Confederazione, alcuni politici americani incoraggiarono le province canadesi a unirsi agli Stati Uniti piuttosto che formare una propria nazione. Il sentimento nazionalista canadese, per contro, stava crescendo sempre più e, alla fine, rese improbabile un'annessione volontaria. Fra i politici più inclini a un'annessione del Nordamerica britannico c'era Nathaniel P. Banks, nato Democratico ma passato al nascente Partito Repubblicano, il quale presentò pure una risoluzione ad hoc alla Camera dei Rappresentanti. Anche il segretario di Stato William H. Seward, passato alla storia per aver negoziato l'acquisto dell'Alaska con la Russia zarista, sostenne con forza l'espansione territoriale statunitense e manifestò un certo interesse per l'annessione del Canada. A mancare, in entrambi i casi, fu il sostegno politico interno. 

Il sasso e l'onda

Negli ultimi decenni, l'idea di un ingresso del Canada come cinquantunesimo Stato americano è emersa, in varie occasioni, sia in ambito accademico sia politico, in relazione spesso all'integrazione economica e alla sicurezza comune. Detto ciò, nessun presidente, Trump incluso, finora ha mai intrapreso un'azione concreta per annettere il Canada, al netto – dicevamo – della retorica utilizzata dall'attuale inquilino della Casa Bianca e di espressioni come «governatore Trudeau» per indicare l'oramai ex primo ministro canadese. Resta da capire, appunto, se a furia di lanciare il sasso nello stagno della geopolitica il tycoon finirà per scatenare una vera onda. Con tutte le conseguenze del caso.