«Dovremmo tutti avere paura: Trump sta creando la sua versione dei gulag»

«Dovremmo tutti avere molta, molta paura». I toni utilizzati da Erwin Chemerinsky, preside della facoltà di legge dell'Università della California, Berkeley, e da Laurence H. Tribe, professore emerito di diritto costituzionale ad Harvard, in un'opinione pubblicata ieri sul New York Times sono urgenti e preoccupati. Nell'articolo, scritto a quattro mani, i due esperti di diritto mettono sotto i riflettori il caso di Kilmar Armando Abrego Garcia, deportato dall'amministrazione Trump in El Salvador nonostante il suo status legale di residente negli Stati Uniti. Sommerso e nascosto dal caos dei dazi, il caso rischia di passare in sordina. Ma è di vitale importanza, sottolineano Chemerinsky e Tribe, per il futuro dei diritti democratici americani. Già, perché pur avendo riconosciuto di aver erroneamente imbarcato Abrego Garcia su un volo di deportazione, l'amministrazione Trump si rifiuta di rimediare, affermando di non avere il potere di richiedere il rinvio dell'uomo negli Stati Uniti. «Tra tutti gli atti illegali compiuti dal Governo nei suoi primi due mesi e mezzo di vita, nessuno è più spaventoso del fatto che abbia scaricato esseri umani – senza nemmeno passare da un tribunale – in un famigerato carcere di massima sicurezza in El Salvador, per poi sostenere che nessun tribunale federale ha l'autorità di riparare a questi sfacciati torti», hanno affermato i due. Cerchiamo di fare luce sul caso.
Il caso
Facciamo un passo indietro. Come si è arrivati a tutto ciò? Abrego Garcia è stato arrestato, lo scorso 12 marzo, dall'Immigration and Customs Enforcement (ICE), agenzia responsabile del controllo delle frontiere e dell'immigrazione, dopo aver completato un turno in un cantiere. Secondo i documenti del tribunale, ricostruisce in una cronologia la CNN, Abrego Garcia «è stato fermato con il figlio piccolo in macchina. Pochi minuti dopo, la moglie, Jennifer Vasquez Sura, si è precipitata sulla scena dopo essere stata avvertita da un funzionario del Dipartimento di Sicurezza Nazionale di recuperare il figlio o di affrontare i servizi sociali». Gli agenti, spiega l'emittente americana, hanno informato Vasquez Sura che lo «status di immigrato» – legale, appunto – del marito era cambiato e per questo sarebbe stato preso in custodia. Il 15 marzo, Abrego Garcia, nonostante una sentenza del 2019 che lo protegge dalla deportazione, è stato imbarcato su un volo e inviato al Centro di Confinamento per il Terrorismo (CECOT). Un carcere di massima sicurezza pensato per ospitare fino a 40 mila detenuti e destinato a membri di gang violente di El Salvador.
Il 24 marzo, la moglie ha presentato un affidavit in cui chiede che venga concesso al marito di tornare e il 4 aprile la giudice federale Paula Xinis, della Corte distrettuale statunitense del Maryland, ha ordinato all'amministrazione Trump di riportare Abrego Garcia negli Stati Uniti entro le 23:59 del 7 aprile. Nel suo parere, Xinis ha scritto che «non ci sono motivi legali di alcun tipo per il suo arresto, la sua detenzione o la sua rimozione. La sua detenzione appare del tutto illegale».
L'amministrazione Trump, pur avendo già riconosciuto che la deportazione dell'uomo è avvenuta a causa di un «errore amministrativo», ha impugnato la sentenza il giorno stesso, inviando il caso alla Corte d'Appello degli Stati Uniti per il Quarto Circuito. Il giorno della scadenza, poi, l'intervento della Corte Suprema, che sospende il del termine per la restituzione di Abrego Garcia da parte del tribunale di grado inferiore mentre la Corte Suprema stessa esamina il caso.
L'intervento sul NYT
I due esperti americani di diritto, appunto, hanno portato l'attenzione del pubblico sulla criticità del caso. «L'avvocato generale degli Stati Uniti John Sauer, in modo stupefacente, ha sostenuto che anche quando il governo ammette di aver erroneamente deportato qualcuno in El Salvador e di averlo imprigionato lì, i tribunali federali sono impotenti a fare qualcosa al riguardo. La Corte Suprema deve respingere immediatamente e con forza questa ingiustificata pretesa di potere illimitato, volta a privare le persone della libertà senza un giusto processo».
Nel loro intervento, i due hanno duramente criticato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt: «Ha risposto all'ordine della giudice Xinis dicendo che il giudice dovrebbe contattare il presidente di El Salvador perché "non siamo a conoscenza del fatto che il giudice abbia giurisdizione o autorità sul Paese"». Un suggerimento, quello che un giudice federale svolga il ruolo di un diplomatico, che i due accademici hanno definito «indegno di qualsiasi amministrazione presidenziale».
Secondo Chemerinsky e Tribe, se l'amministrazione Trump non ha agito per ottenere il rilascio di Abrego Garcia «il motivo può essere solo uno. Sta usando questo caso per avanzare un proposito agghiacciante: che nessuno impedisca all'amministrazione Trump di imprigionare chiunque voglia in qualsiasi altra parte del mondo». Nel memorandum inviato alla Corte Suprema, evidenziano i due, la Casa Bianca ha sostenuto che «l'unico rimedio a disposizione di una persona detenuta è un mandato di habeas corpus, un ordine del tribunale che impone alla persona detenuta di essere portata davanti al giudice per determinare se la detenzione è legittima. Ma l'amministrazione sostiene anche che i tribunali federali non hanno l'autorità di emettere tale mandato quando la persona è detenuta in un carcere straniero».
Se questa affermazione non fosse confutata, «nulla impedirebbe al governo di imprigionare i suoi critici in un altro Paese e poi sostenere, come fa ora, che i tribunali non hanno giurisdizione per rimediare alla situazione. Armato di questo potere, qualsiasi agenzia federale potrebbe arrestare chiunque, ignorare i requisiti per un giusto processo e spedirlo in El Salvador o in qualsiasi altro Paese che lo accetti. Questi individui non avrebbero alcun tipo di ricorso legale da parte di un tribunale americano». Quindi la stoccata: «Così l'amministrazione Trump può creare i propri gulag senza alcun controllo giudiziario, esattamente come faceva Stalin nell'Unione Sovietica».
Invitando i giudici della Corte Suprema a rispondere rapidamente alle domande emerse sul caso, i due hanno sottolineato: «Se il governo può far sparire chiunque desideri, gettarlo in una prigione salvadoregna e impedire a qualsiasi tribunale di questo Paese di fornire assistenza, dovremmo tutti avere molta, molta paura».