È stato un azzardo atterrare in Israele con l'Air Force One?
L'Air Force One, uno degli aerei più iconici (e costosi) al mondo, è balzato agli onori della cronaca in questi giorni. E il motivo è presto detto: la visita di Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, in Israele. Esporre l'aereo del commander in chief e, di riflesso, lo stesso Biden al possibile fuoco di Hamas ha rappresentato il classico rischio calcolato. Ma il minimo che si possa dire, come ha riportato Peter Baker del New York Times dopo essere stato a bordo del Boeing 747, è che quello nello Stato Ebraico non è stato un normale viaggio presidenziale.
Baker se n'è accorto quando, «da qualche parte sopra l'Atlantico», i responsabili della sicurezza hanno istruito i giornalisti al seguito. In particolare, su cosa fare in caso di un attacco missilistico. I responsabili, ha scritto il giornalista, hanno distribuito foglietti tascabili con indicazioni precise e puntuali. Dal suono di una sirena che indica, appunto, un possibile lancio di razzi di Hamas a un vero e proprio attacco mentre l'aereo del presidente è in pista. Non solo, i responsabili della sicurezza hanno previsto scenari anche lontano dall'aeromobile. Come un attacco al corteo di auto verso Tel Aviv, o all'albergo in cui Biden avrebbe poi incontrato i funzionari israeliani. Per la prima volta da quando segue le vicende della Casa Bianca e dei presidenti che si sono succeduti – ha ricordato Baker – si è tenuto un briefing di questa portata. Segno di quanto fosse incerto e imprevedibile, per certi versi, questo viaggio.
Normale, verrebbe da dire. Logico, anche. In fondo, il presidente stava raggiungendo un Paese in guerra, a bordo di un aereo reso celebre altresì da un film, Air Force One, in cui un gruppo di terroristi si impossessa del mezzo. Di più, l'arrivo era programmato in pieno giorno. In diretta televisiva. Con un atterraggio ritenuto critico, dato che l'aeroporto internazionale Ben Gurion è alla portata dei razzi di Hamas. Tant'è che molte compagnie commerciali, quasi tutte invero, hanno sospeso i voli da e per Israele. Compresa Swiss.
Il giorno prima dell'arrivo di Biden, a proposito di pericolosità dello scalo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz era stato portato in fretta e furia dal suo aereo in un rifugio poiché le sirene antiaeree avevano cominciato a suonare. I giornalisti al seguito, per contro, avevano ricevuto l'ordine di buttarsi a terra sull'asfalto. E di restare in quella posizione, sdraiati, finché non fosse passato il pericolo. Un destino simile era toccato pure al segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, durante un incontro con Benjamin Netanyahu.
A complicare il quadro, evidentemente, il fatto che prima della partenza fosse stato colpito l'ospedale Al-Ahli di Gaza. Subito, Hamas ha incolpato Israele di quanto accaduto. Scatenando reazioni veementi e furiose in tutto il Medio Oriente. E modificando, di riflesso, la seconda parte del viaggio di Biden, che prevedeva una sosta in Giordania per incontrare – fra gli altri – Abu Mazen, leader dell'Autorità nazionale palestinese che, tuttavia, ha deciso di annullare il colloquio. L'Air Force One si trovava già sulla pista della Joint Base Andrews, nel Maryland, pronto a partire. Quando, appunto, l'itinerario è improvvisamente cambiato.
Il primo a volare verso un Paese in tempo di guerra fu Franklin Delano Roosevelt, durante la Seconda guerra mondiale, quando si recò a Casablanca. Nessuno venne informato fino ad atterraggio avvenuto. I giornalisti, all'epoca, credevano che il presidente fosse diretto alla sua casa di Hyde Park, a New York, di certo non in Marocco (sotto protettorato francese). Un precedente, questo, che fece scuola: George W. Bush e Barack Obama, infatti, si recarono in Afghanistan e Iraq in gran segreto, senza annunciare anticipatamente i loro piani. E i loro soggiorni furono brevi, anzi brevissimi. Di più, confinati nelle basi militari americane. Biden, dal canto suo, aveva già assaporato il rischio andando in Ucraina. Ovvero, al di fuori della (relativa) sicurezza data da una presenza americana. Anche quel viaggio, per contro, fu avvolto da una totale segretezza. Ad accompagnare il presidente nel suo viaggio di nove ore in treno, verso Kiev, c'erano solo una manciata di assistenti, guardie di sicurezza e due giornalisti.
Perché, allora, a questo giro la Casa Bianca ha annunciato con largo anticipo il viaggio del commander in chief? L'ufficio di Netanyahu, in Israele, ha perfino pubblicato dettagli sul programma. Baker, il giornalista del New York Times al seguito, ha spiegato che il briefing a bordo è stato surreale. «Ci è stato detto che se avessimo sentito una sirena antiaerea, chiamata azaka in Israele per indicare l'allarme, avremmo avuto circa un minuto prima dell'eventuale impatto». Ma le istruzioni ricevute coprivano, come detto, una serie di possibili eventi. Se la sirena fosse suonata mentre i giornalisti si trovavano all'hotel di Tel Aviv sede dell'incontro con Netanyahu, ad esempio, «avremmo dovuto trovare rifugio in una stanza sicura nell'edificio, chiamata mamad». Di nuovo: «Se ci fossimo separati dal gruppo del presidente o se l'Air Force One fosse decollato senza di noi, il foglietto consegnatoci conteneva dei numeri di telefono da chiamare».
La visita di Biden, alla fine, si è svolta senza problemi. E senza che il programma venisse disturbato dal suono delle sirene. Il viaggio, ha concluso Baker, si è arricchito di un'altra sorpresa al rientro. Con Biden che, novità assoluta, si è palesato in cabina per parlare con i giornalisti. Durante la chiacchierata, il presidente ha riconosciuto che questa toccata e fuga in Israele è stata un azzardo, quantomeno dal punto di vista politico. Ma, parola del commander in chief, «ho pensato che valesse la pena di rischiare».
Detto che l'attuale Air Force One è un Boeing 747, l'aereo del presidente dispone ovviamente di modifiche operative che ne aumentano la sicurezza. Il velivolo, ad esempio, può ricevere carburante direttamente in volo. Ed è dotato altresì di contromisure contro i missili antiaerei, oltre a contromisure elettroniche per disturbare i radar nemici. Abbastanza, insomma, per azzardare un atterraggio a Tel Aviv.