Ecco perché la sindrome di Kessler preoccupa gli USA
Che paura la «sindrome di Kessler». No, cari ipocondriaci, non preoccupatevi: non ne siete affetti. Non si tratta infatti di una malattia dell'uomo, ma di una dello spazio. Nel 1978 il consulente della NASA Donald J. Kessler ipotizzò che, con il continuo aumento del volume di detriti spaziali orbitanti attorno alla Terra, la vita per satelliti e shuttle sarebbe presto diventata ben più complicata. Impossibile, ad essere precisi. Stadi di razzi vuoti, schegge di vernice, dadi e bulloni, ferraglia varia. La cosiddetta «spazzatura spaziale», entrando più volte in collisione con altri oggetti, corre sempre più il rischio di causare una reazione a catena in grado di devastare, impatto dopo impatto, gli strumenti mandati in orbita dall'uomo. Rendendo lo spazio attorno al nostro pianeta un vero e proprio campo minato. Chi ha visto Gravity, film del 2013 di Alfonso Cuarón con protagonisti Sandra Bullock e George Clooney, se ne sarà fatto un'idea, per quanto ovviamente non accurata al 100% dal punto di vista scientifico.
La preoccupazione dell'ESA
Secondo l'ultimo rapporto annuale sullo stato dell'ambiente spaziale stilato dall'Agenzia spaziale europea (ESA), al momento oltre 30 mila detriti spaziali sono stati catalogati e vengono monitorati regolarmente al fine di evitare collisioni con la strumentazione ancora attiva. Ma è solo la punta dell'iceberg. I modelli statistici stimano che a ruotare attorno al nostro pianeta potrebbero esserci già più di un milione di frammenti superiore al centimetro. E quelli al di sotto di questa misura? Difficili da contare. E pericolosissimi, quando anche una singola scheggia di vernice può trapassare le parti più sensibili di un veicolo spaziale.


Il continuo aumento di questa «spazzatura spaziale» preoccupa, e non poco, l'ESA. Che nel suo rapporto ha sottolineato: «Oggi siamo più responsabili nella gestione di ciò che lanciamo, ma i nostri sforzi non sono sufficienti». Senza un cambiamento significativo nei metodi di smaltimento della strumentazione obsoleta, «il numero di collisioni catastrofiche nello spazio rischia di aumentare. Ciò potrebbe portare all'avverarsi della sindrome di Kessler».
Washington dice basta ai test anti-satellite
Se l'Europa è in pensiero, gli Stati uniti di certo non gioiscono all'idea del possibile avvicinarsi di questa terribile reazione a catena. Anzi. Proprietari di oltre la metà di tutti i satelliti attualmente attivi nello spazio, gli americani sono coloro che hanno più da perdere nel caso questa sindrome divenisse realtà. Per questo la scorsa settimana la vicepresidente Kamala Harris, in un discorso dalla base aerea di Vandenberg, California, ha annunciato che Washington non condurrà più i famosi test anti-satellite. Nel novembre del 2021, lo ricorderete, la Russia aveva condotto un test missilistico terra-spazio nel corso del quale aveva abbattuto un proprio satellite. Un'azione che aveva scatenato le critiche internazionali per la quantità di frammenti prodotti a una distanza dalla Terra particolarmente trafficata. Settimana scorsa, dicevamo, Harris ha detto «stop» ai test di simili armi: «Sono pericolosi e non li condurremo più».
Ma Russia e Stati Uniti non sono gli unici a testare questo genere di missili. Cina e India hanno messo alla prova le proprie armi anti-satellite rispettivamente nel 2007 e 2019. Washington, ha dunque sottolineato Kamala Harris, spera che questi Paesi decidano presto di imitare il passo intrapreso dagli Stati Uniti.
Anche perché, per chi proprio non riesce a fare a meno di abbattere satelliti, c'è una scappatoia: il divieto autoimposto dall'America riguarda solo i test «distruttivi». Ma ci sono altri modi per neutralizzare questi strumenti, come l'accecamento tramite il danneggiamento delle lenti (nel caso parlassimo di satelliti-spia) o la creazione di interferenze che ne impediscano la comunicazione e il corretto funzionamento.

Lo zampino di Musk
Ma non servono armi per creare spazzatura spaziale. Più satelliti significa più possibilità di creare rottami. E più rottami portano a più impatti che creano nuovi detriti. Negli ultimi anni si è assistito a un enorme aumento del numero di satelliti commerciali lanciati in orbita. Dal 2018 a oggi SpaceX (la ditta spaziale di Elon Musk) con il programma Starlink ne ha portati in orbita oltre duemila, e progetta di raggiungere presto quota 12.000. Insomma, più satelliti di quanti ne siano stati lanciati dall'inizio dell'era spaziale sin qui. Fortunatamente, l'azienda del miliardario ha fatto passi da gigante anche nella tecnologia applicata ai razzi che trasportano in orbita questa strumentazione. Gli strumenti di lancio utilizzati da Elon Musk, i Falcon 9, sono infatti parzialmente «riciclabili». Il primo stadio di tali razzi può essere riportato sulla Terra ed essere riutilizzato. Un modo insomma per lasciare meno briciole dopo il proprio passaggio: non la soluzione definitiva, ma una passo nella giusta direzione.