I dazi? «È l'inizio della liberazione dell'America»

Donald Trump ha colpito duro le auto straniere importate negli Stati Uniti, imponendo una tassa del 25% «permanente» a partire dal 2 aprile: il giorno della «liberazione dell'America» come l'ha definito il presidente, quando scatteranno anche i dazi reciproci nei confronti di 15 Paesi.
Per il tycoon la mossa servirà a stimolare la produzione nazionale e incoraggerà i produttori di automobili a investire negli USA, ma rischia di mettere a dura prova le finanze delle case automobilistiche che dipendono dalle catene di forniture globali (traducendosi pure in costi più elevati per i consumatori americani). I mercati hanno reagito male: Wall Street ha chiuso in rosso ancora prima dell'annuncio ufficiale ed è calata ulteriormente dopo, mentre la maggior parte delle azioni delle case automobilistiche hanno lasciato sul terreno circa il 2-3%, da General Motors a Stellantis.
La misura del presidente americano potrebbe anche innescare ulteriori scontri commerciali, con l'Unione europea ma anche con Giappone e Corea del Sud. Quasi la metà di tutti i veicoli venduti negli Stati Uniti, infatti, sono importati come è d'importazione quasi il 60% delle parti dei veicoli assemblati.
Trump si è detto sicuro che queste misure favoriranno il ritorno della produzione di auto negli Stati Uniti – «molte aziende stanno già cercando dei siti» – e ha negato che siano un favore a Elon Musk, le cui Tesla sono già fabbricate in impianti americani. »Non mi ha mai chiesto nulla«, ha risposto il presidente incalzato dalle domande dei giornalisti nello Studio Ovale. Lo stesso Musk ha voluto precisare, su X, che le tariffe aggiuntive sulle automobili annunciate avranno un impatto «significativo» sui costi di produzione delle Tesla: «Per essere chiari, questo inciderà sul prezzo dei pezzi di ricambio per auto Tesla che provengono da altri paesi. L'impatto sui costi non è insignificante».
I dazi saranno «permanenti», «si aggiungeranno a quelli esistenti» ed entreranno in vigore il 2 aprile. Il «Liberation day», quando saranno annunciate le tariffe reciproche ai «dirty 15», ossia ai 15 Paesi con cui gli USA hanno il peggior squilibrio commerciale, tra cui Paesi dell'UE. Il tycoon ha sostenuto che da queste misure gli Stati Uniti guadagneranno dai 600 milioni a un trilione in due anni.
Le reazioni
La Commissione europea sostiene che le tariffe si aggireranno attorno al «20%» e colpiranno tutti i 27 Paesi del blocco. Ma una tariffa del 20% sulle importazioni dall'UE sarebbe «devastante». L'Europa ha già stilato un pacchetto da 26 miliardi di euro di dazi che si applicheranno dal 12 aprile. Alcune delle tariffe sono state posticipate al 1. aprile per timore di una risposta ancora più dura da parte di Washington. La Francia, ad esempio, ha convinto Bruxelles a rinviare l'imposizione del 50% sul bourbon dopo che Trump ha dichiarato che in cambio avrebbe colpito champagne e vino con dazi del 200%.
Ursula von der Leyen si è detta «profondamente rammaricata per la decisione degli Stati Uniti di imporre dazi sulle esportazioni automobilistiche dell'UE»: «Le tariffe sono tasse, dannose per le aziende, peggiori per i consumatori». Il premier Mark Carney ha definito i dazi sulle auto «un attacco diretto» al Canada.
Per il sindacato United Automobile Workers, la decisione di Trump «segnala un ritorno a politiche che danno priorità ai lavoratori che costruiscono questo Paese, piuttosto che all'avidità di aziende spietate». Shawn Fain, il presidente del potente sindacato che si era schierato al fianco di Kamala Harris in campagna elettorale, ha detto che «l'amministrazione Trump ha fatto la storia con le azioni di oggi» ma ha anche messo in guardia contro qualsiasi tentativo da parte dell'amministrazione di «indebolire i diritti dei lavoratori, tagliare i benefici della previdenza sociale o Medicare e Medicaid».
Ford, GM e Stellantis, tramite un comunicato dell'associazione professionale dei costruttori americani (AAPC), fanno sapere che è «cruciale» che i dazi non facciano «aumentare i prezzi per i consumatori». I tre principali gruppi automobilistici hanno dichiarato che continueranno a lavorare con il governo per sviluppare «politiche sostenibili che aiutino gli americani», ma chiedono che venga preservata la «competitività» della produzione automobilistica «nordamericana», che include anche Canada e Messico.
Il Giappone ha allo studio «contromisure appropriate», ha detto il premier nipponico Shigeru Ishiba, interrogato dai media locali, spiegando che Tokyo sta considerando «tutte le opzioni disponibili». Secondo le stime del National Graduate Institute for Policy Studies (Grips), un ente governativo nipponico, tariffe del 25% sulle importazioni dal Messico e dal Canada ridurrebbero le esportazioni annuali di auto giapponesi del Messico verso gli Stati Uniti di 65,5 miliardi di dollari, e quelle del Canada di 43,3 miliardi di dollari. Intanto la reazione sul mercato non si è fatta attendere: all'apertura delle contrattazioni alla Borsa di Tokyo, il titolo della Toyota ha segnato un meno 3,7%, Honda e Nissan hanno lasciato sul terreno oltre il 3% e la Mitsubishi quasi il 4%.
L'applicazione dei dazi decisa dall'amministrazione Trump sulle importazioni di auto negli Stati Uniti è «estremamente spiacevole» e potrebbe avere un «grande impatto sui legami economici bilaterali con il Giappone, sull'economia globale e sul sistema commerciale multilaterale», ha ribadito il portavoce del governo nipponico Yoshimasa Hayashi, aggiungendo che Tokyo continuerà a cercare una via per un'esenzione. Durante una recente visita a Washington, Ishiba aveva chiesto che il Paese fosse esentato dai dazi sulle auto, citando gli investimenti dei maggiori produttori di auto negli Stati Uniti, ma gli sforzi per ottenere un trattamento preferenziale sono stati apparentemente vani, fa notare la stampa nipponica.
Il Brasile «non può stare fermo». Da Tokyo, dove è in visita di Stato, il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha detto ai giornalisti che il suo Paese non rimarrà a guardare: «Non possiamo restare fermi credendo che solo loro abbiano ragione e che solo loro possano tassare altri prodotti», ha precisato Lula aggiungendo che «saranno prese misure adeguare nell'ottica di un esito positivo per il Brasile».
La Cina rigetta l'offerta del presidente americano Donald Trump di concessioni sul fronte dei dazi in cambio del via libera di Pechino alla vendita di TikTok. È quanto ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun, secondo cui «i nuovi dazi Usa sulle auto importate violano le regole dell'Organizzazione del commercio (Wto) e minacciano il sistema del commercio basato sulle regole». La posizione di Pechino è «consistente e chiara»: le tariffe «non aiuteranno gli Stati Uniti a risolvere i suoi problemi» e «le guerre commerciali non avranno alcun vincitore», ha aggiunto Guo.
L'Acea, l'associazione europea dell'industria delle auto, si dice «profondamente preoccupata». «Esortiamo il presidente Trump a considerare l'impatto negativo dei dazi non solo sui produttori di auto globali, ma anche sulla produzione nazionale statunitense. I dazi non incideranno solo sulle importazioni negli Stati Uniti, una penalizzazione che probabilmente pagheranno i consumatori americani, ma le misure sui componenti automobilistici danneggeranno anche le case automobilistiche che producono auto negli Usa», ha sottolineato il direttore generale dell'Acea Sigrid De Vries.