I russi e le informazioni sulla guerra, una questione di censura e sfumature
Alcuni coraggiosi manifestanti russi sono scesi in piazza a Mosca e a San Pietroburgo, l’attivista Lev Ponomaryov ha avviato una petizione online contro la guerra, ieri Alexey Navalny ha lanciato su Twitter un appello di protesta. L’ultimo discorso di Putin sembra più un attacco all’Occidente che un attacco all’Ucraina.
Un articolo apparso per errore sul sito dell’agenzia RIA Novosti, con data 26 febbraio, celebrava in anticipo una vittoria della Russia e la caduta dell’Ucraina. L’articolo, dapprima pubblicato e poi cancellato, è stato salvato su web.archive da Thomas de Waal, esperto di Europa dell’est e Caucaso, senior fellow di Carnegie Europe. Il tema principale della pubblicazione era evidenziare come quella che veniva chiamata «operazione militare » rappresentasse una sconfitta per il piano occidentale e come Putin abbia colto la sua occasione di riportare l’Ucraina verso la sua storica unione con Russia e Bielorussia.
La tv come mezzo principale
Molto si sa della comunicazione in Ucraina, anche perché ultimamente si consultano spessissimo i media locali. Ma qual è, invece, il ruolo dell’informazione in Russia? Si tratta di un tema molto interessante e sicuramente poco trattato, ma di assoluta rilevanza nella comprensione dei contesti.
Uno spunto utile parte da una serie di tweet di J. Paul Goode, professore all’Istituto di studi europei, russi ed euroasiatici presso la Carleton University e redattore del giornale «Communist and Post Communist Studies» edito dall’Università della California. La ricerca di Goode esamina il nazionalismo quotidiano e la legittimazione nei regimi autoritari, con focus particolare sulla Russia e sugli Stati post-sovietici. Nella sua serie di tweet, Goode analizza cinque canali della televisione russa, intesa dall’analista come «mezzo principale con cui la maggior parte dei russi riceve le notizie». L’analisi dei canali va dal 13 dicembre al 27 febbraio. Goode spiega come la mobilitazione dei media russi segua gli schemi usati nelle precedenti guerre russe, dove le informazioni vengono utilizzate in maniera strumentale per giustificare le azioni militari. Chiaramente Goode dice che non vengono utilizzati termini come «guerra» o «invasione», ma si utilizzano concetti come «operazione speciale». Uno degli altri termini maggiormente utilizzati sembra essere «sicurezza», che appare collegato con la parola «Ucraina». Gli Stati Uniti e la Nato risultano menzionati più volte, più o meno lo stesso numero di volte. La menzione degli Stati Uniti è equiparabile alla menzione di Putin. L’attenzione che coinvolgeva dapprima solo USA e NATO, si è spostata solo a febbraio sull’Ucraina.
Un’unica narrativa
Abbiamo quindi chiesto informazioni sulla comunicazione nei media russi a Luca Lovisolo, ricercatore indipendente in relazioni internazionali, autore del libro Il progetto della Russia su di noi. Lovisolo, che parla correntemente la lingua, ci dice che le traduzioni nelle lingue occidentali nei canali russi sono edulcorate per un pubblico occidentale.
Secondo lui, «le differenze sono nelle parole o nella sintassi, in un modo di porre le cose in maniera più soft rispetto all’originale». Ma cosa vedono i russi sui media? «Il primo dato è che tutti i media russi sono organizzati su un’unica narrativa. Perciò i russi che aprono un giornale, che accendono la radio o che guardano la televisione, non importa quale canale, sentono le stesse cose con minime varianti. Gli unici canali che forniscono informazioni libere sono pochi ». Tra i pochi media liberi, Lovisolo ci segnala Novaja Gazieta e Radio Svoboda. Altri, come Echo of Moscow o TV Rain, sono stati chiusi. Però, i canali liberi «hanno comunque una diffusione minima o sono diffusi solo presso un pubblico acculturato». Dobbiamo partire dal presupposto che questi canali arrivano «a persone che parlano inglese o che hanno libero accesso a una VPN. Quindi non pesano, sostanzialmente, nell’insieme della formazione dell’opinione pubblica». Anche l’accesso a Facebook è limitato. Certo esistono VKontakte, social network russo, e Yandex, motore di ricerca russo, ma restano «piattaforme totalmente sotto controllo governativo ». Tutti i media russi definiscono la guerra in Ucrai-na come «un’operazione militare speciale a sostegno delle repubbliche di Donetsk e Lugansk ». A tutti i media, dice Lovisolo, è stato imposto di non utilizzare le parole «guerra» e «invasione». Altre due parole che ritornano frequentemente nella narrazione sono “denazificazione” e “demilitarizzazione” dell’Ucraina. «Denazificare, demilitarizzare, via i nazisti: è una chiara strategia di comunicazione». E su questo punto, Lovisolo ci dice: «Il significato che i russi danno alla parola nazista e alla parola fascista, spesso usate come sinonimi, non è quello che gli diamo noi. Nella mentalità russa la parola nazista sta per nazionalista. Un nazionalismo contrario alla Russia». E questo «ha una duplice funzione: quella di suscitare orrore di un’aggressione alla Russia e intanto ricordare soprattutto ai più anziani l’idea della lotta contro il nazismo di Stalin e la liberazione di Berlino».
In più, «secondo la narrazione, l’esercito russo non colpisce civili». Questo, secondo Lovisolo, «è un elemento essenziale della propaganda perché deve rassicurare i russi sul fatto che il loro Paese non bombarda le persone». Quindi, in pratica, «questa invasione è stata falsamente venduta ai russi e a noi come un’invasione del Donbass per liberare gli ucraini di lingua russa». Un altro problema - questo anche nostro - è che «in Occidente facciamo un’equazione sbagliata: quella di pensare che gli ucraini di lingua russa siano anche filo-russi». Ma non è una cosa corretta: «Ci sono ucraini di lingua russa. Una parte minoritaria degli ucraini di lingua russa guarda con simpatia alla Russia, ma questo non vuol dire che vogliano annettersi alla Russia». Il problema, sottolinea Lovisolo, è «l’equivoco di considerare come filo-russi degli ucraini di lingua russa. I fatti di questi giorni ce lo stanno dimostrando».