L'analisi

La Cina e gli altri, ecco come il mondo sta reagendo ai dazi di Trump

Pechino ha annunciato contromisure doganali del 34% su tutti i prodotti statunitensi mentre il Lesotho, come la Svizzera, intende promuovere il dialogo – E c'è chi chiama in causa l'OMC
© AP/KITH SEREY
Marcello Pelizzari
04.04.2025 16:15

Quando eravamo studenti, la terza legge di Newton assomigliava a una filastrocca. Da imparare e ripetere fino allo sfinimento. Riassumendo al massimo, faceva più o meno così: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Con i dazi annunciati da Donald Trump, più o meno, sta succedendo la stessa cosa. Detto che la Svizzera, alla scure del tycoonal momento sembrerebbe favorire e prediligere il dialogo, altri Paesi hanno reagito, con forza, alle percentuali urlate dal presidente degli Stati Uniti. I partner degli americani, a caldo, d'altro canto non hanno usato giri di parole. C'è chi, ad esempio, ha parlato di un vero e proprio atto di guerra economica. Il presidente francese Emmanuel Macron, fra gli altri, ha denunciato una «decisione brutale e infondata» mentre il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, ha condannato un ritorno «al protezionismo». Un modo tutto fuorché intelligente, a suo dire, per affrontare «le sfide del ventunesimo secolo». 

L'annuncio di Pechino

La Cina, Paese in cima alla lista dell'amministrazione Trump, proprio oggi ha annunciato che imporrà dazi doganali del 34% su tutti i prodotti statunitensi a partire dal prossimo 10 aprile, secondo quanto comunicato dal Ministero del Commercio cinese, «in aggiunta all'aliquota dei dazi doganali attualmente applicabili». Non solo, Pechino imporrà altresì controlli sulle esportazioni di sette articoli «correlati alle terre rare». Nel dettaglio: «In conformità con la legge sul controllo delle esportazioni della Repubblica Popolare Cinese e altre leggi e normative pertinenti, il 4 aprile il Ministero del Commercio, insieme all'Amministrazione generale delle dogane, ha emesso un annuncio sull'attuazione di misure di controllo delle esportazioni su sette tipi di articoli medi e pesanti correlati alle terre rare, tra cui samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio, ed è stato ufficialmente implementato nella data di emissione». Il gadolinio viene comunemente utilizzato nelle risonanze magnetiche, mentre l'ittrio è impiegato nell'elettronica di consumo.

L'Unione Europea e il Canada

Se è vero che l'Unione Europea ha detto, e ribadito, che non è mai troppo tardi per negoziare, Bruxelles sta preparando pacchetti contenenti diverse misure di ritorsione. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al riguardo è stata chiarissima: «Stiamo già ultimando il primo pacchetto di contromisure in risposta alle tariffe sull’acciaio, e ora ci prepariamo a ulteriori contromisure per proteggere i nostri interessi e le nostre attività, qualora i negoziati fallissero - ha ripetuto von der Leyen - Osserveremo attentamente anche quali effetti indiretti potrebbero avere queste tariffe, perché non possiamo assorbire la sovracapacità globale, né accetteremo il dumping sui nostri mercati. Come europei, promuoveremo e difenderemo sempre i nostri interessi e i nostri valori e ci schiereremo sempre per l’Europa. Ma esiste un percorso alternativo. Non è troppo tardi per affrontare le preoccupazioni attraverso i negoziati. Ecco perché il nostro commissario al commercio, Maros Sefcovic, è costantemente impegnato con i suoi omologhi statunitensi: lavoreremo per ridurre le barriere, non per aumentarle. L’Europa sarà al fianco di chi sarà colpito dai dazi USA. Convocheremo dialoghi strategici con i settori siderurgico, automobilistico e farmaceutico. E altri seguiranno».

Il Canada, uno dei bersagli preferiti di Donald Trump, per sua fortuna non è stato oggetto di nuovi dazi mercoledì. Eppure, il Paese nordamericano sta comunque pagando un prezzo sempre più alto nella guerra commerciale lanciata da Washington, con sovrapprezzi che stanno già colpendo alcune delle sue esportazioni. Ottawa, nel frattempo, ha annunciato che tasserà alcune auto americane in risposta alle imposte aggiuntive del 25% annunciate da Washington sulle auto prodotte all'estero, entrate in vigore giovedì mattina.

Il Lesotho come la Svizzera

Al pari della Svizzera, altri Paesi confidano che l'uso della diplomazia possa persuadere Trump a rimangiarsi quanto annunciato. Il Lesotho, piccolissimo regno africano senza sbocchi sul mare e ritrovatosi con dazi del 50%, giovedì ha annunciato l'invio di una delegazione governativa negli Stati Uniti nella speranza, mettiamola così, di uno sconto. La Confederazione, soggetta a misure del 31%, ha scelto come detto di non inasprire i toni. «Per il momento, il Governo non prevede alcuna contromisura» ha spiegato, ieri in conferenza stampa, Karin Keller-Sutter. Riferendosi alla formula adottata da Washington, la presidente della Confederazione ha ammesso: «È un calcolo puramente meccanico che il Governo capisce solo in parte». La Svizzera, in particolare, ha criticato la scelta americana di allontanarsi dai principi del libero mercato e di un commercio basato su regole chiare. «Analizzeremo nel dettaglio le conseguenze, ma non crediamo che un’escalation sia nell’interesse del nostro Paese e dell’economia globale». Guy Parmelin, dal canto suo, ha promesso che si recherà a Washington «molto presto». 

Un invito alla moderazione, d'altro canto, è arrivato anche dalla Germania, con Berlino che ha dichiarato di sostenere l'Unione Europea nella ricerca di una soluzione «negoziata» mentre l'Italia intende «aprire una discussione franca nel merito con gli americani» per «eliminare i dazi doganali, non moltiplicarli» secondo quanto annunciato dalla premier Giorgia Meloni.

Così in Asia

Reazioni miste in Asia. La Cambogia, duramente colpita, auspica di poter dialogare e negoziare con Washington attraverso meccanismi esistenti, come l'ASEAN – associazione che raggruppa dieci Paesi del Sudest asiatico – e l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La Thailandia, dal canto suo, è pronta a rispondere ai dazi doganali imposti dall'America (36%) ma, prima, cercherà la via del negoziato. 

«OMC pensaci tu»

Federico Fubini, nel suo editoriale sul Corriere della Sera, ha definito in questi termini la guerra commerciale scatenata da Trump: «È la fine di un’idea collettiva di Occidente, la chiusura dell’America in se stessa, la ritirata di una globalizzazione creata da Washington e Wall Street a loro immagine». Il concetto di pace condivisa, e prosperosa, da raggiungere e mantenere proprio attraverso il commercio, insomma, è stata pensionata dal tycoon. L'obiettivo nell'obiettivo, visto da Washington, è accedere – finalmente – al lucroso mercato comune europeo. Più facile a dirsi che a farsi, al momento, viste le barriere d'ingresso. In particolare per la carne.

Nonostante ciò, e al netto del mondo multipolare che potremmo ritrovarci, alcuni Paesi si sono apertamente schierati a favore dell'attuale ordine mondiale: «Difendiamo il multilateralismo e il libero commercio e risponderemo a qualsiasi tentativo di imporre un protezionismo che non ha più posto nel mondo» ha dichiarato il leader brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. I ministeri degli Esteri e dell'Industria del Paese sudamericano si sono inoltre impegnati a valutare «tutte le possibili azioni per garantire la reciprocità nel commercio bilaterale, compreso il ricorso all'Organizzazione mondiale del commercio». Un passo che Pechino ha dichiarato di aver compiuto venerdì: «La Cina ha presentato un reclamo nell'ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie dell'OMC». Lo stesso dicasi per il Giappone, con il portavoce del governo che ha definito le nuove tariffe statunitensi «estremamente deplorevoli». Non solo, Tokyo nutre «serie preoccupazioni» circa la loro conformità con le regole dell'OMC e con l'accordo commerciale bilaterale USA-Giappone.