Il caso

La Cina, ma non solo: la minaccia cyber passa anche dalle automobili

I software presenti sui veicoli moderni, proprio come quelli dei nostri smartphone, sono esposti all'hackeraggio: come stanno reagendo le autorità e il settore?
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Red. Online
21.12.2024 22:00

Un tempo, le automobili erano «solo» carrozzeria e meccanica. Oggi, invece, sono sempre più connesse a Internet. Di più, come i nostri smartphone anche i veicoli moderni necessitano di aggiornamenti di software o, allargando il campo, gestiscono una discreta quantità di dati. Il risultato? Pure l'industria automobilistica è esposta alla vasta, vastissima gamma di minacce informatiche. Al punto che, fra le altre cose, c'è chi si chiede: e se qualcuno si impossessasse, da remoto, della mia macchina? 

Il problema, di per sé, non è nuovo. Tuttavia, come sottolinea il quotidiano economico francese La Tribune, le preoccupazioni del settore, ma anche dei singoli governi, stanno crescendo a dismisura. E questo perché i sistemi di guida autonoma, semi-autonoma o di assistenza alla guida – per tacere degli assistenti vocali dotati di intelligenza artificiale – sono oramai realtà. Da tempo, in alcuni casi. In America, in particolare, le autorità temono che un'automobile possa trasformarsi, o meglio essere trasformata, in una macchina per uccidere. Nel 2015, in questo senso, due ricercatori erano riusciti ad hackerare una Jeep Cherokee. Arrivando perfino a interrompere la trasmissione del veicolo in autostrada grazie a una vulnerabilità dell'operatore telefonico Sprint. Incredibile, ma vero. L'episodio, evidentemente, aveva avuto una vasta eco sui media e, politicamente parlando, in Senato. 

Le preoccupazioni statunitensi, leggiamo, sono legate a doppio filo alla crescita, per certi versi clamorosa, dei marchi cinesi. Non a caso, lo scorso settembre l'amministrazione Biden ha annunciato l'intenzione di voler vietare l'ingresso nel Paese di tutte la automobili dotate di software e terminali made in China. Il motivo? Rischi, elevati, per la sicurezza nazionale. Detto in altri termini, Washington ha intravisto una minaccia reale: Pechino, tramite questi software e terminali, volendo potrebbe raccogliere dati sensibili e, addirittura, manipolare questi veicoli sulle strade americane. Gli Stati Uniti, a suo tempo, si erano scagliati in maniera simile contro Huawei nel settore delle telecomunicazioni. Allora come oggi, la Cina ha reagito stizzita. Denunciando, a questo giro, quella che secondo il Dragone sarebbe una manovra puramente commerciale, volta a chiudere in via definitiva il mercato statunitense alle auto elettriche cinesi. 

Bene, e l'Europa? Bella domanda. Pechino, lo sappiamo, vede nel Vecchio Continente una chiave per la vendita di auto elettriche. L'Unione Europea, al riguardo, ha avviato un'indagine sui maxi-aiuti statali, considerati sleali, e alzato importanti barriere doganali. Eppure, nessuno (realmente) vuole tagliare i ponti con la Cina e i suoi produttori. Anche perché il Dragone rappresenta, ancora, un mercato di riferimento per produttori come BMW e Volkswagen. Sia quel che sia, l'industria cinese ha già trovato la scappatoia: produrre auto in Turchia e Ungheria, a immagine del colosso BYD. La questione delle minacce informatiche, ribadisce la Tribune, in ogni caso rimane. L'UE, secondo la Commissione, ha già varato una serie di misure per affrontare, al meglio, le sfide legate alla sicurezza. Ma intende rafforzarle, proprio in virtù dello sviluppo tecnologico che sta avendo il settore. Sarà sufficiente? E davvero, come spiegano gli esperti, la sola discriminante è la sicurezza e non la chiusura del mercato ai cinesi? Affaire à suivre.