Geopolitica

La Groenlandia non è in vendita, ma tutti la vogliono

Lo scioglimento dei ghiacci rende l'isola ancora più appetibile, tant'è che di recente Donald Trump è tornato alla carica – Ma prima di lui ci aveva già provato al Cina
©Felipe Dana
Red. Online
05.01.2025 06:00

No, la Groenlandia non è in vendita. Nonostante l'attacco-promessa di Donald Trump, lo scorso dicembre, il secondo se consideriamo la proposta avanzata nel 2019. «Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti ritengono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta» ha scritto il presidente eletto sui social. La risposta del premier groenlandese Múte Egede, leader del partito Comunità del Popolo: «Non siamo in vendita e non lo saremo mai». Nel suo discorso di Capodanno, Egede ha fatto capire che il referendum per la secessione dalla Danimarca potrebbe tenersi ad aprile. Parentesi: Copenaghen ha governato l'isola più grande del mondo per duecento anni prima di garantirle l'autonomia per gli affari interni nel 1979, continuando al contempo a versare a Nuuk sovvenzioni per 500 milioni di euro all'anno. 

Si parla (di nuovo e con insistenza) di Groenlandia perché, a dispetto dei suoi pochi, pochissimi abitanti – 56.800 – è un territorio strategicamente importante. Anzi, cruciale considerando lo scioglimento dei ghiacci e la possibilità di aprire nuove rotte nell'Artico, all'incrocio delle cosiddette superpotenze mondiali (Cina, Russia e Stati Uniti). Ancora il premier groenlandese: «È ora di dare forma al nostro futuro, anche rispetto ai partner commerciali. Dobbiamo rimuovere gli ostacoli alla cooperazione, le catene del colonialismo, e andare avanti». Di qui l’importanza del nuovo aeroporto di Nuuk, che consente di evitare gli scali a Copenaghen, anche se alle citate superpotenze interessano decisamente di più le (future) rotte marittime. Il traffico navale nell'Artico è cresciuto del 37% nello spazio di dieci anni a causa del cambiamento climatico. Invece di tentare di salvare il pianeta, però, i governi cercano modi per sfruttare le vie che si apriranno. La Groenlandia, ha detto ad esempio l’ex segretario alla sicurezza nazionale di Trump, Robert O’Brien, può diventare «l’autostrada dall’Artico fino al Nordamerica». 

Concretamente, dunque, l'idea del presidente eletto è tutto fuorché bislacca. Anzi, altri hanno già messo gli occhi sulla Groenlandia. La Cina, otto anni fa, aveva cercato di acquistare sull'isola una vecchia base navale statunitense e, parallelamente, aveva cercato di costruire alcuni aeroporti. E il motivo è facilmente intuibile: la calotta glaciale si sta sciogliendo a ritmi impressionanti, provocando allarmanti rallentamenti a livello di correnti oceaniche ma, appunto, riaccendendo la corsa alle preziose risorse nascoste nell'Artico: petrolio, gas, materie prime critiche. Secondo l'Unione Europea, alla quale Nuuk è associata come territorio d'Oltremare, ha stimato che sull'isola si trovi quasi il 20% delle riserve globali di terre rare. A proposito di petrolio: nel 2021, la Groenlandia aveva negato ulteriori licenze di esplorazione per questioni ambientali e di buonsenso economico. Il sottosuolo potrebbe contenere fino a 31,4 miliardi di barili di oro nero, ma l'estrazione è stata giudicata costosa e, ancora, rischiosa. 

Di sicuro, il prezzo della Groenlandia è salito, e pure di molto, rispetto ai 100 milioni di dollari offerti da Harry Truman nel 1946. Il Washington Post, come riferisce il Corriere della Sera, stima che per acquistare l'isola oggi servirebbero 1,7 mila miliardi di dollari. Trump, per ora, dovrà accontentarsi della base Thule, gestita dalla United States Air Force. Ma attenzione: il governo danese, seccato dalle esternazioni del tycoon, ha sbloccato 1,5 miliardi di dollari in investimenti militari per la Groenlandia. A conferma che, al netto delle spinte indipendentiste groenlandesi, a Copenaghen sta a cuore Nuuk.