Politica

Le sfide che attendono Javier Milei sono titaniche

Oltre all’inflazione, l'Argentina sta facendo i conti con una svalutazione della moneta nazionale, un aumento della povertà che colpisce ormai oltre il 40% della popolazione, una mancanza di riserve in dollari e un debito pubblico gigantesco – Che toni adotterà, quindi, il nuovo presidente?
© Juan Ignacio Roncoroni
Maria Zuppello
20.11.2023 17:30

«In Argentina ha perso l'inflazione annuale del 142,7%». Questo il commento dei vicini brasiliani, storicamente in competizione, che però riassume bene in poche parole e con una buona dose di ironia tutta l’eccezionalità di queste elezioni presidenziali argentine appena concluse. Con circa il 56% dei voti Javier Milei, «candidato libertario di destra», come lui stesso si è definito, per il partito la Libertà Avanza è stato eletto dodicesimo presidente dell’Argentina dalla fine della dittatura militare. Ha sconfitto il ministro dell'Economia Sergio Massa dell'attuale governo di Alberto Fernández. Massa si era candidato per Unione per la Patria, una coalizione politica di partiti di ideologia peronista e legati all’attuale vice-presidente Cristina Kirchner. Di certo non ha giovato allo sconfitto il suo ruolo di ministro dell’Economia, in un Paese che ha raggiunto un'inflazione di oltre il 142%, superiore in questi mesi persino a quella del Venezuela e con una previsione di arrivare al 180% entro la fine dell’anno.

Vittoria e malcontento

«La vittoria di Milei è più legata al malcontento economico e politico che a una base di elettorale ideologica di estrema destra anarco-capitalista o anarco-libertaria», spiega Juan Cruz Díaz, direttore generale del centro analisi argentino Gruppo Cefeidas. Soprannominato El Loco, il pazzo, e considerato il Trump di Buenos Aires per il suo approccio politico radicale, la sua vittoria è stata un terremoto politico, dopo un primo turno lo scorso 22 ottobre in cui Massa lo aveva superato con il 7% dei voti. Adesso, tuttavia, finita l’euforia dei festeggiamenti le sfide che attendono il nuovo presidente appaiono davvero titaniche. Oltre all’inflazione il Paese sta facendo i conti con una svalutazione della moneta nazionale, un aumento della povertà che colpisce ormai oltre il 40% della popolazione, una mancanza di riserve in dollari e un debito pubblico gigantesco. Debito che include i 44 miliardi di dollari (38,88 miliardi di franchi) prestati a Buenos Aires dal Fondo Monetario Internazionale e uno swap da 47 miliardi di yuan (5,78 miliardi di franchi) della Cina.

«I cambiamenti di cui il nostro Paese ha bisogno sono drastici. Non c'è spazio per la gradualità, non c'è spazio per le mezze misure» ha dichiarato Milei nel suo primo discorso dopo la vittoria. In campagna elettorale hanno fatto discutere le sue dichiarazioni: vorrebbe allentare le leggi sulle armi, vietare l’aborto, già legalizzato in Argentina nel 2020, e consentire la vendita e l'acquisto di organi umani. Ma è soprattutto sull’economia che si è alzata l’allerta per le sue proposte di dollarizzare l’economia e chiudere la Banca Centrale. Per poter dollarizzare è necessario l’aiuto della Federal Reserve statunitense, l’unica che può garantire l’importazione dei dollari. L’Argentina diventerebbe comunque inevitabilmente dipendente dai tassi di interesse stabiliti da Washington. Che però li decide in base all’economia statunitense. Questo potrebbe trasformarsi in un boomerang e addirittura peggiorare l’economia del Paese del tango.

L'accesso ai dollari sarà limitato 

Inoltre, il depauperamento delle riserve compiuto della precedente amministrazione nel tentativo di controllare il cambio limiterà e non poco l’accesso della popolazione ai dollari. La moneta statunitense, infatti, al momento scarseggia in Argentina e chi la possiede in questi mesi ha preferito tenerla in casa come unico bene rifugio. Non fidandosi neanche delle banche per timore di default. Il risultato è che nel Paese oltre al cambio ufficiale ci sono state oltre dieci quotazioni differenti per il dollaro. In più, è possibile che Milei incontri resistenze anche da parte del settore privato perché la dollarizzazione potrebbe influire sulla competitività delle imprese e avere un impatto anche sul turismo locale, oggi florido proprio in virtù di questo paradossale scenario economico. Per gli economisti brasiliani che seguono con molta apprensione gli scenari economici del Paese vicino, per il possibile impatto in patria, non si tratta solo di dollarizzazione. «Probabilmente vogliono far sì che il governo smetta di controllare i dollari che sono in mano agli argentini, o anche provare una soluzione più immediata, che sarebbe quella di permettere agli argentini di avere conti in dollari, per esempio» spiega Alexandre Pires, professore presso l'Istituto brasiliano dei mercati dei capitali di San Paolo, l’IBMEC.

Che ne sarà del Mercosur?

Il Brasile di Lula, che con la sconfitta di Massa e del suo partito ha perso un alleato importante, teme ora di vedere saltare il grande obiettivo comune che finora aveva unito i due Paesi, ovvero il Mercosur. Proprio in questi mesi in cui il Brasile è alla presidenza del mercato comune dell’America Latina, che include oltre all’Argentina anche Paraguay e Uruguay, si sta negoziando un delicatissimo accordo con l’Unione Europea che adesso rischia di saltare. Durante la sua campagna elettorale, infatti, Milei ha espresso più volte la possibile uscita dell’Argentina dal gruppo in caso di vittoria. E, a cascata, ha annunciato anche di tagliare le relazioni con il Brasile di Lula e la Cina di Xi Jinping, i principali partner commerciali del Paese, sempre se il Parlamento glielo permetterà. La grande incognita rimane comunque il tono su cui si muoverà la presidenza di Milei. Manterrà quell’approccio radicale che già lo ha fatto paragonare agli ex presidenti di Stati Uniti e Brasile, rispettivamente Donald Trump e Jair Bolsonaro? Oppure il nuovo arrivato alla Casa Rosada cercherà il dialogo e un governo di larghe intese come già anticipato nel suo primo discorso? Secondo Benjamin Gedan, responsabile del Progetto Argentina presso il think thank di Washington Wilson Center, «è probabile che Milei modererà il suo programma per ottenere il sostegno dell'opinione pubblica ma anche di altri partiti. In caso contrario, ci aspettiamo uno stallo politico, con tumulti sociali e rivolte da parte dei sindacati». Uno scenario, questo, che costerebbe molto caro al Paese del tango.     

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