L’Iran: «Su Cecilia Sala è stata aperta un’inchiesta», ma nessuno conosce le accuse
È noto a tutti il proverbio di origine medievale Excusatio non petita, accusatio manifesta («Scusa non richiesta, accusa evidente»), versione popolare del più dotto ma meno citato - e, forse, più efficace - Dum excusare credis, accusas («Mentre credi di scusarti, ti accusi»), proveniente dalle Epistole di San Girolamo. Antiche sentenze latine che a molti saranno tornate alla mente ascoltando quanto detto dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, sul caso della giornalista e podcaster italiana Cecilia Sala, 29 anni, rinchiusa nella prigione di Evin dal 19 dicembre scorso,
Baghaei ha infatti precisato con una certa insistenza che «L’arresto di Sala è avvenuto per violazione delle leggi islamiche» e che la magistratura di Teheran, unica titolata a parlarne, «ha aperto un’inchiesta». Nessuna correlazione, invece, intercorrerebbe tra questa vicenda e la detenzione nel carcere milanese di Opera di Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere 38 enne fermato il 16 dicembre - tre giorni prima, quindi, di Cecilia Sala - dalla polizia italiana su mandato di cattura statunitense con l’accusa di aver violato le sanzioni internazionali e importato in Iran tecnologia militare.
Una spiegazione a cui, ovviamente, nessuno ha dato credito. Anche perché, subito dopo - stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Tasnim - e sempre a proposito della detenzione di Abedini in Italia, Baghaei ha aggiunto: «Consideriamo questa una forma di presa in ostaggio dei cittadini iraniani. La loro (degli americani, ndr) accusa è infondata. Fabbricare una copertura giudiziaria per intrappolare i cittadini iraniani è illegale, immorale, una violazione dei diritti umani».
Quattro elementi
Perché le parole del portavoce del ministero degli Esteri di Teheran non hanno convinto? I motivi sono almeno quattro. Il primo: Cecilia Sala era in Iran con un regolare visto giornalistico ed è stata fermata in albergo senza che le autorità consolari italiane venissero immediatamente informate. La magistratura iraniana, ha ripetuto Baghaei, «Ha aperto un’inchiesta» ma, a quasi 20 giorni dal fermo, alla podcaster italiana non è stata contestata in modo formale alcuna accusa specifica.
Il secondo: l’arresto di Cecilia Sala è avvenuto meno di 72 ore dopo il fermo di Abedini. Una tempistica che si commenta da sola.
Il terzo: il 2 gennaio scorso, dopo essere stato convocato dalla Farnesina, è stato lo stesso ambasciatore iraniano in Italia, Mohammad Reza Sabouri, in un post su X, a mettere in relazione le due vicende e a parlare di un «amichevole colloquio nel quale si è discusso e scambiato opinioni sul cittadino iraniano Mohammad Abedini, detenuto nel carcere di Milano con false accuse e della signora Cecilia Sala, cittadina italiana, detenuta in Iran per violazione delle leggi della Repubblica islamica dell’Iran. Sin dai primi momenti dell’arresto di Sala - aveva sottolineato l’ambasciatore - si è garantito l’accesso consolare all’ambasciata italiana a Teheran e sono state fornite alla giornalista tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari. Ci si aspetta dal governo italiano che reciprocamente, oltre ad accelerare la liberazione del cittadino iraniano detenuto, vengano fornite le necessarie agevolazioni assistenziali di cui ha bisogno».
Il quarto: le dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri di Teheran seguono di poche ore il viaggio-lampo della premier italiana Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, in Florida, nella casa del presidente eletto Donald Trump. Un viaggio legato proprio alla questione Sala, come ha rivelato il New York Times citando una fonte che ha partecipato all’incontro. Pure consapevole del fatto che Trump non può, fino all’insediamento del 20 gennaio, prendere alcuna decisione, Meloni avrebbe insistito con il presidente eletto sul fatto che l’ingegnere in carcere a Milano non sembra essere una pedina di primo piano, anche secondo la valutazione del team di transizione fra le due amministrazioni degli Stati Uniti.
Iniziative coperte
Fino a questo momento, Washington ha chiesto esplicitamente ai magistrati italiani persino di non concedere ad Abedini i domiciliari «a causa della pericolosità del soggetto». Un cambio di rotta potrebbe sbloccare la situazione. Se gli USA, ad esempio, comunicassero all’Italia di non essere più interessati all’estradizione dell’ingegnere iraniano, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, potrebbe esercitare la facoltà riconosciutagli dall’articolo 718 del Codice di procedura penale che stabilisce «la revoca» dell’arresto della persona da estradare «se il ministro della Giustizia ne fa richiesta».
La visita-lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago da Donald Trump, ha scritto il Financial Times, avviene in un momento in cui la premier italiana affronta «la sfida diplomatica più dura da quando ha assunto l'incarico». La sua iniziativa non è stata l’unica. Le interlocuzioni, ha scritto l’ANSA, come sempre avviene in questi casi, hanno molteplici piani. Alcuni dei quali restano ovviamente coperti. Paradossalmente, però, l’intervento in prima persona di Meloni testimonia la delicatezza della questione. Un esito negativo della trattativa, o anche soltanto un suo allungamento, diventerebbero un problema politicamente difficile da gestire. Anche per questo, forse, Palazzo Chigi ha chiesto (informalmente) una mano al Vaticano, che si è mosso subito. Nei giorni scorsi, papa Francesco ha incontrato Mohammad Hossein Mokhtari, ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, e Abolhassan Navab, rettore dell’Università iraniana delle Religioni e delle Denominazioni. Nessun riferimento ufficiale a Cecilia Sala, ma durante l’incontro, secondo l’agenzia iraniana Irna, il papa avrebbe criticato Benjamin Netanyahu che, «ignorando le leggi internazionali e i diritti umani, ha creato crisi nella regione e nel mondo».
Oggi, intanto, nonostante il giorno festivo, il sottosegretario Alfredo Mantovano è stato sentito per due ore e mezza dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR), l’organismo bicamerale che, in Italia, vigila sulle attività dei Servizi. La riunione era stata convocata dal presidente, l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, proprio per parlare del caso Sala. È probabile che Mantovano abbia risposto anche alle domande sulle dimissioni della direttrice del DIS, Elisabetta Belloni. Come sempre, nessuna indiscrezione è trapelata. Tradizionalmente, il COPASIR è l’unico consesso istituzionale che, in Italia, mantiene la totale riservatezza sulle proprie riunioni.